di Rocco Boccadamo
Sabato 31 agosto, nel corso di una bella serata avente per cornice la piccola e graziosa Piazza S. Nicola di Cocumola (Lecce),si è svolta l’ottava edizione del Premio “La luna dei Borboni”, dedicato alla figura e all’opera del poeta salentino Vittorio Bodini.
L’ambito riconoscimento è andato, quest’anno, a Guido Davico Bonino, critico letterario, storico e teatrale.
In aggiunta, targhe col simbolo “La luna dei Borboni” sono state consegnate a Luciano De Rosa, già redattore della rivista “L’esperienza poetica” fondata e diretta da Bodini dal 1954 al 1956, al poeta e critico Antonio Mangione e all’ex rettore dell’Università del Salento Donato Valli. Infine, un riconoscimento postumo anche per Oreste Macrì, fra i maggiori ispanisti italiani del Novecento.
La manifestazione, condotta dal giornalista Beppe Stallone, redattore del giornale telematico GO.Bari.it, è stata impreziosita attraverso la recita di alcune composizioni bodiniane per opera dell’attrice leccese Carla Guido, l’esecuzione, da parte del maestro pianista Andrea Padova, di una serie di brani originali da lui composti, traenti ispirazione sempre da poesie di Bodini e, da ultimo, due brevi rappresentazioni teatrali, su temi del medesimo autore letterario, proposte da gruppi d’attori salentini, con il coordinamento di Antonio Minelli, regista di eventi ed esperto di comunicazione.
E’ intervenuta la figlia dell’intestatario del Premio, nonché Presidente dell’omonima Fondazione, Valentina Bodini.
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Così, lo scenario, la scaletta e il contenuto dell’evento.
E, però, mai come in questa circostanza, al centro dell’atmosfera tutt’intorno e di fronte al palco, nella stessa aria respirata gradevolmente grazie a leggeri refoli di tramontana, a cominciare dai preamboli dell’arrivo delle autorità, degli ospiti e degli spettatori e sino al saluto conclusivo del conduttore, si è costantemente avvertita, nel cuore di Cocumola, la presenza, idealmente viva e intensa di lui, Vittorio Bodini.
Nato casualmente a Bari nel 1914, da genitori salentini, rientrato in tenera età a Lecce e quindi cresciuto in stretta comunione con queste terre e con la gente locale, laureatosi in filosofia nell’Ateneo del capoluogo regionale e nuovamente lì, dopo una parentesi di tre anni di studio, approfondimento, esperienze e frequentazioni culturali a Madrid, in qualità di professore ordinario di letteratura spagnola. Morto a Roma nel 1970.
E’ notevole la sua produzione letteraria e soprattutto poetica, dal primo manifesto futurista a diverse raccolte di versi succedutesi nel tempo.
Ma, a prescindere dalla mole, nell’opera dell’autore in discorso, colpisce e impressiona la peculiarità qualitativa che trasuda pressoché da ogni rigo o dettaglio, le parole non sono isolate, bensì hanno un anima, fatta di volti, ambienti, situazioni ed eventi.
E’, in particolare, il Salento, con la sua tipica espressività esistenziale e le consuetudini sociali, ad emergere da numerose poesie di Bodini.
Elementi e/o compagni di vita ormai da qualche tempo desueti, del genere, solo per citare, del tabacco (una campionatura di foglie in corso d’essiccazione è stata felicemente posta sul palco, sabato 31), oppure dei traini dalle alte ruote a raggiera e corredati di lanterna, in viaggio di notte, con pesanti carichi di tufi estratti dalle immense cave diffuse nella zona.
Cave, a guisa di paradisi a rovescio di sudore, trasferte con i traini, di sovente simboleggianti, oltre che disagi, incertezze e ansie. Altro lato della medaglia, d’impronta positiva, quanti edifici, quanti sposi accasati e quanti nuovi nidi ne sono nati o derivati!
Un paese che si chiama Cocumola / è / come avere le mani sporche di farina / e un portoncino verde color limone. / Uomini con camicie silenziose fanno un nodo al fazzoletto / per ricordarsi del cuore. / Il tabacco è a secare, / e la vita cocumola fra le pentole / dove donne pennute assaggiano il brodo».
Sarà, forse, azzardata e approssimativa la mia idea di accostamento, tuttavia la figura di Vittorio Bodini, col suo bel volto pacato da signore nell’animo, mi fa venire alla mente l’ape, il minuscolo insetto che, in genere, passa per noioso, fastidioso. A voler meglio riflettere, invece, tale creatura va attingendo nettare dai fiori e/o dalle piante, che qui profumano anche di salsedine per il mare non lontano, per poi rendere il frutto della sua attività sotto forma di miele e, al caso, con una successiva lavorazione, di pappa reale, nutrimento fra i più eccellenti per gli umani.
E, in fondo, si può definire in certo qual modo similare il processo di ideazione e di elaborazione delle sue composizioni poetiche, da parte del Bodini: egli assimila paesaggi, terre, abitudini, volti e genti, natura, fiori, frutti e piante e ne fa la base per liriche che fanno vibrare le menti e gli animi di chi si accosta, leggendole e meditandole.
Qui non vorrei morire dove vivere / mi tocca, mio paese, / così sgradito da doverti amare; / lento piano dove la luce pare / di carne cruda / e il nespolo va e viene fra noi e l’inverno.// Pigro / come una mezzaluna nel sole di maggio, / la tazza del caffè, le parole perdute, / vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano: / divento ulivo e ruota di un lento carro, / siepe di fichi d’India, terra amara/ dove cresce il tabacco. / Ma tu, mortale e torbida, così mia / così sola / dici che non è vero, che non è tutto. // Triste invidia di vivere, in tutta questa pianura / non c’è un ramo su cui tu voglia posarti».
Da non addetto ai lavori e soprattutto da non esperto, penso che l’opera dell’autore salentino non sia soltanto esempio di fine arte poetica, ma anche connubio sublime e straordinario fra il momento e i contorni dell’ispirazione e l’opera successiva di trasposizione del relativo contenuto in versi e strofe.
In fondo, senza ombra di partigianeria o spirito campanilistico, il patrimonio poetico lasciato dal Bodini sembra di livello assolutamente e indubbiamente eccelso; l’autore di cui parliamo non può definirsi semplicemente e riduttivamente di rango locale o regionale, ma può stare degnamente a fianco dei più grandi poeti italiani e finanche europei.
Verrà un giorno in cui, nelle raffigurazioni intorno alle maggiori eccellenze in campo poetico e letterario, insieme con l’ermo colle, i cipressi e la magia composta di Santa Croce, figurerà anche il Salento e in particolare la minuscola Cocumola (frazione con appena mille residenti), grembo e patria di Bodini.
Un autore, a tutt’oggi scarsamente apprezzato rispetto alla sua grandissima opera, ma che, v’è da credere, troverà rapidamente ampia rivalutazione.
A tal fine, sarà un’importante pietra miliare l’ormai prossimo 2014, centenario dalla nascita del poeta.
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Intanto, per giusto omaggio e per riservare a lui l’onore dell’intera scena, nella sera di sabato 31 agosto, la luna che sovente s’affaccia in alto, fra astri e pianeti, se n’è stata da parte, lasciando in prossimità del nostro sguardo una sua omonima, vale a dire “La luna dei Borboni”, intitolazione del premio dedicato a Bodini.