di Nicola Morrone
La festa di Sant’Antonio (13 Giugno) ci ha permesso di riscoprire un antico luogo di culto, verosimilmente misconosciuto dalla gran parte dei concittadini manduriani.
Si tratta della cappella della Natività di Maria, che si apre sul lato est della imponente chiesa neogotica dedicata al santo francescano di Padova.
La cappella, la cui dedicazione risale al 1703, sotto il pontificato di Clemente XI (come recita l’iscrizione posta sul lato sud del vano) presenta più di un elemento di interesse. Ad iniziare certamente dal dipinto collocato sulla parete d’altare, che rappresenta la Madonna del Suffragio, i SS.Antonio e Francesco d’Assisi, il committente e storie mariane della vita della Vergine.
Non si tratta di uno dei tanti dipinti, di qualità talora dozzinale, che è possibile osservare nelle non poche chiese di Manduria: quello in questione è invece uno dei pochi dipinti manduriani (se ne contano in tutto non piu’ di una decina) di qualità assoluta. L’autore ne e’ il napoletano Fabrizio Santafede, che lo dipinse nel 1580, quasi certamente su committenza del nobile casalnovetano Francesco Antonio Barberio, effigiato nel dipinto.
Nello spazio ristretto di questo piccolo luogo di culto è possibile inoltre apprezzare le opere di vari artisti legnaioli francescani (tutti anonimi, fino a quando i ricercatori non faranno parlare le carte d’archivio). Essi realizzarono, nel sec. XVII, i tre altaroli laterali della cappella della Natività di Maria, intagliando e intarsiando legni di svariata tipologia, e creando opere che, a nostro avviso, possono essere ben considerate esempi di alto artigianato. Gli altaroli sono caratterizzati dalla presenza di vistosi paliotti con motivi floreali ad intarsio (un vero incanto per gli occhi del visitatore) nella parte bassa; la zona centrale è valorizzata dalle cromie dei dipinti o delle statue in cartapesta; le macchine d’altare terminano, nella parte alta, con un timpano spezzato in mezzo al quale si inserisce un ulteriore motivo decorativo floreale o lo stemma dell’ordine.
Tutta la cappella, insomma, è un delizioso contenitore d’arte e artigianato, in cui la perizia tecnica e ideativa degli esecutori , e in taluni casi la loro “audacia” figurativa , a un certo punto, ci sorprendono ancora di più.
Sulla parete sinistra dal vano, in corrispondenza del presbiterio, è infatti collocato un affresco di autore ignoto, per più versi straordinario. Tutto il disegno, che ha una impaginazione orizzontale, e che ricorda tanto una sorta di finto paliotto d’altare, colpisce subito, ancor prima che per la modalità esecutiva, per la concezione, improntata chiaramente alla classica idea di “horror vacui”, tipica della mentalità barocca, segnatamente salentina. L’anonimo maestro, che potrebbe anche essere locale, è probabilmente anche in questo caso da ricercare tra le maestranze francescane (come è noto, l’ordine francescano disponeva di pittori, architetti e scultori reclutati tra gli stessi consacrati, in maniera tale da essere completamente autarchico sul piano della produzione artistica. Produzione che, se pur non raggiunse quasi mai livelli di eccellenza, si attestò non di rado su livelli qualitativi più che dignitosi…).
L’affresco è da considerarsi un inedito, dal momento che non è stato censito nella catalogazione effettuata da Massimo Guastella (Iconografia Sacra a Manduria, Manduria 2002).
L’opera, una sorta di celebrazione apoteotica e fastosa della natura, è di soggetto interamente profano. La circostanza curiosa è che siffatto affresco è effettivamente collocato in un luogo di culto. E’ come se l’anonimo artista si fosse concesso per un attimo, libero dai vincoli della committenza religiosa , uno sfogo della propria fantasia, che, nei soggetti rappresentati (puttini, uccelli, fiori, frutti) non può non ricordare gli analoghi, consueti temi degli altari barocchi dei maestri leccesi, i quali, pur nella evidente esuberanza delle forme plastiche, non possono tuttavia esibire, se non in rarissimi casi , l’incanto del colore.
A Manduria c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. Per fortuna che ci sono studiosi, come il prof. Morrone, che ci fanno notare con dedizione alcuni particolari così preziosi, che sfuggono ai nostri occhi