SAGGIO SULLA “MORTE” DEL CONTADINO
di Giulietta Livraghi Verdesca Zain
Reperto non catalogato
nei vanti della storia
non hai museo da dove avanzare
i tuoi diritti alla primogenitura
del sudore convertito in pane,
eppure le tue radici
sono intrecciate a quelle di Dio
fin dal terzo giorno della Genesi
quando – a precorrere il tuo cono d’ombra –
sul muto proscenio della terra
esplose il canto della clorofilla..
x x x
Come Agamennone
anche tu ti sei portato dietro
una maschera d’oro
– cesellata dal sole fra le biade –
ma la tua “Micene”
non interessa agli archeologi di Stato
incapaci di valutare
i tesori di una reggia
d’alberi d’ulivo
e già delusi
al pensiero di scoprire una porta
non vigilata da leoni a lamine lucenti
ma da buoi
inghirlandati solo di spighe e grappoli d’uva.
(“L’arte dunque di dirigere e incoraggiare
gli uomini, acciò cavino il migliore
partito possibile dalle terre, sarà la base
fondamentale d’ogni operazione economica;
quest’arte chiamasi agricoltura politica:
primo oggetto di economia pubblica”
– diceva Cesare Beccaria
mai pensando allo specchietto deformante
che il futuro avrebbe appeso
all’architrave dei compromessi…).
Tu che non conoscevi altre vocali
se non quelle dei semi
e ogni giorno
scrivevi la tua pagina col vomere
affidandone ai grilli la lettura
oggi avresti geroglifici di fuoco
da incidere
– a tatuaggio di vergogna –
sulla fronte di quanti
hanno manomesso l’ago della bussola
consegnando le sorti della zolla
alla rotta funeraria delle sabbie mobili.
x x x
Dio
l’uomo
la terra
il sudore
il pane.
Sulla regalità di questo atavico organismo
è caduta la nebbia della favola
e si è scoperto che la Bibbia
ha mani ruvide
inadatte alla setosa carezza delle banconote
– unica credenziale
per essere elevati agli onori della tutela.
Copertino, giugno 1995
(Da: “STORIA D’INNESTI POTATURE E TERRA ARATA”, Poesie, 1983 – 1996)