di Bruno Vaglio
Pptr: un Piano per la rinascita della Puglia, il resto sono solo preoccupazioni di chi vuole ancora costruire.
Ho letto con attenzione l’articolo sul PPTR Puglia apparso giorni fa su portadimare.it, e in principio mi è sembrato di avere a che fare con un’argomentazione di un ambientalista preoccupato che tiene al proprio territorio. Invece, le evocate “nubi grigie” e “prospettive rosee”, erano espressioni di preoccupazione, certo, ma focalizzate sulle limitazioni imposte dal Piano alle possibilità di continuare a costruire con le vecchie regole a maglie più variabili che larghe.
Credo che alla base delle molte critiche espresse contro il Piano ci siano forti pregiudizi, più che un’obiettiva e pacata analisi dei fatti concreti.
Un fatto concreto è per esempio che, mappe e dati alla mano, è stato edificato molto più del necessario rispetto ad una demografia stabile (o addirittura in decrescita), trasformando per sempre la vocazione plurima di interi territori, limitandone di fatto altre possibilità d’uso (reversibili) da parte delle future generazioni. Una di queste è certamente l’essenziale funzione del produrre cibo con l’agricoltura.
Un altro fatto concreto è che, sulla scorta di aspettative pregiudiziali, l’economia del cemento ha distolto e immobilizzato ingenti risorse da un’economia più diversificata compromettendo uno sviluppo equilibrato del territorio. Come risultato siamo nel pieno di una bolla immobiliare senza precedenti e siamo ormai da anni precipitati, soprattutto a causa dell’amore per il mattone, nel poco gratificante circolo dei cosiddetti paesi Pigs.
Un altro fatto ancora coincide con la impermeabilizzazione del suolo e con l’impatto ecologico dell’edilizia, e dell’infrastrutturazione connessa (viabilità, parcheggi, reti tecnologiche, ecc.).
I tanto vituperati prati e pascoli naturali, per esempio non sono solo delle distese di anonimi fili d’erba ma il più delle volte dei preziosi habitat massimamente meritevoli di tutela data la loro ricchezza in termini di biodiversità. Con questo Piano, d’ora in poi la natura potrà esprimersi anche fuori dall’angusto perimetro del parco regionale di Portoselvaggio, dando così luogo alla sospirata rete ecologica regionale elevando finalmente la qualità complessiva del territorio con ricadute in termini ambiental, sociosanitari e di attrattività turistica.
Ma mentre scrivo mi assale un dubbio: come posso pretendere che si ragioni della necessità di tutela dell’umile erba di prati e pascoli, in un comune come quello di Nardò dove è avvenuto che si costruisse anche in zone classificate come bosco?
Ritengo oltremodo semplicistico il riferimento alle gravi ripercussioni sulla attività edilizia e sull’economia e l’occupazione senza preoccuparsi minimamente di comprendere l’articolata visione strategica del piano e le opportunità territoriali offerte dallo stesso per intraprendere la strada di uno sviluppo autosostenibile e durevole, dove l’agricoltura e la neoruralità, la filiera del cibo, l’integrazione tra urbano e rurale, le relazioni energetiche, oltre ai beni culturali materiali e immateriali, e le nuove forme di economia che ne derivano, trovano nel Piano quelle forme necessarie a dare nuova dignità politica a un settore, quello agricolo, in eterna crisi.
Ritengo inoltre, che il Piano assuma come strategico il ruolo storico e centrale dell’agricoltura nel progetto futuro del territorio regionale, nella consapevolezza che oggi la questione ambientale è innanzitutto una questione territoriale che trova nell’attività primaria l’opportunità per la produzione non solo di cibo ma di qualità locale e ambientale.
Il PPTR, infatti, trova nel patto città-campagna forme nuove di organizzazione del territorio e nel parco agricolo multifunzionale uno strumento operativo per una sana valorizzazione del territorio. La figura del parco agricolo, oltre a trasformare radicalmente il concetto di standard urbanistico relativo al verde urbano, crea quelle necessarie opportunità territoriali che trovano nei programmi di sviluppo rurale e nelle nuove politiche europee, gli strumenti per una pianificazione integrata degli spazi aperti che riconoscono e attribuiscono all’agricoltura, oltre alle produzioni di qualità, anche nuove funzioni ambientali e paesaggistiche.
Sotto il nuovo PPTR finalmente Nardò dovrà dotarsi di un PUG davvero “moderno strumento di pianificazione” urbanistico e ancor più paesaggistico a prevalente vocazione agricola e turistica. Il vecchio modo di costruire dovrà porsi obiettivi di recuperare l’esistente e l’invenduto. Insomma si prospetta un innesco di ricadute virtuose a catena e di ciò non dovremmo che essere tutti contenti.
Credo che sia quantomeno un equivoco davvero malevolo ridurre la nuova complessa, lungimirante strategica visione del PPTR ai soliti angusti ragionamenti sulla mera regolazione di diritti edificatori.
Quanti anni sono trascorsi dalla promulgazione della Costituzione che tutela il paesaggio e da quando il Presidente Einaudi affermava: <La lotta contro la distruzione del suolo italiano sarà dura e lunga, forse secolare. Ma è il massimo compito di oggi se si vuol salvare il suolo in cui vivono gli italiani>.
Ce n’è voluto di tempo e forse finalmente ci siamo!
Con questo Piano, che è molto più democratico di quanto ad un’analisi superficiale e parziale non sembri, la Regione guarda non soltanto all’intera odierna collettività ma anche avanti al bene delle future generazioni.
Un’accorata raccomandazione finale: leggiamolo questo Piano prima di liquidarlo come lesivo di diritti urbanistici. L’andazzo di questi anni ci ha abituati a fruire dei “benefici” di un’ampia discrezionalità amministrativa che ha alimentato un facile consenso i cui effetti si scaricheranno su coloro che verranno. Con l’applicazione del Piano, il territorio pugliese ha aperto una strada fino ad oggi inesplorata, basata sulla valorizzazione della preziosa varietà paesaggistica pugliese. Il vero asset economico strategico della Puglia. Con questo strumento la Politica recupera decenni di deriva morale non solo territoriale. Con la bellezza dei luoghi si potrebbe anche recuperare la bellezza di nuova qualità della vita per i pugliesi. Lo stesso turismo tenderebbe spontaneamente a riqualificarsi verso standard meno “riminieschi” di quelli di oggi.
Facciamo nostra la fertilità complessa delle ragioni profonde del Piano, che poi sono le ragioni del nostro stesso vero bene!
Non vorrei dare una delusione all’autore dell’articolo, così infervorato ed entusiasta, ma questo PPTR altri non è che il vecchio PUTT allargato a tutto il territorio regionale, vale a dire la collezione di tutta la vincolistica regionale almanaccata. Il motore, lo sviluppo, la tutela in questo arido elencame di vecchi vincoli paesaggistici del 1947, quelli idrogeologici del 1934 e via antichizzando, conditi da nuove mappature di boschi cittadini e sorgenti d’acqua dolce in ogni dove , io non lo vedo. Non spacciamo per purosangue il solito vecchio mulo.
Che il PPTR sia percepito come la possibilista ultima per salvare l’identità territoriale della nostra regione, dovrebbe rallegrare qualunque salentino di buona volontà e trarci fuori da un presente disperante. Il mio non può essere un parere tecnico ma uno slancio di speranza.
Che lo stesso si rifaccia a norme datate e riprenda vecchie normative mi rassicura ulteriormente, poiché recupera una attenzione e un rigore e una conoscenza del territorio che i vecchi tecnici possedevano senz’altro.
Che infine si vedano boschi dentro le città e sorgenti in ogni angolo o pozzanghera, non può essere che positivo, data la fame che si ha di questi aspetti e l’incuria che di essi si è avuta negli ultimi decenni.
Che si dia una svolta all’ottica con cui si guarda alla propria terra, da sguardi concupiscenti guadagni illimitati per pochi, a sguardi sognanti per il benessere di tutti gli abitanti, non può essere che un segno di civiltà.