Esiste un luogo sacro, tra Gallipoli ed Alezio, da tempo immemorabile. Fino a qualche decennio addietro l’edificio era preannunciato da un maestoso Osanna, sormontato da una croce, al quale, defilato sulla destra, faceva compagnia un pozzo con paraste semplici, doppia coppia di colonne quadrate ed un arco a tutto sesto. L’invito all’edificio sacro, nelle sue semplici modanature, è interrotto da quell’unica nicchia che incorona l’ingresso principale, contenente una Madonna in pietra, monocromatica, di quel colore dell’alba che connota la pietra leccese, assisa su un tronetto biondo di carparo, di quel carparo estratto dalle vicine cave. Chiaro omaggio del luogo alla Vergine da cui prende il nome “matercrazia”.
E’ un luogo di equilibrio tra la vita cittadina ed il riposo dello spirito. Lo fa intendere anche la sua posizione. In mediazione, tra i baratri delle “Tajate” e la rassicurante pianura su cui sorge da secoli. Luogo sacro, prima inviolato, poi dimenticato e defraudato, infine recuperato.
In equilibrio, tra un passato troppo remoto, evanescente ed incerto ed un presente costellato da atti di donazione di opere, culto, fede e fatica. Equilibrio tra cripte oscure portate nell’intimo e santuari innalzati, spontanei, ispirati dall’affresco, bizantino, sulla parete di fondo, la “Mater Gratiae”.
Alla visione si può accedere dalle tre porte, segno evidente di una struttura importante. E’ facile intravedere tra le crepe della galatea calce un avanzo d’affresco, cosa che fa presuppore ad un intero ciclo pittorico che svela il suo apice nell’affresco centrale della Vergine con Bambino, fino ad innalzarsi oltre il mediano cornicione, sulla parete di fondo, che imprigiona un paradiso di Santi ossidati, ove solo la Trinità resiste nelle sue cromie.
Il tutto risulta equilibrato da scansione di archi ciechi, a tutto sesto, che convogliano le loro forze ritmate verso l’arco centrale sovrastante il presbiterio. Tutto è armonico, tra l’alternanza dei chiaro-scuro delle finestre, delle quali una funge da ingresso centrale alla luce ed irrompe sul prospetto principale. Tutto è unanime, persino gli ornamenti scolpiti del soffitto ed i cornicioni perimetrali, nel condurti a quello sguardo materno, con, sulle ginocchia, un Figlio benedicente, colorato da tempere tenui e da ricordi svaniti di pennellate staccate, non più recuperabili. Tutto risulta sobrio, ma non povero, armonico eppur barocco. Persino le memorie conducono a quell’unico affresco che ha attraversato i secoli e le strutture, rimanendo sempre e comunque, l’unico superstite.
Da ”Assunta dei Basiliani” a “Sancta Maria de Balneo”, da “Madonna Adigria o Odigria” a “S.Maria di Costantinopoli”, fino a “Santa Maria delle Grazie o di Daliano” all’attuale “Mater Gratiae”, dal periodo bizantino fino all’era contemporanea.
L’interno era ornato da due statue lignee di S.Lazzaro e S.Domenico, riposte nelle due nicchie laterali del presbiterio. Vi erano due dipinti rappresentanti S.Francesco e S.Andrea, che affiancavano l’affresco principale della Vergine, racchiuso in una lignea cornice, attualmente in restauro. Inoltre, impreziosivano l’interno, due tele, di notevole dimensione, sfondo alle due arcate adiacenti la zona presbiterale e rappresentanti l’una la “Presentazione della Vergine al Tempio” e l’altra la “Nascita del Redentore”. Memoria antica e storia gloriosa, si confondono con i vaghi ricordi.
Il tempo che ha consunto le opere e mani sacrileghe che hanno trafugato sculture e dipinti, non hanno potuto nulla per asportare una devozione mai interrotta e sempre viva. Nulla rimane degli antichi e preziosi omaggi a quella Madre che, per fortuna, da secoli, è riuscita a trattenere sulle sue ginocchia quel Figlio benedicente. L’amore spontaneo verso tale luogo ha, comunque sia, contribuito a restituire alla memoria collettiva l’importanza e la sacralità del sito.
Da ormai un decennio il culto è stato ripristinato ed anche l’aspetto del sito si è arricchito di recenti donazioni spontanee, tutte di fattura locale. All’esterno, nella nicchia sovrastante l’ingresso principale, è stata ricollocata una recente statua della Vergine.
Restituita l’Osanna, ai cui piedi campeggia una croce ferrea con i simboli della passione. Arricchito lo spazio esterno con un altare in carparo sovrastato da un crocifisso in pietra. Circondano l’opera le panche in cemento ed una via crucis in terracotta e carparo. Completano il decoro esterno un recinto ligneo che custodisce il simulacro di S.Pio da Pietralcina ed un basamento, in carparo, sovrastato dalla statua del Beato Giovanni Paolo II, figure moderne di spiritualità, festeggiate nelle loro rispettive memorie liturgiche.
La chiesa è aperta ogni sabato per le funzioni religiose e l’inglobato edificio monastico è annualmente scenario di un suggestivo presepe vivente, oltre che della spettacolare accensione della “focaredda” in onore di S.Antonio Abate.
L’ingresso.
L’ingresso al luogo di culto è stato arricchito da una bussola lignea. All’interno dell’aula liturgica sono stati collocati due confessionali ed una nicchia, lignea, finemente lavorata, proveniente dalla gallipolina chiesa di S.Francesco d’Assisi, che custodisce la statua, in cartapesta, della Madonna delle Grazie, dono della famiglia dei Cavamonti ed oggetto di venerazione nel terzo lunedì di Ottobre. Rifatte, in pietra locale, le acquasantiere che adornano i pilastri d’ingresso. Restaurato e riportato all’antico fascino l’affresco bizantino di “Mater Gratiae”, che negli ultimi anni del 1900 era stato picchettato e ridipinto. Le panche lignee sono un dono aletino. In restauro la fastosa cornice che circondava l’affresco. Una novella nicchia ospitante un bel simulacro di S.Antonio da Padova. All’interno dell’unica navata è appesa, sulla destra del centrale ingresso, una stampa oleografica del secolo scorso, rappresentante la Deposizione. Una nicchia lignea racchiude una statua del Cristo Risorto.
I pilastri sono scanditi da una moderna via crucis in gesso alabastrino, montata su supporti lignei. Le due porte laterali sono sovrastate da due dipinti, eseguiti e donati nel 2012, che hanno voluto restituire la memoria storica di quelli preesistenti, certo nel titolo, non nelle dimensioni, né nell’impostazione pittorica di quelli, di cui non rimane testimonianza, neppure fotografica.
A proposito delle attuali rappresentazioni, è necessario soffermarsi per spiegarne il contenuto, attinto dalla storia di questa chiesa-santuario. Quello sulla parete sinistra raffigura la “Presentazione della Vergine al Tempio”. Maria bambina è accolta dal sommo sacerdote, sul pronao di un ipotetico tempio, al vertice di una scalinata. Alle spalle delle scena principale, si apre un prospetto che coglie, in prima linea, i visi degli anziani genitori, i Santi Anna e Gioacchino, preludio all’orizzonte retrostante, composto dall’antica collina verde che discende dal sito di Daliano fino al centro storico di Gallipoli, assiso sul ceruleo mare. I riferimenti topografici fanno intravedere il percorso che va dalla Chiesa dei Cappuccini, detta “S.Anna”, sul colle S.Giusto, fino al Santuario di “Santa Maria del Canneto”. Il tutto è sovrastato da una scena cherubica.
L’altra tela rappresenta la “Nascita del Redentore” Le figure classiche del presepio sono amalgamate con la tradizione locale. Il tutto si svolge in agro di Alezio, sublimato, sullo sfondo, dalla sagoma del Santuario di “Santa Maria dell’Alizza”, ospitante, nel suo pronao i quattro magi, come da tradizione locale. Mentre il riposo del dormiente trova collocazione ai piedi dell’osanna. La campagna distende i suoi sentieri ai locali pastori fino al luogo dell’evento, che per l’occasione si svolge in una cava. La Vergine è distesa, per ricordare un aneddoto aletino, secondo il quale, dopo aver salvato Alezio da un terremoto, la Madonna, stanca, si riposò in questa contrada. Ma, anche, per rendere omaggio al culto bizantino, che rappresenta usualmente, al momento del parto, Maria distesa nella mangiatoia, mentre il S.Giuseppe custodisce la divina maternità, ospitata in una cava di carparo ed annunziata dalla colomba dello Spirito Santo e dalla scena cherubica. Una popolana in primo piano, in offerente atto, porge un cesto ricolmo di olive. Chiara allusione alle passate fortune economiche della Città di Gallipoli, quando era dedita al commercio dell’olio lampante. Nella mano sinistra è visibile una corda, sulla quale è dipinta in vermiglio, la data “1544”. Tale data riporta ad un fatto storico avvenuto in quell’anno del quale, l’esito positivo venne attribuito all’intercessione della Vergine. In particolare, si tramanda che sull’acquasantiera alloggiata sul pilastro destro della chiesa, si conservava un pezzo di fune proveniente da una nave turca che fece naufragio, sulle coste gallipoline, determinando la salvezza di tutti gli ostaggi cristiani prelevati dalle scorrerie turche in terra salentina e calabrese.
Le due tele costituiscono, nel loro intento, un dittico che riproduce le due città limitrofe e che riporta, idealmente, gli eventi rappresentati, come se si svolgessero nel luogo di “Mater Gratiae”. I dipinti sono racchiusi da due artistiche cornici lignee, indorate. La premura della devozione antica, si fonde con il rinnovo contemporaneo e moderno, con l’estetica, l’architettura, la pittura, tra iniziative personali e corali, a volte riparatrici di gesti e di ingiurie, a volte, solo, piene di gratitudine. Sempre volontarie.
Non è opportuno tralasciare i luoghi intorno alla chiesa, pregni da alto valore artistico e naturalistico che si coordinano tra loro, lasciando un senso di equilibrio e di armonia nel visitatore. Per un invito alla conoscenza del luogo descritto, si rimanda ai paragrafi contenuti in recenti pubblicazioni, quali “Sulle orme di Maria” di Giuseppe Marino e “Gallipoli Sacra” di uno scrittore locale.
E’ indubbio il valore del lavoro monografico più rilevante, stilato da S. Bolognese, nel suo “La chiesa di S.Maria delle Grazie o di <<Taliano>> nel territorio di Gallipoli”, pubblicato in “Contributi”, Rivista della Società di Storia Patria per la Puglia, Anno V, n.1 marzo 1988, Ed. Congedo. Il testo ora citato, oltre ad offrire un contributo eccezionale e puntuale dal punto di vista storico ed artistico del sito, ci regala una foto d’altri tempi, che esprime tra le righe, una descrizione sulla vita quotidiana di allora in queste contrade, quando i “cavamonti”, invocavano la loro Vergine ed a lei si affidavano: (…)””a questa categoria si deve ancora oggi quella minima cura e la conservazione del rito con una festa che si tiene il giorno successivo alla seconda domenica di ottobre di ogni anno. (…) Il loro lavoro si svolgeva dall’alba al tramonto sotto le viscere della terra in enormi ed esotiche gallerie o vani a campana. Questo lavoro veniva sospeso soltanto per la consumazione di un frugale pasto composto da un pezzo di pane bagnato, cosparso, qualche volta, d’olio d’oliva con qualche pomodoro o peperoncino e per bevanda l’acqua che si raccoglieva in <<ombili>> o <<quartare>> (recipienti di terra cotta tipici del posto) lì dove la roccia lambiccava gocce d’acqua freatica che, attraverso il materasso freatico, filtrava e filtra ancora oggi. Alla Vergine questa gente si è rivolta e continua a rivolgersi invocandone la protezione e rifugio (…)””. Questa piccola, grande oasi di “Mater Gratiae”, grazie ai custodi scrupolosi, che amorevolmente la curano, ha ricominciato a rifiorire, tra i deserti del carparo di Daliano.
Caro Piero, complimenti vivissimi. Hai fatto un lavoro di cesello , con la geometria delle idee e della cultura specifica, la storia, l’architettura, la bibliografia , e – soprattutto – l’incenso del cuore, che si sparge e si fa “colore dell’alba”, “luogo d’equilibrio interiore”, ritmo e cripta oscura, e infine preghiera per questa straordinaria Madonna delle Grazie che ricordo benissimo proprio nell’anno in cui fu “ripristinata”, con una devozione tutta particolare da parte delle persone più umili, appartenenti al popolo vero, autentico, di Gallipoli, di cui si va sempre più perdendo identità , e quella forza , quell’energia spirituale che è data dall’unione, dalla sofferenza condivisa, dalla speranza fondato su una rinnovata umanità traguardata dallo sguardo obliquo di una madonna semibizantina e semi barocca “assisa sul tronetto biondo di carparo”
Un abbraccio
Augusto .