testo e foto di Mimmo Ciccarese
Scampato il timore di un possibile temporale nel Salento alla fine del mese di agosto che avrebbe potuto compromettere la produzione, riparte il rito della vendemmia. Già nelle rinomate zone a denominazione d’origine controllata si respira la prima aria di raccolta dell’uva e con essa le ansietà proprie di questo periodo. Chi raccoglie in modo tradizionale e chi in modo meccanico in un felice divario che equipara la consegna di un buon prodotto presso cantine private e cooperative sociali.
Sembra che anche quest’anno i viticoltori abbiano raggiunto in campo un’appagante gradazione zuccherina, grazie all’ultimo solleone che ha fatto schizzare le caratteristiche qualitative al top.
Come il mostimetro misura la buona percentuale di zuccheri nell’uva e quindi rende l’idea del futuro maggior grado alcolometrico, così i viticoltori valutano tra di loro la soddisfazione tra le piazze di paesi importanti per la produzione di vino DOC Salice Salentino.
Riprende il conto alla rovescia prima della consegna delle uve o della vinificazione in proprio. Si contano i grappoli per ogni ceppo, si moltiplicano e si dividono i risultati possibili, si formulano ipotesi produttive come quando si pianificano le scelte più importanti senza perdere alcun dettaglio come si fa da secoli: scegliere la forza lavoro, contrattare il prodotto e vinificarlo.
Il tempo di settembre comincia così nell’area salentina settentrionale, con i motocarri scoppiettanti carichi d’uva, scorazzare le stradine del paese tra pigiadiraspatrici e tini capovolti a scolare per bene tutto il mosto della pregevole produzione.
Si può ancora sentire in alcuni quartieri l’ipnotico tintinnare delle più vecchie presse idrauliche al ritmo di movimenti lenti e appassionati come intese tra produttori e l’odore del negroamaro; potrebbe essere l’era dell’enoturismo che già qualche cantina propone e che dovrebbe essere riesaminato dalle istituzioni.
La vendemmia è una sinfonia tra gli operai: chi taglia l’uva (fimmine), imbacuccate per proteggersi dalla rugiada mattutina e chi la versa nei tini (ndiacacacanisce), chi la trasporta sul dorso (cufiniciaturu), uomo corporato con il dono congiunto della forza e della resistenza e chi la conduce a macinare (lu camiu) presso lo stabilimento (parmientu), pilota con il dono della solerzia e l’esperienza della “pesata”.
Eppoi gli strumenti: “sicchiu e forbicetta”, rigorosamente personali, il “muscale”, fagotto ripieno di stracci per ammortizzare il peso dei cufiniciaturi, le “tinelle”, contrassegnate dalle iniziali del proprietario che non sono mai esatte ai numeri produttivi previsti e infine l’immancabile “guantiera”, vassoio di caldi “pasticciotti leccesi”, delicata sorpresa del datore di lavoro per i lavoratori. Svegliarsi di buona ora, con le prime percosse scherzose dei più allegri operai che destano il sorriso dei più assonnati e il cufiniciaturu che distribuisce con precisione svizzera l’equidistanza dei contenitori più grandi sulle file del vigneto.
S’inaugura così la raccolta del primo ceppo con un’atmosfera bucolica e si finisce tra le chiacchiere e i commenti di paese che aiutano a sveltire e raggirare la fatica. Poi giunge il tempo della sosta-siesta che una volta si definiva “allu utare”, cioè al voltare della capezzagna del filare dove trovavi sempre un muretto a secco, un’ombra di gelso, di noce o di fico accanto ad una cisterna d’acqua utile per sciacquare le mani prima del meritato spuntino o per concedersi una “bevuta” dallo “mbile” tipico otre salentino di terracotta.
Il mezzogiorno decreta così ancora umili scampoli di vendemmia, i grappoli migliori lasciati come uva da tavola come scorta autunnale o come dono di buon augurio per trasformare la pregiata produzione di quest’anno in ottimo vino; ma questa è un’altra storia.
Mimmo Ciccarese è scrittore ormai noto agli affezionati della Fondazione Terra d’Otranto, così come ai siti specialistici e amatoriali che di natura, ambiente e agronomia si occupano. Mimmo spiega ai profani gli equilibri natura-natura e natura-uomo, lo fa con tecnicismi gentili, usa parole chiare per tendere la mano a chi non è avvezzo nè esperto a seguire i ritmi della campagna.
Nelle descrizioni del nostro autore sono protagonisti assoluti gli occhi e proprio quelli colgono colori e forme da offrire, testimoni le sue coinvolgenti parole e le sue bellissime immagini.
C’è storia fra le zolle, c’è cultura negli ulivi, c’è vita fra i grappoli d’uva e, d’incanto, nelle parole di Ciccarese si accende l’eco dei canti di donna che alleviano i passi dei portatori e la fatica di mani che tagliano, raccolgono, si stringono e pregano.
Il lettore vive e rivive atmosfere campagnole che sanno delle radici d’un popolo, tutto intorno è un tripudio di gioia e di attese: ‘fimmene’ ridono, chiacchierano, cinguettano amore in omaggio alla più felice festa dell’anno, la vendemmia. Così l’uva, frutto succoso e carico di questa terra detta Salento, parla di sudore, di soddisfazione resa agli amanti, racconta di riti, strumenti e sogni. Ma per sentire tutto questo, dobbiamo ascoltare chi della sua vita ha fatto altare alla natura e al suo rispetto. Grazie Mimmo.
La tua nota Raffaella Verdesca, non può che rendermi felice, è come un chicco al sapore di mosto, la sento come un battito di cuore perché è il mio percorso; una nota che vira dolcemente ai primi volti autunnali di una semplicità rurale ancora carica di speranze. Parole che sono fermenti senza le quali il mosto non potrebbe diventare vino, che restituiscono coraggio tra le zolle, energia per chi celebra il ciclo della vite e offre il suo prodotto. Scopro attraverso https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/09/07/il-mio-zampino-sulla-vendemmia/ il fascino della nostra terra, un coltre di vero cultura mediterranea che non fa altro che arricchire la forza e la gentilezza dei lineamenti di un popolo; gli stessi volti che accreditano la tua preziosa opera così bella da condividere e a cui ti sono grato.