Caro Nino,
sapessi quanto mi è difficile scrivere queste righe. Riuscirò a dire l’amaro che lasci andandotene così? Riuscirò a colmare con le sole parole il vuoto in cui l’animo scosso sprofonda? Macché amico mio, la penna non va oggi, non scorre nulla da queste mani. “Il peggio è passato” mi hai detto al telefono l’ultima volta, con una voce finalmente allegra che annunciava un imminente ritorno dalla capitale e dall’incubo in cui l’improvvisa malattia ti aveva condotto, un incubo da far annegare e cancellare definitivamente in quel primo caffè che avremmo dovuto goderci al tuo ritorno. Sappiamo entrambi come sarebbe dovuta andare poi, tu dopo il caffè avresti preteso una camminata, ed io avrei preteso un sigaro al sole, Marcello, invece, la sua bionda multifilter. E alla fine, come sempre, saremmo giunti al solito tacito compromesso, avremmo cioè camminato per poche decine di metri fino al muretto che circonda il castello e lì, per un’ora o fino all’imbrunire, avremmo parlato di Giulietta, dei vostri anni romani, delle ricerche etnografiche a cui avete dedicato la vostra intera esistenza, avvolta in quella condivisa e laboriosa solitudine. Mi avresti poi parlato delle tue e delle sue poesie, e di queste ultime mi avresti recitato qualche verso a memoria, fino al verso che, così ogni volta, ti avrebbe fatto piangere. Con quale fulmineo rivelarsi sarebbero sgorgate quelle lacrime, e quanto rapidamente le avresti asciugate, con pudore, come a chiedere scusa, tirando fuori un fazzoletto dalla tua borsetta scura. Poi mi avresti guardato con un sorriso tra quella tua barba lunga di cui andavi così fiero, vanitoso e buffamente dandy come sapevi essere, e che solo la malattia impietosa ti avrebbe potuto sottrarre; a quel punto avremmo iniziato a guardare come sempre al futuro e ai progetti da realizzare, ai meravigliosi inediti di Giulietta da far conoscere al pubblico, alle trascrizioni e alle ricerche da farsi su quei dannati fogli ingialliti che custodivi con l’amore di marito e con la cura di un padre. Invece no, amico mio, nulla di tutto ciò ci è stato concesso. Non tornerai mai più da noi, nemmeno per farti condurre al tuo sepolcro, accanto alla tua Giulietta come credo tu avresti preferito. Andrai nella tua città natale ci hanno fatto sapere, la Reggio Calabria dei tuoi sereni ricordi d’infanzia, a dormire per sempre cullato dal dondolio del mare che si frange sullo stretto. Forse è giusto così, o forse no, non saprei, ma quaggiù, noi, Marcello, Giovanna, Fabrizio e tutti gli altri amici che ti hanno voluto bene, dove mai potremo andare a riporre un fiore per te? Sai Nino, mi ha chiesto Marcello, per telefono, nel pomeriggio – dopo avermi annunciato quanto non avrei mai voluto sapere – di scrivere un doveroso necrologio da pubblicare sul sito. Certo, ho compreso subito quanto fosse doveroso, ma in quel momento non ho potuto immaginare quanto sarebbe stato doloroso. Me lo hai sempre rimproverato che sono troppo facilone nel prendere gli impegni, e devo darti ancora una volta ragione. Ogni lettera e ogni parola, mentre scrivo, si trasformano in uno scenario, un’immagine, un ricordo preciso collocato nel tempo trascorso con te, e questo soffermarsi consapevole e lento sui ricordi a cui mi costringe la scrittura si sta rivelando uno strazio. Sono passate sei o sette ore da quella telefonata, ed eccomi ancora qua a tentar di dire malamente, a balbettare parole che non potrai mai leggere. Un’ora fa ho dovuto prendere la macchina, così ne ho approfittato per svoltare nella piazza dove si affaccia il vicolo che porta a casa tua. Tra i rumorosi bar frequentati da ciurme di ragazzi e ragazze pieni di vita e di speranza, solo uno scorcio di veduta sul vicolo di casa tua, avvolta dal buio e dal silenzio greve, forse lambito soltanto dai sospiri di qualche coppia di giovani innamorati nascosti all’oscurità. Ci hai lasciato da quasi due giorni a quanto mi dicono, ma non un manifesto ancora, né un fiore ho intravisto per te. Mi è venuta in quell’istante in mente l’immagine che ci fece incontrare la prima volta, quell’affresco della Madonna del Buon Consiglio che io mi ero avvicinato incuriosito a guardare, affissa lì, proprio in quel vicolo, accanto all’ingresso di casa tua, la casa dei Poeti. Ripensare oggi a quel momento non è stato facile Nino, accidenti! Ricordo che d’un tratto poi fuoriuscisti dal monumentale portale d’ingresso, con una pesante vestaglia rosso porpora, una lunga barba da eremita, la faccia tanto severa da intimorire, il volto scuro, impenetrabile e pensieroso di chi non è più abituato alle persone da anni. Don Nino, o il Professore, come ti chiamano ancora in questo paese, in tutta la sua (presunta) austerità e nel suo alone misterioso si rivelò in carne ed ossa di fronte a me, ed io ero imbarazzato come un mocciosetto scoperto a curiosare in casa altrui. Chissà quanti anni erano trascorsi dall’ingresso di qualcun altro prima di me nel tuo palazzo. Vi entrai verso le tre di pomeriggio credo. Me ne andai di sera, dopo le nove. Ci mettemmo un attimo a riconoscerci già amici, e dopo due attimi eravamo addirittura in cucina (il posto vietato da sempre a qualunque ospite), dove mi recitasti poesie e mi leggesti lunghe pagine delle vostre ricerche. Ricordo che stetti tutto quel tempo senza osar fumare, e quando mi offristi un bitter non ce la feci proprio più, azzardai la richiesta di un accendino. Con un sorriso mi dicesti “Perché non l’hai chiesto prima? Chissà come avrai sofferto tutto questo tempo, anche io fumavo sai?!…”. Quella cucina, così modesta al cospetto delle antiche sale del palazzo, non ti serviva tanto a preparare pietanze, ma a lavorare, era divenuto il tuo studio da quando Giulietta se n’era andata. Ricordo che rimasi di stucco nel vedere che trascrivevi i manoscritti giallastri e dal forte odore di umido con quella Olivetti nera. Non vedevo una macchina da scrivere da quando ero ragazzino. Chi l’avrebbe mai detto che ti avrei convinto mesi dopo a comprare un pc? E chi l’avrebbe detto che ti saresti trasformato addirittura in un vero e proprio smanettone in grado di usare posta elettronica, social network, forum e tutto il resto? Ricordo quando andammo a comprare il mobile per il pc e, tornati a casa tua, montai e collegai monitor, stampante e tutto il resto. Finalmente eravamo pronti per iniziare il tuo battesimo nella nuova era. Accesi il pc, aprii una pagina bianca del programma di scrittura e ti chiesi di prendere il mouse. Lo stringesti in mano intimorito e quando ti chiesi di provare a muovere il cursore sollevasti al cielo entrambe le braccia e mi guardasti con una faccia da pesce lesso: me la feci quasi addosso dal ridere, e al contempo mi disperai, pensando a quale lungo tirocinio informatico ci avrebbe atteso.
Caro amico, nella tua vita romana che tanto amavi raccontarmi, hai conosciuto grandi poeti, famosi scrittori e dottissimi professori, una folla che avrebbe saputo davvero scrivere un necrologio all’altezza dei tuoi meriti e della tua persona, una massa di maestri della parola che avrebbero saputo soffermarsi con freddezza, perizia e con dovuti dettagli sui tuoi lavori, sulla intensa attività culturale svolta negli anni vissuti con Giulietta nella capitale, sui riconoscimenti ottenuti con le poesie, sui risultati delle vostre successive ricerche etnografiche. E invece nulla, accidenti, è toccato a me questo compito, che non sono né grande né dotto ed anzi non riesco oggi nemmeno ad organizzare il pensiero per tratteggiare che so, almeno una pallida idea della persona, dello studioso e del poeta che sei stato. Mi spiace Nino, ma certe responsabilità non dovrebbero toccare agli amici intrappolati dal dolore e faciloni, questi, al più, ti sanno scrivere un’ultima lettera. Oggi vorrei solo abbandonarmi al ricordo del tuo sorriso quando si andava a spasso o per i caffè pomeridiani, quando ti liberavi per qualche momento del peso di quelle tue carte e inspiravi profondo come a fare scorta di ossigeno prima di tornare allo sfibrante lavoro in quel tuo amato e odiato antico palazzo, il santuario polveroso della memoria della tua Giulietta, custodita con quasi ossessa pignoleria. Non stare in pena per il vostro lavoro, non preoccuparti per quel mondo di memorie faticosamente consegnate alle lacere carte, Marcello ed io non le lasceremo sprofondare in quell’oblio che tanto ti atterriva pensando a cosa sarebbe successo dopo la fine dei tuoi giorni. Te lo prometto amico mio, faremo di tutto per portare avanti il tuo progetto, custodirlo e rinnovarlo, se soltanto ce ne daranno modo. Sarà questo il fiore che noi vorremmo portare un giorno sulla sua tomba, il fiore più gradito e importante per te, come ben sa chi ti è stato accanto, il fiore che tu e Giulietta avete curato fino all’ultimo respiro e che noi tutti ci sentiamo in obbligo di tenere in vita e portare allo splendore della luce che merita. Tu, intanto, pensa a riposare in pace amico mio, quel caffè ce lo berremo quando sarà tempo, semmai vorrai affacciarti a trovarmi nel bar dei dannati, sulla terra c’è ancora molto da fare per me e per gli altri nel tuo nome e in quello di Giulietta. Spero che esista davvero quel dio di cui pure mi parlavi ogni tanto, spero che esista soprattutto quel suo paradiso, lo spero per te Nino, perché vorrei saperti finalmente stordito, invasato, posseduto e ubriaco fradicio di quella felicità che soltanto l’abbraccio della tua Giulietta potrebbe donarti. Ciao Nino.
Tuo Paolo
Nino, non potrò più avvisarla della pubblicazione sul sito dei pezzi d’arte suoi e di sua moglie, ma non si preoccupi, Marcello farà di tutto affinché le pagine ingiallite custodite nella Casa dei Poeti non rimangano tali. Grazie, grazie infinite per tutto quello che ci ha trasmesso in questi anni.
Il più bel necrologio è quello che viene dettato dal cuore e, riesce a trasmettere quanto sia stata amata la persona che temporaneamente ci ha lasciati: è bello pensare di ritrovarsi, in un giorno qualsiasi dell’eternità.
Nino Pensabene non c’è più: siamo tutti costernati. Ora riposa in quel di Reggio Calabria, la sua terra natia, la terra di Ibico.
Ciao Nino!
Sono un assiduo e interessato frequentatore di questo sito e come tale, quotidianamente, leggo e scruto con piacere i vari articoli che vengono pubblicati e commentati. In questi dotti e qualificati servizi noto le firme di tanti personaggi che quotidianamente o ne sono gli autori oppure con i loro appropriati e qualificati commenti li arricchiscono di qualità, di sostanza e di spessore. Tra queste illustre firme, molte sono presenti quasi quotidiane: Marcello Gaballo, Rocco Boccadamo, Raffaella Verdesca, Chiara Presicce, Alfredo Romano, Armando Polito e l’immancabile NINO PENSABENE (oltre a tanti altri, non meno importanti, che al momento mi sfuggono e ai quali chiedo scusa). Ora, improvvisamente, vengo a sapere che il nostro NINO (purtroppo non l’ho mai conosciuto di persona e per me è una grande lacuna) non è più con noi e che il Buon Dio ha voluto portarselo con se nel mondo dei buoni e dei giusti, lasciandoci un vuoto incolmabile. Ci mancheranno le sue penetranti e spigolose osservazioni, ci mancheranno i suoi dotti articoli ricchi di sostanziose argomentazioni, insomma, con NINO abbiamo perso molta cultura e tanto sapere e la sua assenza non può non essere sentita e rimpianta da tutti i soci e i frequentatori della Fondazione Terra d’Otranto.
Ciao Nino caro,
amico sincero e poeta geniale. Insieme a noi “anche l’ulivo piange nel Salento” la tua scomparsa.
Ricorderemo per sempre la tua barba bianca, l’indescrivibile ironia e il tuo grande cuore che ha amato come noi tutti dovremmo amare!
La tua poesia sarà sempre nostra amica.
Sandro e Giulia Montinaro