di Armando Polito
Aggiungo adesso (e quando, sennò?) come sottotitolo: escursione etimologica dal freddo invernale alle creature del mare, dalle faccende domestiche alla sfilata di alta moda.
Rare sono, in tutte le lingue, le parole che non abbiano subito almeno uno slittamento metaforico rispetto al loro significato originario. Sono numerose, ma non numerosissime, pure quelle che, anche attraverso i derivati, mostrano un’eccezionale versatilità, cioè la capacità di assumere parecchi significati che finiscono per coinvolgere i campi più disparati, tanto che, se si dovesse partire da questi ultimi, in alcuni casi sarebbe piuttosto complicato risalire al significato originario.
È il caso di manta che nel dialetto neretino (il dizionario De Mauro la registra per l’italiano ma come voce obsoleta) è sinonimo di coperta. Oggi a mitigare i rigori dell’inverno ci pensa l’impianto di riscaldamento e, ove questo non basti, il piumone (all’interno del quale il curioso esploratore non sempre trova le piume …), il plaid, la termocoperta. Fino a pochi decenni fa la stessa funzione era deputata al braciere e ad una o più mante, per lo più di lana grezza.
La voce è dallo spagnolo manta, a sua volta neutro plurale del latino medioevale mantum=mantello. In epoca classica mantum non risulta attestato e la cosa appare abbastanza strana visto che in Plauto (III-II secolo a. C.) compare mantellum che è chiaramente suo diminutivo, come porcellus da porcus. C’è da credere, però, che la voce fosse di uso parlato e un indizio potrebbe essere nel greco μαντίον (leggi mantìon)=mantello presente in Teodoreto (V secolo d. C.); μαντίον infatti ha tutta l’aria di essere trascrizione del tema mant– di mantum con l’aggiunta del suffisso diminutivo –ίον.
Manta è in italiano il nome generico della razza, in dialetto salentino ràscia; in basso un esemplare di ràscia pitrosa (Raja clavata L.) piuttosto comune dalle nostre parti. Pitrosa perché la sua superficie ricorda quella di una pietra; clavata alla lettera significa ricoperta di chiodi.
Lascio al lettore cogliere i rapporti di somiglianza tra la forma appiattita di questo pesce e una coperta.
Ha rapporti con manta anche mantile che nel dialetto neretino è sinonimo di grembiale (nella sua forma più semplice una specie di tovagliolo fissato alla vita con due laccetti annodati dietro le spalle).
Mantile è voce del latino medioevale, a sua volta dal classico mantele che significa asciugamano in Varrone ed altri, tovaglia in Marziale. In latino è attestato con lo stesso significato pure mantelium e mantelum. Come era successo con mantum sembra essere proprio trascrizione del latino mantele il greco μαντήλη (leggi mantele)=tovagliolo, asciugamano. Va pure detto che mantile si alterna con antile che, però, appare come forma aferizzata di vantile in uso in altre zone del Salento e che a sua volta è forma aggettivale con aferesi da *avantile (il grembiale protegge la parte anteriore del corpo).
Nella foto sottostante un esemplare moderno del quale mi auguro non sia tanto agevole individuare il proprietario, nonostante la traduzione della decalcomania e le due note …
Quando gli tocca lavare i piatti/non ci sono discussioni o santi,/non ha rumena o moldava;/lui li deve pulire tutti quanti./ Gli do una mano con tutto il cuore,/ perché non si schizzi e non si lordi;/ci mette sempre un paio d’ore/e a terra lascia orme e pozzanghere./Per tutti mi chiamo antile o mantile,/un solo padrone io tengo e cantando/il nome suo con voce sottile/vi dico che è quel fesso di Armando.
* pistìsciu: la voce non è registrata dal Rohlfs; è deverbale da pistisciare, corrispondente all’italiano pesticciare (=calpestare ripetutamente), intensivo di pestare. In italiano pesta, sempre da pestare, è l’impronta lasciata sul terreno da uomo o animale.
** mburda: credo (il Rholfs non avanza alcuna proposta) sia deverbale da mburdare (=infangarsi, entrare con i piedi in una pozzanghera), il cui corrispondente italiano, se ci fosse, sarebbe imbordare=oltrepassare i bordi.
Dopo questa parentesi da bravo (?) massaio e da discutibile (solo?) etimologo passo ad altro.
Nel dialetto neretino il luogo riparato dal vento si chiama mantagnu. Il Rohlfs non propone neppure in questo caso nessuna etimologia ma credo che sia forma aggettivale sostantivata [*mantàneu(m)] da manta.
Le sfilate di moda mi hanno angosciato in passato quando imperavano le modelle filiformi e vivevo nel terrore di vedere sulla passerella da un momento all’altro un mucchietto di ossa slogate, appena appena coperte da quello che era stato fino a qualche istante prima un capo d’alta moda … Se allora mi angosciavano non è che oggi, nonostante le modelle siano più decisamente in carne, suscitino il mio entusiasmo. Ogni tanto, però, vedo riapparire capi del passato più o meno reinterpretati. Non mi meraviglierei, perciò, se nella prossima sfilata autunno-inverno dovesse fare tendenza la mantiglia, cioè quel capo femminile del XVIII secolo costituito da una mantella corta di merletto o seta con cappuccio o doppio bavero, oggi scialle tradizionale che le donne spagnole portano sul capo, fermato da un particolare pettine, e che ricopre loro le spalle.
Mantiglia è, infatti, voce spagnola, diminutivo di quel manta da cui siamo partiti. E per oggi è tutto.
“Mantera” il grembiule per la mia cara nonna, proveniente da Uggiano la Chiesa, “mantile” per mia madre, proveniente da Borgagne.
Ed io passavo la mia infanzia ad annodare ora una mantera ora un mantile, indossando un graziosissimo “grembiulino”a quadrettini bianchi e rossi che, fra le mura domestiche, sostituiva il grembiule scolastico, rigorosamente nero.