Terra d’Arneo

uliveti

di Pino de Luca

 

Il turismo è l’industria principe per quei paesi che il destino ha voluto porre nelle migliori condizioni a cui può aspirare la specie umana.
Il clima, il territorio e le coste, in questi casi, sono così armoniosi da immaginare davvero che il concetto di perfezione esiste per davvero.
Turismo però non può ridursi a consumo brutale, turismo è entrare nel cuore di un territorio, comprenderne l’anima, entrare in armonica empatia, altrimenti l’industria turistica può essere devastante, la più inquinante delle industrie per la sua capacità di distruggere memoria e cultura, di trafiggerle a morte con luoghi comuni e folklore dozzinale.
E prendono sopravvento malvagità e ignoranza, premesse mentali tipiche di chi deturpa ciò che il tempo ha provveduto a modellare in maniera così perfetta.
Eppure può accadere anche il contrario. Può accadere che la natura si comporti in maniera bislacca, creando l’eden e poi lo abbandoni alla mercé di acquitrini e zone insalubri.
Un eden che diventa, motu proprio, terra bruta ed inospitale, Terra d’Arneo. Quel nulla punteggiato da masserie e piccoli caseggiati, alla mercé di pirati e banditi nel migliore dei casi, della malaria e della difterite molto più comunemente.
Terre incolte, paludose e dense di macchia sotto il dominio di latifondisti insulsi e violenti. Terre di storie di fame e di miseria.
Perché la splendida Terra d’Arneo è piana ricca e feconda, accogliente, densa anche di errori ma capace di impegnarsi a correggerli, ospitale per vocazione, per aver costruito il Paradiso grazie alla capacità di condividere e nonostante la violenza che ha subito. Cieca e crudele. È la Terra d’Arneo di adesso. Ma non sempre è stato così.
Terra di macchie ed acquitrini bonificata lentamente secondo il volere e il bisogno dei signori, è negli anni cinquanta del secolo breve che l’Arneo diventa speranza e futuro, quando i braccianti chiedono di poter coltivare e redimere quelle terre, e il giorno dei SS Innocenti del 1950 le occupano cantando l’Arneide.
Vittorio Bodini, da grandissimo cronista, racconta quei giorni di furore bestiale da parte di una forza che per ragioni ignote veniva chiamata “pubblica”. Una polizia schierata a difesa del potere e dei poderi dei Baroni Tamborrino, pronta a sparare sugli affamati, a compiere arresti ed atti efferati come il “rogo delle biciclette”, pur di impedire il progresso di esseri umani dannati nella miseria.
Ma quei “villani”, quei “braccianti” vinsero e la Terra d’Arneo cambiò faccia, da sinonimo di “terra del nulla” racchiusa tra Nardò e Avetrana è diventata terra del mondo.
Mare cristallino e piane fertili, masserie vive, ospitalità innata sono le credenziali che la Terra d’Arneo presenta al turismo, qui si sta bene, si mangia benissimo e ogni sorso di vino è divino.
Un angolo di paradiso sia che ci si distenda sugli arenili dei lidi che si vadano a visitare le “bestie felici” che popolano le campagne, pascoli, arnie o piccoli caseifici dai prodotti ineguagliabili.
Ma ci si rammenti sempre che senza quel capodanno che portò dal 1950 al 1951, senza Salvatore Mellone ed altri, arrestati il 7 gennaio 1951, questa sarebbe rimasta come Bodini la raccontava: “Da Nardò a Taranto non c’è nulla, c’è l’Arneo, un’espressione vagamente favolosa come nelle antiche carte geografiche quei vuoti improvvisi che s’aprono nel cuore di quelle terre raggiunte dalla civiltà.”
E l’Arneide è una canzone di ieri e, forse, anche di domani. Raccontiamola ai turisti.
(Nuovo quotidiano di Puglia del 10 Luglio 2013)
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