di Elio Ria
Non avremo più passi da fare finché chiederemo soltanto spicchi di sole.
E la luna non avrà cielo. E le stelle fioriranno. E nei deserti un sole rabesco darà nuova vita e s’insedieranno nuove genti. E nuovi scrittori scriveranno le storie che appariranno all’orizzonte limpido. E nuovi poeti verseggeranno. E forse ci salveranno. Immagineranno incanti. Suoneranno la lira. Metteranno in subbuglio gli animi. Navigheranno oceani quieti e racconteranno lo stupore per il plenilunio bianco. E non mentiranno. E andranno con il tempo a cercare il tempo. E rinunceranno alla tentazione della superbia. Non profaneranno nessun pulpito. Non rimugineranno parole. Diranno ciò che vedranno.
La nave dei poeti è nel porto. Il viaggio abbia inizio!
Il tempo però non acceleri oltre l’infinito e non ne ostacoli la navigazione. Dia moderazione al travaglio per la conclusione di un sogno. Non abbia fretta, ma sappia ingannare l’immobilismo dell’eternità.
Nella stiva vi è la biblioteca: i libri attendono vento per sfogliarsi senza pudore: liberi per essere letti e raccontati.
I poeti preparino, dunque, nuovi passi. Fra poco il loro mondo dovrà muoversi. Non dovranno deludere. Sapranno, ancora, raccontarci qualcosa: un’unica versione di ciò che pure è raccontabile altrimenti; volta ad accertare la legittimità delle pretese, avanzate dall’incessabile voglia di compendiare e significare parole e sentimenti, parole e realtà, parole e immaginazione.
Un tentativo emblematico per scovare ovunque lo spirito e condurlo alla luce dei confini di albe. La parola seduce il poeta, lo affascina a tal punto che prima o poi lo uccide affinché la fine del poeta sia la continuità della parola. Ed è pura idolatria per la scrittura che consente ciò che al pensiero è negato, di rendere singolare il plurale, di riscattare il dettaglio, di affrontare ciò che viene immediatamente prima del dopo.
Maledetti poeti che non sanno mai dove andranno a finire, che non disdegnano malizie e approcci incipriati di passioni.
Maledetti poeti che ogni giorno siedono alla mensa della poesia a consumare pasti d’immaginazione che non danno sazietà.
Maledetti poeti, navigatori esperti di mari, creduloni che non abitano luoghi né città e stanno dappertutto.
Maledetti poeti dediti al vizio di verseggiare, imparentati con le parole di ogni ordine.
Poeti che aggrediscono i misteri, combattono il disordine per strapparne un ordine, ascoltano il silenzio per estrarne un brandello di suono per costruire, sempre. Non danno urgenza al loro daffare, pigri e indecisi e lenti molestano le parole, le aggiustano e le inventano.
Maledetti poeti che non sopportano i giorni lunghi e noiosi, e nelle notti di luna assente dormono e lacerano fogli bianchi d’insonnia, stufati come sono dalla voglia di essere poeti.
Poeti, io vi voglio bene. E del mio affetto questa sera ho voluto parlare, magari esagerando parole; ma in quel libro immenso della poesia, della grande poesia, che voi possedete vorrei esserci. Intanto nell’attesa dello strappo decisivo io vi leggo. E quando davvero il sacrificio dell’olocausto delle parole sarà compiuto – senza equivoci – io diventerò muto, procedendo all’inevitabile da-farsi affinché si compia il dire ulteriore di ciò che ancora non è.
Bellissimo articolo ! Vorrei replicare, se posso , con alcuni miei versi sui POETI dal titolo “Il treno dei poeti”.
I poeti respirano la notte
anche quando la notte
toglie loro il respiro
e li fa morire
come sogni
troncati nel finale
poesie
appena accennate
come treni fermi
sui binari
che non vanno
avanti più
né tornano indietro
fermi sui binari
non vanno
e non attendono
e non portano bagagli
né pacchi di cartone
né abbracci né saluti.
Hanno solo
posti vuoti
i treni dei poeti
dove siedono parole
e le emozioni
stanno in piedi.
(Pina Petracca)
io devo attendermi nel pensiero
devo mettermi fuori dalle parole
devo dire- di non dire
attendere
in silenzio che esso parli
e aspettarvi sulla soglia di casa
sarà festa. a Voi tutti- cordialità-peppino .