di Armando Polito
Dopo aver passato in rassegna nella precedente puntata le testimonianze numismatiche, è la volta ora di quelle letterarie. Lascio, perciò, la parola agli autori antichi, dando la precedenza a quelli greci.
Omero, Odissea, VII, 115-117, descrizione del giardino di Alcinoo: “Là erano nati grandi alberi rigogliosi, peri e melograni e meli dagli splendidi frutti e dolci fichi e lussureggianti olivi.”. La forma usata è ῥοιαί (leggi roiài) nominativo plurale di ῥοιά (leggi roià).
Empedocle di Agrigento (V° secolo a. C.) in un frammento così si esprime: “[…] perché le melagrane maturano in ritardo e i frutti sono succosi […]”. La forma usata è σίδη (leggi side).
Callimaco (III° secolo a. C.) nell’inno Per il lavacro di Pallade: “O fanciulle, il rossore corse quale ha colore o rosa mattutina o chicco di melagrana”. La forma usata è σίβδα (leggi sibda).
Nicandro (II° secolo a. C.) in Theriacà, vv. 72 e 870-871: “Ancora così dopo aver tagliato dal melograno uno spinoso ramo”, “(Prendi) i calici rosso scarlatto del melograno che si piegano in uno stretto collo dove i fiori bianchi tutt’intorno rosseggiano”. La forma usata è σίδη (leggi side).
Erifo e Agatarchide (sicuramente anteriori al II° secolo a. C.) costituiscono due testimonianze indirette, cioè di loro è rimasta la citazione che ne fa Ateneo di Naucrati (II°-III° secolo d. C.) rispettivamente nel capitolo 27 del libro III e nel capitolo 64 del libro XIV de I deipnosofisti (=I saggi a banchetto).
Erifo ci dà notizia dell’origine divina della pianta (il brano è in forma dialogica e A e B sono gli interlocutori): “B -Ma queste melagrane [nell’originale ῥοαί [leggi roài, plurale di ῥοά (leggi roà)] quanto sono nobili!-. A -Dicono infatti che Afrodite a Cipro piantò quest’albero, uno solo, Berbea-. B -Prezioso!-.
La testimonianza di Agatarchide è inserita in un passo successivo più ampio, interessantissimo per i molteplici riferimenti alla nostra pianta che esso contiene; ragione più che valida per riportarlo integralmente: “Le melograne [nell’originale ancora, come sopra, ῥοαί]. Dicono che tra le melagrane alcune sono senza seme, altre con semi duri. Quelle senza semi sono ricordate da Aristofane ne Gli agricoltori. Lo stesso nell’Anagiro dice: – Eccetto la farina e la melagrana [nell’originale ῥοάς (leggi roàs, genitivo singolare di ῥοά (leggi roà]. Lo stesso in Geritade. Ermippo nei Cercopi dice: – Hai visto già nella neve un seme di melagrana [nell’originale ῥοάς, come sopra]?-. Piccola melagrana [nell’originale ῥοίδιον (leggi ròidion)], come piccolo bue [nell’originale βοίδιον (leggi boìdion], è il diminutivo. Antifane ricorda le melagrane [nell’originale ῥοῶν (leggi roòn) genitivo plurale di ῥοά] dal seme duro in Beozia: – Portarmi dal campo alcune melagrane [nell’originale ῥοιῶν (leggi roiòn) genitivo plurale di ῥοιά (leggi roià), variante di ῥοά] dal seme duro. Epilico a Foralisco: – Dici mele e melagrane [nell’originale ῥοάς (leggi roàs), accusativo plurale di ῥοά]-. Alessi ai fidanzati: – Dalla loro mano una melagrana [nell’originale ῥοάν (leggi roàn), accusativo singolare di ῥοά]-. Agatarchide nel decimo libro delle Cose d’Europa così scrive sul fatto che i Beoti chiamano side [nell’originale σίδας (leggi sidas), accusativo plurale di σίδη (leggi side) o σίδα (leggi sida)] le melagrane [nell’originale ῥοιάς (leggi roiàs) accusativo plurale di ῥοιά (leggi roià) variante di ῥοά]: Litigando gli Ateniesi con i Beoti circa il territorio che chiamano Side [nell’originale Σίδας (leggi Sidas) accusativo plurale come il precedente σίδας ma usato come toponimo], Epaminonda per esprimere il suo giudizio, dopo aver estratto all’improvviso una melagrana [nell’originale ῥοάν, come sopra] che teneva nascosta nella mano sinistra e dopo averla mostrata, chiese agli Ateniesi come la chiamavano. Rispose che la chiamavano roà [nell’originale ῥοάν, come sopra]. Al che ribattè che loro [i Beoti], invece, la chiamavano sida [nell’originale σίδαν (leggi sidan), accusativo singolare di σίδα (leggi sida)]. Infatti quel territorio ha abbondanza di questa pianta dalla quale fin da principio prese il nome. E così [Epaminonda] risolse la disputa. Menandro nel Punitore di se stesso le chiama piccole melagrane [nell’originale roìdia, accusativo plurale del roìdion già visto] con queste parole: Dopo il pranzo nello stesso tempo misi in tavola mandorle e gustammo piccole melagrane [nell’originale ῥοιδίων (leggi roidìon), genitivo plurale del ῥοίδιον già citato]”; subito dopo apprendiamo quanto segue: “Si chiama side (nell’originale σίδη, come sopra) anche una pianta simile alla roia [nell’originale ῥοιᾷ (leggi roià) dativo del già citato ῥοιά], che nasce nella palude intorno ad Orcomeno nella stessa acqua, le cui foglie mangiano le pecore, i germogli i maiali, come tramanda Teofrasto nel quarto libro sulle piante”.1
E infatti Teofrasto (IV°-III° secolo a. C.) a questa pianta chiamata pure essa σίδη (leggi side) dedica un lungo brano nel capitolo 10 del libro IV della Historia plantarum, che non riporto perché questa specie acquatica non rientra nella nostra trattazione.
Lo stesso autore, però, nella stessa opera dedica ampio spazio in ordine sparso alla nostra pianta, per la quale usa il nome, già incontrato, di ῥοά e ῥοιά; riporto i passi più notevoli: “Altre piante hanno poche radici, come il melograno (nell’originale ῥοιά); “Né il pero né il melograno (nell’originale ῥοιά) né il melo sembrano avere per natura un unico ceppo nè emettere esclusivamente polloni dalle radici, ma sono resi tali dall’intervento dell’uomo con la potatura. Talora per l’esilità della pianta lasciano il melograno [nell’originale ῥοιά] e il pero con più ceppi”; “Pochi alberi e in pochi luoghi sembrano mutare sì che la specie diventi domestica da un seme selvatico o migliore da una peggiore; sappiamo che questo è avvenuto solo nel melograno [nell’originale ῥοά] in Egitto e in Cilicia; che quello amaro piantato e seminato in Egitto assume un po’ di dolcezza e di sapore di vino, in Cilicia vicino al fiume Pinaro, dove si combattè contro Dario, tutti nascono dando frutti senza seme”.
La carrellata sugli autori greci si chiude con Dioscoride (I° secolo d. C.): “Ogni melagrana [nell’originale ῥοά] è di sapore gradito ed utile allo stomaco, ma è di scarse capacità alimentari. Tra di loro quelle più dolci sono ritenute più utili allo stomaco, ma intorno ad esso generano alquanto calore e leggera flatulenza, per cui non giovano ai febbricitanti. Quelle amare giovano allo stomaco infiammato e lo contraggono di più e stimolano meglio la diuresi ma sono poco gradite alla bocca e astringenti. Quelle dal sapor di vino hanno proprietà intermedie. Il grano di quelle amare essiccato al sole e cosparso sulle pietanze e pure cotto con esse blocca la diarrea e i movimenti dello stomaco; macerato in acqua piovana e bevuto giova a chi sputa sangue e si usa nei semicupi dei dissenterici e in caso di diarrea. Il succo dei grani cotto e mescolato col miele giova alle ulcerazioni della bocca, dei genitali e del sedere, nonché ad eliminare le escrescenze carnose delle unghie, le ulcere che consumano e quelle che si sviluppano nelle carni, parimenti al dolore di orecchi e alle malattie delle narici, soprattutto se tratto da melagrana amara”.
Fin qui è emerso che la pianta di cui si sta trattando nel mondo greco ora è chiamata sida/side/sibda, ora roà/ròa/roià/roiè, con ulteriore sviluppo del diminutivo ròidion).
Nella prossima puntata protagonisti saranno gli autori latini.
CONTINUA
Per la prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/09/18/la-seta-il-melogranola-melagrana-16/
Per la seconda parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/09/20/la-seta-il-melogranola-melagrana-26/
Per la quarta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/09/29/la-seta-il-melogranola-melagrana-46/
Per la quinta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/10/04/la-seta-il-melogranola-melagrana-55/