La penna e il pennello

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di Paolo Vincenti

 

Un libro di pittura e poesia che vede la luce in questo 2013, a firma di Laura Petracca e Pina Petracca, amiche nella vita e colleghe di lavoro, artiste sensibili, colte e raffinate. Una richiesta, quella di presentare il libro, che ho accolto subito, lusingato da tanta attenzione nei miei riguardi. Quattro “P” a puntellare il nucleo di questo progetto: le due “P” di Petracca e Petracca, la “p” di pittura e quella di poesia. Ut pictura poesis, per dirla con Orazio.  Un’antologia artistica che assomma, fondendole insieme, le opere pittoriche di Laura e i componimenti poetici di Pina. 15 dipinti per 15 poesie. Pari dignità fra verso e immagine,  poesia visiva o figura poetica, sinestesia, la più riuscita e compiuta, quella (teorizzata da Ramachandran) grafema-colore, viaggio multisensoriale nell’universo creativo di due artiste di casa nostra accomunate da umanissimo bisogno di comunicare, attraverso la loro testimonianza estetica, dinamiche del cuore. E in questo mix, nel tutto continuo di un’opera d’arte in progress, il  libro si configura esso stesso come corpo poetico, elegante ed originale com’è.

Si materializza così, l’arte sovrana, un dialogo fra penna e pennello, stimolante, vivificante, sia per le autrici che per i lettori.

 

Il Barocco è più di un movimento culturale. È ben più di quello stile artistico caratterizzato dalla monumentalità delle costruzioni, da stucchi, volute, ori, bronzi e tutti quegli effetti di tensione drammatica e di grande teatralità propri della scultura e della pittura, che, fra il Seicento e il Settecento, hanno permeato anche l’arte salentina, facendo di Lecce la “Firenze del sud”. E’ ben più del gusto per la grandiosità,  la stravaganza, la bizzarria. È la cifra connotativa di questa nostra penisola salentina. Come spiega A.L. Giannone, presentando l’opera “Barocco del Sud”, di Vittorio Bodini, “… il barocco leccese diventa per Bodini una condizione dello spirito in cui si riflette un disperato senso del vuoto, un horror vacui, che si cerca di colmare con l’esteriorità, l’ostentazione, l’oltranza decorativa, ma anche con certi atteggiamenti, visti come altrettanti modi per sfuggire al sentimento del negativo che si avverte nel Salento… […] Da qui la lotta incessante tra vuoto e pieno, tra luce ed ombra, che si svolge sulle facciate dei monumenti leccesi, e che allude a quella, ben più concreta, tra la vita e la morte, tra l’esistere e il suo contrario”. Il Barocco  è una condizione dell’anima. Ed è infine, la condizione essenziale dell’arte e della vita di Laura Petracca.

La Petracca  è una pittrice che vive ed opera a Specchia, meraviglioso borgo in provincia di Lecce, a cui Laura è legata visceralmente e a cui ha più volte manifestato tangibile amore filiale sia con la pittura  (penso ad una sua bellissima rivisitazione dello stemma civico di Specchia) che con la sua partecipazione attiva alla vita culturale della piccola cittadina. Laura Petracca, diplomata in Decorazione  all’ Accademia Di Belle di Lecce, insegna “Disegno e Storia del Costume” nell’indirizzo “Abbigliamento e Moda” presso l’I.I.S.S. Polo Professionale “Don Tonino Bello” di Tricase (Le).  Ha partecipato a numerosissime  mostre collettive e personali e ha ricevuto molti premi e riconoscimenti.

Artista poliedrica, oltre agli acrilici che vediamo in questo libro, Laura realizza pitture su legno, pitture su stoffa (come abiti decorati, tende, coordinati  e fiocchi per neonati o per carrozzina, coperte, ecc.), fregi, specchi decorati e finanche poster.  Animata da profonda spiritualità ( penso ad una bellissima “Madonna del Passo, per la omonima chiesa specchiese dalla Petracca devotamente frequentata), sembra che Laura con ogni opera festeggi il miracolo della vita,  non solo nelle grandi tele, ma anche con le vetrate, i piatti, i vassoi, decorati dall’artista con amore e pazienza certosina. Infatti Laura esegue anche decorazioni su vetro (anzi, proprio in queste mi dice di essere ultimamente più impegnata), a conferma della sua grande versatilità. In queste opere, Laura esprime l’amore per la propria terra attraverso il recupero di quelle tecniche artigianali antiche come antico è il cuore profondo di questa terra riarsa e primitiva. La sua però non è una salentinità gridata e oleografica, ma è piuttosto un’appartenenza poetica, fondata sugli assiomi archetipici di un’ancestrale legame, iconizzata nei toni accesi dei suoi verdi, rossi, gialli, blu.

Ho già sottolineato come l’uso del colore, libero, quasi spregiudicato, in Laura Petracca, mi abbia colpito fin dal primo momento in cui ho ammirato le sue opere. Sono d’accordo con Tiziana Cazzato, quando dice che “…Laura Petracca trasferisce nelle sue opere la solarità della sua personalità, dando vita  con la sua spontaneità, a dipinti carichi di intensa creatività e serenità. La pittrice emoziona con le sue opere fatte di luce e colori.” E non affermava forse Matisse che “Il colore soprattutto, forse ancor più del disegno, è una liberazione.”?
La Petracca  è una paesaggista e anche astrattista. Molti esperti hanno espresso positivi giudizi critici su di lei. Vincenzo Abati parla di  “fervore  creativo  e  lirismo  poetico  in  simbiosi  nella  pittura  di   Laura  Petracca”.  “Il percorso artistico di Laura Petracca denota una attenta, profonda, conoscenza del processo artistico moderno”, scrive Rocco Vergari, “ che tradotto con linee e colori, evidenzia un denso e gioioso interesse per i fatti che legano l’uomo alla natura, quasi legami insolubili dell’esistenza umana.  In alcune rielaborazioni di opere, Laura riesce , con il solo ausilio dei colori giustapposti, a migliorare, senza la presunzione di correggere, le opere di grandi artisti.   La sua umiltà e la sua giocosità tradotta da linee e colori caratterizzano ed entusiasmano l’osservatore”. Tradizione paesaggistica e astrattismo si bilanciano insieme nell’opera di Laura. E’ come se ella partisse da un referente naturale (come il paesaggio) per giungere, attraverso l’astrazione, all’essenza delle forme: un processo che potrebbe essere letto anche al contrario. Attraverso il mezzo espressivo che privilegia, cioè quello cromatico, nei paesaggi arriva a toccare anche punte naif, ossia di restituzione genuina dell’impressione visiva. Nella sua formazione artistica, molta parte hanno avuto il Futurismo e Fortunato Depero, per quella dinamicità del segno che le è congeniale. Qualcuno si spinge a dire che in Laura “è presente un temperamento futurista, infatti come gli artisti di quel bellissimo movimento, il suo operare spazia dalla pittura alla decorazione, mantenendo sempre ottimi livelli.”  Sicuramente si possono riconoscere, come fonti di ispirazione, gli astrattisti, quali Kandinsky (di cui ricordiamo la nota affermazione”Il colore è un mezzo che consente di esercitare un influsso diretto sull’anima. Il colore è il tasto, l’occhio il martelletto, l’anima è il pianoforte dalle molte corde”). E notevoli  e particolari sono i suoi omaggi a Klimt, a Depero, a Matisse, allo stesso Kandinsky. Pagato pegno ai propri maestri ed ispiratori, però, Laura si affranca da una condizione di eterna subalternità ai maggiori, cercando una propria strada nell’ardore di una rappresentazione plurisemantica che tocca tutti i punti focali dell’arte e della vita e di entrambe intrecciate insieme. Laura si evolve e giunge, nella sua maturità artistica, all’originalità di un discorso pittorico suo proprio.  E quasi attingesse dal suo scrigno tesori ancora insperati, porta la propria ricerca poetica sul colore a raggiungere con le ultime produzioni (uno specimen possono costituire le opere ritratte nel libro) una pienezza espressiva che le si deve interamente riconoscere, se la sua narrazione artistica sa affabulare attraverso  un’alchimia cromatica che Laura,nella sua fucina creativa, ha saputo forgiare quasi  demiurgo e mago, al tempo stesso artista e artigiana, ideatrice ed esecutrice. La sua, una sintesi prodigiosa, affascinante, del tutto convincente. Eccoci allora immersi in un “Autunno” dai colori  giallo, marroncino, beige, con quell’albero al centro, quasi sentinella di un tempo in consunzione. Eccoci immersi in un “Campo con fiori e papaveri gialli”, nel quale sembra che l’autrice abbia corso a perdifiato tante volte, fino allo sfinimento, fino a percepire la sensazione di diventare tutt’uno con la natura intorno, medesimo fiato, unico respiro, “di fiore in fiore, da terra a cielo, dal sogno al vero”, come nella poesia di Pina Petracca. Eccoci nell’azzardo di un “Campo divisionista”, in cui “perdersi”. Belli quegli alberi in controluce di un “Dolce risveglio”, come “nell’estasi di un’alba” . E così,  un”Estate” salentina può renderci sulla tela, nella sua rappresentazione più assoluta e assolata, solo chi ha vissuto a fondo le nostre estati, come può renderci  un “Inverno”, cioè “brivido di freddo e di piacere, inquietudine ed equilibrio” seguendo i versi di Pina, solo chi sente questo paesaggio parte integrante del proprio vissuto, cioè casa.  Ecco  “L’albero della vita”, eterno ammonimento agli uomini di tutte le età, che fa il paio con quell’altro “Albero solitario”, svettante nel verde e nell’azzurro come una bandiera, come un vessillo di autentico amore, e chissà quante volte Laura avrà abbracciato quell’albero maestoso. Scrive Liliana Nobile: “ La natura, nella personale interpretazione di Laura Petracca, è un inno alla fantasia che nel suo immaginario pittorico esplode con un’esultanza di colori intonati ad un armonico vivere.” E Nadine Giove: “La poesia pervade l’intera opera di Laura Petracca, che conduce lo spettatore verso mondi d’intima bellezza. La purezza dei colori, la leggiadria delle forme, l’equilibrio compositivo delle pennellate sulla tela: tutto suscita un incantato stupore in chi osserva le sue opere. La natura è resa romanticamente e con sensibilità squisitamente femminile . Tuttavia il segno trattico è ben disegnato, dai contorni precisi a punta di pennello. Tutto ciò denota un istintivo talento da parte della pittrice, che senza timore rivela ciò che più le sta a cuore. L’arte con lei diviene così ritratto idilliaco di un universo dall’atmosfera magica e sognante. Laura Petracca è artista dallo stile personale, che ci svela il suo Io interiore, intingendo il pennello nella sua anima per creare splendide opere: al fruitore non rimane che coglierne gli aspetti più profondi e farsi ammaliare da esse.”  Il dipinto “Metamorfosi” ci fa pensare al transeunte, ossia all’eterna condizione dell’uomo che è in continua trasformazione, come tutte le cose. E si ritorna alla magia del “Paesaggio” salentino, là dove si sente quanto forti siano le radici, e di una radiosa “Primavera in riva al mare”, cosi carica di vibrazioni che le avvertiamo quasi sulla pelle. E come sono evocative le margherite di “Primavera” e intensi i vividi colori di “Risveglio della natura” con quei toni di giallo, di fucsia, “d’azzurro e di sole”, come nella acclusa poesia di Pina. E come fragili eppure forti, in “Campo con papaveri e fiori bianchi”, sono quei boccioli che al vento si piegano, “eco al canto degli uccelli, polline alle api, emozioni al tramonto”, poetica metafora della nostra esistenza; ed è dolce immaginare di poter volare sui “Pini tra i fiori”, in un incontaminato scintillio di marroni, rosa, verdino, bianchi, neri, gialli, balenanti sulla tela, per scoprire esterrefatti e felici che “non è un sogno”, ma serena, edenica realtà .

Ci vuole maestria per  coniugare la tradizione paesaggistica con le avanguardie storiche, per sposare un  messaggio di intensa religiosità,  con l’azzardo di un astrattismo a volte spinto. Ci vuole talento anche per coniugare intimi fervori con appassionato slancio sociale e mutualistico; Laura riesce a farlo attraverso la sua pittura luminosa, con risultati talmente sfavillanti e impetuosi  che, nei momenti di più vorticoso narrare, producono un effetto quasi ipnotico sull’osservatore . Nonostante il fedele legame alla terra madre, i suoi mondi cromatici  figurano  una extra spazialità ed una extra temporalità che possono essere concepite solo da chi  riesce davvero a viaggiare con la fantasia. E’ significativo quello che la stessa Pina Petracca, l’altra protagonista di questo libro, scrive su Laura: “Non conosco le pulsioni che danno l’anima ad un pennello, né la passione che dà vita ad una matita, ma posso conoscere le emozioni che guidano la tua mano tra i colori che ancora di più nobilitano il tuo cuore.”  Nella “teoria dei colori” Goethe sostenne che i colori non sono solamente qualcosa di fisico ma hanno a che fare con l’intimo di ognuno di noi, esercitano cioè una tensione fortemente spirituale nel nostro animo e sono altresì collegati con la poetica, con l’estetica, con la psicologia, la fisiologia e il simbolismo. Credo che questo spieghi bene le ragioni intime e artistiche della  scelta operata da Laura Petracca nella sua produzione.

 

Pina Petracca è poetessa appartata, poco avvezza ai lustrini e alle paillettes di un ambiente culturale in grande spolvero come quello salentino degli ultimi anni. Pure ha collezionato vari premi ed è molto apprezzata e amata dai propri amici e colleghi  e dall’ancora ristretto pubblico di lettori delle sue poesie. La sua produzione merita più di una semplice segnalazione e forse questo libro, che è un progetto ambizioso nelle intenzioni delle sue curatrici, può essere il mezzo attraverso cui le opere della Petracca vengano maggiormente conosciute e possano ottenere il meritato riconoscimento. Questa raffinata interprete apre per la presente pubblicazione il proprio taccuino poetico e lo scompagina, spiegando una grammatica dei sentimenti  che appartiene ad una sensibilità tutta femminile, nella quale chi scrive cerca di entrare come può, aprendosi un piccolo varco che gli permetta di decodificare, improvvisandosi esegeta, l’immaginario poetico dell’autrice.

Pina Petracca , insegnante di Laboratorio di Chimica presso l’I.I.S.S.”Don Tonino Bello” di Tricase,  vive ed opera  a Surano (LE).   Ha pubblicato nel 1999 la sua prima raccolta di poesie dal titolo “Inno alla vita” (Liber Ars- Lecce)  e nel 2007  il volume “L’Antidoto contro zucchero e veleno” (Carra Editrice) . Da molti anni organizza con la Pro Loco del suo paese il Concorso Nazionale  di poesia “Un momento di…verso” giunto ormai alla decima edizione. Ha inoltre partecipato a diversi concorsi e manifestazioni di poesia.  Nella presente silloge troviamo una raccolta di componimenti poetici scritti in versi liberi, vari per tono ma omogenei per ispirazione, quasi tutti brevi, che fanno da contrappunto ai dipinti di Laura. Il suo linguaggio è semplice, diretto, poco concede agli effetti speciali della lingua, piuttosto intriso di una lirismo sofferto, intimo, ma immediato. Una produzione poietica di squisita fattezza, le sue liriche si muovono su più livelli, nessuno dei quali banale, scontato.

Già definita “la poetessa del colore”,  Pina deve molto alle fonti a cui si è abbeverata nel corso della sua formazione, chiaro l’influsso che su di lei hanno avuto i grandi classici della trazione letteraria, in particolare i poeti italiani del Novecento. Pina è fortemente legata alle proprie radici, al paese di origine San Cassiano e a quello di adozione, Surano, ma Pina è donna di lettere, ed appartiene dunque al mondo della poesia ed ecco, quasi orgogliosa rivendicazione di cittadinanza poetica, quel perdersi “in emozioni tra fili d’erba tripudio di colori e fogli di poesia” (da “Perdersi”). Ecco un ecumenico messaggio di condivisione con il tutto quando scrive “che tu sia erba foglia o albero, che tu sia brezza onda o mare, che tu sia luce sole o cielo, o forse solo ombra ad osservare… sarai tu il risveglio della notte” ( da “Dolce risveglio”). Si avverte il desiderio profondo di congiungersi con la natura circostante, cielo nel cielo, terra nella terra, acqua dall’acqua, sole, mare, pietra fra le pietre, vento impetuoso e selvaggio ( “io radice tronco albero ramo fiore foglia tutto”, da “E’ qui adesso”).  E infatti in “Metamorfosi”, esplicita ancor meglio questo suo sentirsi in divenire, forse ricordando la lezione eraclitea del panta rei ( “tutto scorre, non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume”), e nella consapevolezza del mutare di tutte le forme, si sente come “ ali di farfalle ignare d’essere state su ramo nudo nude crisalidi gemme in mutamento..”. L’autrice si sente parte di quel ritmo eterno che governa le stagioni, di quel tempo che sovrintende all’avvicendarsi delle umane circostanze, nell’ordito semplice eppure complesso della sua trama poetica.  Questa religione della natura, esplicitata anche nelle espressioni fonosimboliche che costellano i suoi versi,  fa della Petracca una sorta di driade, la ninfa dei boschi della mitologia greca, che canta estatica la forza e il rigoglio della vegetazione: “Io volo con gli uccelli e qui respiro e come l’azzurro cielo abbraccio tutto”, scrive in “È qui adesso”, che sembra tanto esistenzialistica esaltazione dell’ hic et nunc che comprende la fragilità umana e sa come questo tempo e questo spazio siano finiti, quanto ,di converso, cristiano invito a rimuovere qui ed ora le cause di impedimento della felicità e a realizzare qui una propria piena spiritualità ( “ e qui adesso… vivo”) . In questo senso è da leggere l’oraziano “Carpe diem” che titola un’altra poesia, cioè come invito a vivere pienamente l’amore degli attimi che ci regala, e del pari, una esortazione a godere della bella stagione dei fiori di campo, “d’azzurro e di sole”, prima che giunga l’autunno del ricordo e della preghiera, anticipazione dell’inverno della mestizia e del ripiegamento su se stessi. Di più, mi sembra, quello della poetessa, abbraccio solidale e messaggio di corrispondenza d’amore fraterno con l’agape dei propri simili.  In una spalancata “Primavera in riva al mare”, la sua gratitudine di fronte alla creazione diventa messaggio di colore, diventa meraviglia.  La pace domina in questi versi, uno stato di sospensione del tempo e dello spazio mi sembra che regni in queste liriche di Pina, nelle quali il reticolato poetico di emozioni, sussulti, suoni, colori, intimismo vissuto e donato si dispiega quasi come logos svelato. E le sue interrogazioni sul senso della vita, i dubbi e le incertezze che si percepiscono in filigrana  tra i versi sussumono un  vuoto di senso che è proprio di quest’era in dissoluzione. Scrive Oronzo Russo: “Le sue, più che poesie, sono appendici di un romanzo unico e incompleto; capitoli, pur frammentari, di una vicenda che segue la prima, appena abbozzata, con i colori di una  terra eccezionalmente bella come il Salento.  Pina Petracca non è, comunque, solo una cerniera fra più pensieri, o più situazioni: rappresenta anche e, soprattutto, il punto di ritrovo concettuale di idee, di aspirazioni, di fallimenti e di successi individuali. Se la confessione è la “psicanalisi dei poveri”, Pina si evidenzia nel ruolo dell’amico, confidente e complice, presenza discreta, alla ribalta di un illuminismo culturale proiettato, ormai, nel secolo delle incertezze. Pina Petracca, però, non nasconde, dietro di sé, un “male” oscuro e imprecisato che emerge, di volta in volta, da una tensione, non solo espressiva, che recita, nel teatro sotterraneo dell’inconscio, un conflitto sociale, e gli interrogativi della novità.”.  Fra il desiderio di volare da un lato e la realtà sofferta dall’altro, tutto un mondo in trasformazione e la volontà dell’autrice di entrare nel ciclo delle rinascite, nel ricorrente mutare delle cose, di farsi essa stessa viluppo, groviglio,  il suo anelare alla pienezza del tutto. “Ditemi che vegliano ancora i pini, che il tronco conserva ancora i nomi e che ancora  i pettirossi fanno i nidi” scrive in “Non è un sogno”. Le sue liriche nascono nel silenzio, credo, un silenzio aurorale, da cui germogliano parole gemme che vanno a comporre il presente florilegio che, come un mannello di primizie, Pina ci offre in questa imminente primavera di crisi e di speranza.

 

Leggendo, ci si accorge che scorrono leggere le pagine di questo libro. Cosi le correlazioni semantiche fra immagini e testi poetici portano ad una sorta di “fonestesia”, se mi è permesso mutuare questo termine dalla scienza linguistica, per andare ancora al di là del nesso sinestetico di cui ho parlato all’inizio, a volere significare una totale compenetrazione fra il gesto e la parola, il pennello e la penna, che si attraggono come nelle “affinità elettive” di Goethe, ossia con una totale mescolanza di piani che risulta difficile separarli e che anzi trovano proprio nella loro sovrapposizione, come in una reazione chimica, unità, armonia. Infatti i versi di Pina accompagnano così bene i disegni di Laura, quasi con funzione didascalica, che Pina sembra voglia dire, con Alda Merini “Amo i colori, tempi di un anelito inquieto, irresolvibile, vitale, spiegazione umilissima e sovrana dei cosmici,“perché”del mio respiro.” Ed io, che con gli scarsi mezzi a mia disposizione, ho cercato di introdurre degnamente questo lavoro, concludo augurando alle autrici che, con la loro arte, possano davvero prendere il largo nel grande mare della vita.

Duc in Altum, Laura e Pina!

 

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3 Commenti a La penna e il pennello

  1. Cornice suggestiva, atmosfera coinvolgente con le note musicali di un’arpa e le note dell’anima di una voce recitante a rendere omaggio ad immagini e testi dal caldo sapore salentino.
    Davvero una bella serata!

  2. Giusto Armando Polito. in realtà mi sono talmente fatto prendere dalla perfetta unione delle due artiste che ho finito per considerarle una sola. fra le due soluzioni proposte però avrei scelto di usare un’altra citazione perché “ducite” suona davvero male e non rende il senso..
    .

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