di Armando Polito
Chi è di Nardò ma anche chi, pur non essendolo, ne è stato visitatore attento può immediatamente riconoscere nella foto di sinistra il Palazzo Personé, attuale sede del Municipio, e in quella di destra Villa Leuzzi a S. Maria al Bagno che, per chi non lo sapesse, di Nardò è una frazione.
Non è necessario essere un critico o uno storico dell’arte per cogliere le differenze stilistiche tra le due fabbriche, anche se il rifacimento della facciata di Palazzo Personé e la costruzione di Villa Leuzzi sono contemporanei, essendo stati realizzati tra la fine del XIX secolo e gli inizi del successivo.
Cosa, allora, mi ha spinto ad occuparmene in questo post? Il dettaglio che in basso riproduco, il primo del palazzo, il secondo della villa sulla facciata prospiciente il mare. Preliminarmente, però, voglio ringraziare due persone: Corrado Notario per le foto in alta definizione di Villa Leuzzi, espressamente fatte per me, dalle quali ho tratto il dettaglio insieme con gli altri riprodotti in questo post, e Giovanna Falco per avermi dato con alcune sue foto dello stesso soggetto precedentemente postate in facebook l’occasione e l’ispirazione per scrivere quanto segue; senza Giovanna questo post, per quanto modesto, non sarebbe esistito, senza Corrado sarebbe nato difettoso proprio nella parte più importante, quella che fornisce l’immediato riscontro a quanto si afferma o ipotizza; tutte le altre foto, a parte quelle d’epoca e quelle recanti una diversa indicazione di provenienza, sono mie.
Parto dal dettaglio della villa e per rendere più agevole il raffronto lo inverto orizzontalmente, operazione, questa, che in ricerche del genere costituisce più che altro un trucchetto visivo che, però, non incide minimamente sulle conclusioni.
Grazie a questa operazione la figura maschile (a destra) e quella femminile (a sinistra) hanno una perfetta corrispondenza con la rappresentazione del palazzo. Notiamo la comune postura distesa ma nella villa è come se si fossero avvicinate e come se la decorazione traforata che nel palazzo le divide fosse stata travasata lateralmente in modo simmetrico e il traforo si fosse “rimarginato”. Insomma ho l’impressione che elementi compositivi assolutamente uguali siano stati abilmente adattati alla struttura del supporto. Così il braccio destro della figura femminile è ripiegato nella villa, teso a toccare il margine superiore della balaustra del balcone nel palazzo; ancora nel palazzo, quello sinistro è perfettamente aderente alla cornice superiore del traforato, cosa che avviene simmetricamente per il destro della figura maschile, mentre il sinistro nel palazzo tocca la gamba sinistra e nella villa impugna un tridente.
Questo dettaglio consente di affermare senz’ombra di dubbio che si tratta della rappresentazione di Poseidone (per i Greci, Nettuno per i Romani) e Anfitrite (Salacia per i Romani), sua moglie. Da un punto di vista iconografico il tema mi pare trattato originalmente poiché, a quanto ne so, rare sono le rappresentazioni, antiche e moderne, in cui compaiono entrambi e, comunque, mai, esclusi forse il secondo e il terzo degli esempi che seguono, nella postura che assumono nel nostro caso.
Anfitrite, Ebe e Poseidone in uno στάμνος (leggi stamnos, un tipo di vaso) attico del pittore di Syleus datato al 480 a. C. circa, conservato nel Museum of Art di Toledo (Ohio, Usa).
Qui la coppia fa parte della decorazione di un ῥυτόν (leggi riutòn; un contenitore per versare vino o acqua; in questo caso ha la forma della testa di un cerbiatto) datato tra il V e il IV secolo a. C. e custodito nel Civico Museo di storia e arte di Trieste.
Le due foto rappresentano altrettanti dettagli della cosiddetta Ara di Domizio Enobarbo (si tratta di quattro lastre, conservate in parte al Louvre, in parte, è il caso delle nostre, nella Gliptoteca di Monaco) databile alla fine del II secolo a. C.; esse mostrano un θίασος (leggi thìasos, corteo sacro) celebrante le nozze di Nettuno e Anfitrite seduti (nella prima raffigurazione) su un carro trainato da tritoni e accompagnati (nella seconda) da pistrici (mostri marini). In base ad un passo di Plinio1 si è ipotizzato che siano copia da Scopa (IV secolo a. C.).
Anfitrite e Nettuno in un affresco del I secolo d. C. proveniente da Pompei (IX, V, 14) ed ora custodito nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Questo mosaico in pasta vitrea del I secolo d. C. è il pezzo forte della Casa di Nettuno ed Anfitrite ad Ercolano. Fu portato alla luce nel 1928 e perciò il dettaglio evidenziato a sinistra dalla circonferenza in rosso non può aver ispirato i fregi floreali tipici dell’art nouveau ed è pure poco probabile che lo abbia fatto con quelli che accompagnano la coppia in entrambe le rappresentazioni moderne qui esaminate, di seguito evidenziati2.
Comunque siano andate le cose, credo di poter affermare che l’autore nella villa tenne presenti, comunque, gli stili di pittura pompeiani, direi il primo e il quarto, nella foto in basso così evidenziati: in giallo quelli che evocano il primo (meglio: la sua fascia mediana, l’antenato pittorico dell’architettonico bugnato liscio, qui “continuo”3), in bianco quelli che evocano il quarto che, com’è noto, non disdegnò di riprendere elementi degli stili precedenti, soprattutto i tralci vegetali del secondo e i πίνακες (leggi pìnakes=quadretti) del terzo4.
La struttura compositiva della decorazione si ripete tal quale nella facciata prospiciente la piazza:
e in quella, sempre, perpendicolarmente rispetto all’ultima nostra, prospiciente la piazza, in un’altra fabbrica (foto successiva) a poco più di cinquanta metri di distanza, soprattutto nella parte superiore.5
Colgo l’occasione per dire come il progettista di Villa Leuzzi si trovò a dover risolvere il problema di impostare un edificio che mantenesse la stessa struttura nei due prospetti principali, quello prospiciente il lungomare e quello, perpendicolare al primo, prospiciente la piazza. La forma della copertura, però, nonché la suddivisione degli interni, secondo me lo obbligò ad una soluzione di compromesso che privilegiò il prospetto volto verso la piazza condannando l’altro all’asimmetria con l’estrema parte destra che appare piuttosto estranea al resto della fabbrica; il colpo finale, poi, almeno per i miei gusti, venne dato con l’aggetto del balcone (se non fosse perfettamente visibile nelle foto d’epoca che seguono si sarebbe detto superfetazione recente; in particolare le strutture metalliche, siano esse pezzi di ringhiera o di ponteggi, poggiate sul muretto e il materiale da costruzione collocato piuttosto disordinatamente poco distante, visibili nella prima foto, inducono a credere che essa si riferisca ad un tempo in cui i lavori erano in fase di ultimazione).
In questa seconda foto, probabilmente più antica di qualche anno della precedente, il dettaglio ingrandito consente di distinguere agevolmente il balcone con la sua ringhiera.
La foto che segue ci conduce ancora più a ritroso nel tempo, quando villa Leuzzi era ancora di là da venire (sarebbe sorta più o meno nello spazio evidenziato in rosso) ma del palazzo prima citato a raffronto c’era già la struttura originaria (evidenziata in celeste).
Torno al balcone: esso appare come un corpo estraneo in un corpo estraneo, anche se ingentilito dalle esili colonne che lo reggono richiamanti l’inedita decorazione pentafora cieca (nella foto sottostante evidenziata in rosso) della parete in cui si apre la porta-finestra, decorazione che a sua volta richiama la bifora senza colonna centrale (evidenziata in bianco) della restante parte della facciata; inoltre, mentre la cornice superiore della porta finestra si raccorda con quella del sottostante ingresso secondario (entrambe evidenziate in giallo), la finestrella superiore presenta una cornice a sesto acuto (evidenziata in nero) e nel suo complesso sembra riassumere la forma di questa parte destra in cui i richiami evidenziati con il resto non mi sembrano sufficienti a produrre un esito pienamente convincente.
Rimane il continuum nella lettura del tetto che, procedendo da sinistra a destra e continuando dopo aver voltato l’angolo, presenta il seguente profilo complessivo dei due prospetti principali: __/\__/\__/\__
Non sono un architetto, ma credo che uno studio preliminare adeguato della superficie a disposizione avrebbe consentito una soluzione più armonica delle facciate conservando il continuum del tetto (il cui profilo questa volta sarebbe stato ___/\_____/\___ ) e rivedendo e adattando la disposizione degli interni e delle aperture.
Riprendo ora, dopo questa lunga parentesi, la cui parte iniziale ha inquadrato questa villa in quel contesto eclettico di citazioni ed echi, classici e non (tra questi soprattutto la decorazione nei motivi floreali mostra l’adesione alla contemporanea art nouveau; tra quelli classici non manca neppure il rosone quasi cieco, evidenziato in celeste, con le sue numerose evocazioni in tutto o in parte consapevoli: dalla ruota di un timone ad un’elica o ad un oblò, dal quadrante di un orologio ad una croce greca, da una ruota della Fortuna ad una rosa dei venti), che ispirarono, con esiti complessivamente felici (in fondo anche una poesia è fatta di parole per lo più già in uso e una composizione musicale è pur sempre basata sulle solite note …), anche le numerose altre costruite in quegli anni in località Cenate, la carrellata sulle rappresentazioni antiche della coppia Anfitrite e Nettuno. E quella delle ville signorili sorte tra la fine del XIX secolo e gli inizi del successivo fu un fenomeno che accomunò Nardò e S. Maria di Leuca, che in quelle ville ospitarono i profughi ebrei scampati alla follia del nazismo.
Il Trionfo di Anfitrite e Nettuno in un mosaico della prima metà del IV secolo d. C. rinvenuto a Costantina in Algeria nel 1842, custodito al Louvre.
Denario serrato datato 72 a. C.; nel recto busto drappeggiato di Anfitrite con testa volta a destra, a sinistra simbolo di controllo (detto spugna) e a destra simbolo di comtrollo H; nel verso Nettuno in biga trainata da cavalli marini tiene le redini e il tridente; legenda Q(UINTUS) CREPEREI ROCUS.
Non c’era da aspettarsi certo di trovare su una moneta, in cui i soggetti principali di norma vengono ripartiti nel recto e nel verso, Nettuno ed Anfitrite rappresentati insieme, nella posa che definirei “fotografica” del palazzo e della villa.
Passano i secoli e anche l’iconografia si rinnova. In questo dettaglio della decorazione della Sala del Fregio nella Villa della Farnesina a Roma, eseguita intorno al 1510 da Balsassarre Peruzzi, vi è raffigurata la coppia in cocchio, col figlio Tritone6 sulla gamba destra della madre. Da notare come l’aggiornamento iconografico ha comportato la sostituzione dei cavalli marini con cavalli normali montati, però, da due creature metà uomo e metà pesce, cioè due tritoni (e tritone, come nome comune, deriva proprio da Tritone).
Chiudo la carrellata con questo imponente bronzo collocato nel parco della reggia di Versailles, opera (1735-1740) di Lambert-Sigisbert Adam.
È tempo di tornare alle nostre due rappresentazioni. Nonostante i punti di contatto messi, spero sufficientemente, in luce, c’è da osservare che se Nettuno ed Anfitrite erano perfetti per una fabbrica che volge lo sguardo al mare7, altrettanto non lo erano per il palazzo. Ecco, allora, che nella decorazione di quest’ultimo, come ho notato all’inizio, Nettuno non ha il tridente. Qui la coppia si è spogliata dei panni divini conservando, però, l’eco lontana del mito nella trasfigurazione tutta umana riferita, credo, alla coppia baronale.
Lascio ad altri più qualificati di me valutare se è praticabile l’ipotesi, prospettata nel titolo sia pure limitatamente alla decorazione presa in esame, che progettista di villa Leuzzi sia stato quello stesso Generoso De Maglie che realizzò il rifacimento della facciata di palazzo Personè e se, dunque, il dettaglio oggi esaminato possa essere ragionevolmente considerato come la sua “firma”, sia pur apposta nel caso del palazzo su una scultura, in quello della villa su una pittura.
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1 Naturalis historia, XXXVI, 25: Scopae laus cum his certat. Is fecit Venerem,et Photon, et Phaethontem, qui Samothrace sanctissimis caerimoniis coluntur. Item Apollinem Palatinum, Vestam sedentem laudatam in aSevilianis hortis, duasque chametaeras circa eam, quarum pares in Asinii monumentis sunt, ubi et Canephoros eiusdem. Sed in maxima dignatione delubro Cn. Domitii in circo Flaminio Neptunus ipse, et Thetis, atque Achilles, Nereides suora delphinos et cete et hippocampos sedentes. Item Tritones, chorusque Phorci, et pristes, ac multa alia marina, omnia eisdem manus, praeclarum opus, etiam si totius vitae fuisset (La fama di scopa gareggia con quella di questi [altri scultori nominati prima]. Egli fece Venere e Foto e Fetonte che sono onorati in Samotracia con santissime cerimonie. Parimenti l’Apollo Palatino, nei giardini serviliani l’apprezzata Vesta sedente e inservienti vicino a lei come nei monumenti di Asinio dove ci sono anche portatori di ceste anche loro di sua mano. Ma nella massima considerazione sono nel tempio di Gneo Domizio nel Circo Flaminio lo stesso Nettuno e Teti E Achille, le Nereidi che siedono su delfini, balene e ippocampi. Parimenti i Tritoni e il corteo di Forco e pristici e molte altre creature marine, tutti di sua mano, opera tra le più famose anche se fosse stata l’unica di tutta la sua vita).
2 La stessa tipologia di fregio ricorre anche nello stemma della famiglia Leuzzi posto in un riquadro che sormonta l’ingresso non costituito dal solito solenne portale ma da un’apertura poco più grande degli altri due accessi laterali della facciata.
3 E, aggiungerei, “ornato”; questa caratteristica, purtroppo si può cogliere solo ad una visione ravvicinata, come si può agevolmente notare nel dettaglio.
4 Sono quattro grandi e quattro piccoli, replicati sulle due facciate; sono meglio conservati quelli della facciata prospiciente il mare. l componenti di ciascun gruppo sono assolutamente uguali fra loro. Il soggetto trattato è di natura floreale nei grandi, mentre la decorazione dei piccoli riprende quella dei fascioni che sottolineano le facciate. Segue un esempio per ogni gruppo (la fascia nera a sinistra della prima foto è dovuta ad un’anta aperta della contigua finestra).
5 Questo motivo decorativo non di dettaglio ebbe particolare successo in quegli anni. Ulteriore esempi a Leuca da Villa Sangiovanni e Villa Meridiana (foto tratte da Wikipedia).
6 Secondo il mito Anfitrione diede a Nettuno tre figli: un maschio, Tritone appunto, e due femmine, Roda e Bentesicima. Come padre di due figlie e come, almeno credo, nemico del maschilismo, mi sarebbe piaciuto non identificare il figlio della coppia con Tritone, ma avrei commesso un errore storico … anche nel senso di destinato a passare, pur nel ristretto entourage di chi mi legge, alla storia.
7 Si adegua all’ambiente, fino ad apparire come un granchio o, se si preferisce, ad un’aragosta, anche un dettaglio floreale della decorazione sovrastante.
La commistione floreal-marina trova forse la sua espressione più felice nello stemma, che ho già avuto occasione di presentare e che di seguito replico evidenziando i dettagli in causa, in cui il rosone è diventato parte integrante della coda di un delfino e tre lunghe foglie le sue pinne.
Qualcosa di analogo è presente nel dettaglio, di seguito riprodotto, della decorazione della fabbrica poco distante prima ricordata.
Troppo poco per ipotizzare che l’autore dei cartoni sia stato unico? E se avesse a che fare con quella che sembra proprio la sua firma apposta in un angolo di un particolare decorativo del primo piano?
Troppa carne al fuoco non può essere adeguatamente assistita e rischia di restare cruda o di andare in fumo …
Perciò, tornando a villa Leuzzi, si direbbe quasi che la rappresentazione della coppia divina abbia assolto ad una funzione apotropaica più efficace sulla facciata prospiciente il mare che sull’altra prospiciente la piazza, dove la coppia non sarebbe ricostruibile se tutta la decorazione non fosse la perfetta replica di quella del versante marino; infatti l’unico lacerto ancora leggibile (parte della gamba destra di Anfitrite) non sarebbe certo stato sufficiente per l’identificazione. Sorprende di fronte a tanto sfacelo che si sia conservata molto meglio la decorazione che guarda il mare (nelle foto successive la comparazione tra le due), teoricamente più soggetta all’azione diretta della salsedine; è come se per il Tempo un Nettuno ed un’Anfitrite che guardano una piazza, se si fossero perfettamente conservati, sarebbero stati due … pesci fuor d’acqua.
E in un’epoca di divismo insulso e fasullo mi piace chiudere proprio con i dettagli delle due nostre divinità, anche perché solo il teleobiettivo consente di coglierne la finezza nella rappresentazione.
Ringrazio Armando Polito per avere trasformato in parole e dato un tale spessore alle foto scattate una mattina di agosto. Questo gesto rappresenta la sintesi degli scopi della Fondazione Terra d’Otranto: l’unione di più energie per approfondire e valorizzare i tesori della nostra terra.
articolo ben documentato nel generoso apparato delle illustrazioni. da rilevare la vicinanza, per non dire citazione letterale, delle due divinità di villa leuzzi all’aurora e al crepuscolo di michelangelo nel monumento a lorenzo da urbino nelle cappelle medicee di san lorenzo.
ringrazio l’autore dell’articolo per avermi fatto notare tanti particolari di villa Leuzzi che mai avrei notato nonostante ci sia passata davanti migliaia di volte
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Per chi volesse controllare:
http://www.myflorencetours.com/photos/medici-private-tours-2%5Bbig%5D.jpg
La prossima volta scriverò non “a quanto ne so” ma “per quel poco che ne so”. Grazie per la segnalazione e per avermi permesso, oggi, di saperne un po’ di più.
la classe non è acqua, carissimi! complimenti!
Rischio di ripetere quanto ha già detto Giovanna, ma forse l’aspetto più bello di questo convivio virtuale e metaforico molto più rifocillante, per chi vi partecipa, di quello reale e letterale (non letterario …), è proprio il totale disinteresse, immune da meschine e invidiose gelosie, con cui ognuno dà il suo contributo, felice solo di aggiungere un tassello a quel mosaico sempre in fieri che è la conoscenza, anticamera del rispetto e della cura di ogni essere vivente (la dicitura non si riferisce solo alle persone perché, ad esempio, come si fa a dire che una pittura non vive anche se è una natura morta?…) e non. E, rubando al Leopardi e adattando, il naufragar c’è dolce in questo mare …
Ottimo ‘sorvolo’ dell’occhio alato albertiano. Interessanti i riferimenti e dinamiche le ‘zoomate’ che allargano didatticamente il discorso, testimoniando una concreta competenza e padronanza delle argomentazioni inerenti alla storia dell’arte. Naturalmente colgo la validità del metodo. La storia dell’arte però è un bacino di confluenza di diversi torrenti e quindi di esperienze multidisciplinari (esperienza umanistica, scientifica e dell’arte applicata). Un esempio? La pettinatura ‘moderna’ di Anfitrie o Salacia è una copiatura adattata e diciamo malamente interpretata se non azzardata, del copricapo dell’Aurora di Michelangelo nella Sagrestia Nuova di S. Lorenzo a Firenze, in particolare la tomba di Lorenzo duca di Urbino. La postura anche di Poseidone o Nettuno è esattamente quella.
http://it.wikipedia.org/wiki/Sagrestia_Nuova
La copia dell’ Aurora è rivisitata infinite volte, nelle accademie o negli istituti d’arte italiani, essendone proposta come modello per il “disegno dal vero”, proprio la testa di cui quel particolare (il copricapo) è in bella vista. La posizione delle due figure è esattamente quella presente a villa Leuzzi. La mano che tiene la fiocina di Nettuno pecca assolutamente di forza e anatomia l’avambraccio è addirittura abbozzato. Per le figure sulla balaustra di Palazzo Personé coinvolgerei nell’analisi anche la postura delle vittorie alate scolpite ai lati degli archi di trionfo romani, qui però obbligate a ‘sdraiarsi’ maggiormente, perchè l’arco è a ‘sesto ribassato’ e non a ‘sesto pieno’ o a ‘tutto sesto’. Il riferimento alle vittorie alate è chiaro per il carattere ‘moralizzante’ assunto dagli Erma che sostengono la balaustra (per avere un’idea delle vittorie, guardare l’arco di ingresso sulla facciata di S. Domenico a Nardò). Per la parte floreale/marina basterebbe anche ‘sbirciare’ le sculture dei numerosi interni di noti artisti (Fanzago, Vaccaro, Fuga, Sanfelice) del settecento a Napoli per scoprire salti di delfini creati da volute, gamberetti da boccioli e tanto altro materiale fantastico leggibile dalle mille grottesche nelle lesene o paratse. Per gli dei antichi ri-adattati nelle figure moderne, altri e tanti riferimenti sono possibili (Warburg, Burke, Seznec, Saxl ecc…) ma ci allontaneremmo da S. Maria al Bagno e da Nardò, per seguire “le metamorfosi di Orfeo”. (Il materiale qui indicato è solo posto a margine, per chi volesse ampliare per suo conto, lo scritto dall’attento e acuto A. Polito)