di Armando Polito
Non è la recensione di una parodia del celebre Un americano a Parigi, il film del 1951 di Vincente Minnelli, che a sua volta mediò il titolo dall’omonimo poema sinfonico di Gershwin, contenuto nella colonna sonora. Eppure, anche qui come lì, il protagonista è un artista, non un pittore o un pianista, ma un poeta il cui nome sarà ormai diventato familiare a quei pochi pazienti lettori che mi hanno fin qui fedelmente seguito nelle mie pazze scorribande.
Per quanto riguarda l’italianità nel mondo il passato è senz’altro più confortante del presente e minaccia di esserlo, ahi noi!, pure del futuro. Oggi anche la mozzarella ogni tanto appare blu o diossinata, la pizza scongelata e il mandolino non sempre risulta perfettamente accordato …; quanto a ciò che nell’immaginario collettivo di ogni popolo simboleggia la cultura nella sua manifestazione più alta, cioè la poesia, conviene secondo me, e vorrei sbagliarmi!, lasciar perdere il presente, non prefigurarsi un futuro e confortarsi (ma senza reprimere la rabbia che, ormai, è l’unico indizio che siamo vivi …) con qualche episodio del tempo che fu.
È quello che mi accingo a fare con l’aiuto, appunto, di Francesco Castrignanò.
Nella raccolta Cose nosce del 1909 c’è la poesia No mmi fidu e nella seconda edizione del 1969 per i tipi dell’editore Leone di Nardò curata dal figlio di Francesco, Corrado, compare in calce questa nota: N. B. Questa poesia venne pubblicata sull’importante giornale “La Follia” di New York – edizione del 28 settembre 1924.
Mi riservo di commentare dopo la poesia e sarà questa la parte più originale, si fa per dire, di questo post; ora, invece, mi soffermerò a dare alcune notizie delle quali solo se fossi stato Mandrake avrei avuto conoscenza senza lo stimolo a cercarle che la lettura di quella nota ha suscitato in me.
La Follia di New York, la cui pubblicazione continua regolarmente tuttora, è la creazione americana di un italiano e per giunta meridionale (e ti pareva …), precisamente del calabrese Alessandro Sisca, più noto col soprannome di Riccardo Cordiferro. Lo pseudonimo, ricalcato non senza ironia su Riccardo I d’Inghilterra detto Cuor di Leone, è la conferma che talora non solo i nomi, come dicevano i latini, ma anche i soprannomi, per quanto questi ultimi, in apparente parziale contraddizione, a posteriori …, sono presagi.
Alessandro, infatti, fu uno spirito radicalmente libero e chi volesse saperne di più sulla sua figura deve solo leggere quanto su di lui è riportato in Amelia Paparazzo, Katia Massara, Marcella Bencivenni, Oscar Greco e Emilia Bruno (è solo un caso che Oscar sia l’unico maschietto della compagnia?), Calabresi sovversivi nel mondo, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro), 2004, pagg. 84-901.
Qui ci basti sapere (i segmenti in corsivo che seguono sono tratti fedelmente dal saggio appena citato) che Alessandro, che era nato nel 1875 a San Pietro in Guarano in provincia di Cosenza, dopo le scuole primarie frequentò a Napoli il Collegio di San Raffaele a Materdei ma solo per brevissimo tempo perché ne venne ben presto espulso per le sue idee antireligiose; continuò per conto suo gli studi, sempre a Napoli, finché nel 1892 emigrò a Pittsburg e l’anno successivo si trasferì a New York dove, alla fine di quello stesso anno, fondò il giornale “La Follia di New York”, un settimanale letterario e umoristico, nel quale egli pubblicava poesie satiriche e articoli polemici contro banchieri disonesti, medici ciarlatani e sedicenti padroni.
Di quanto Napoli fosse nel cuore e nelle corde, anche musicali …, di Alessandro dirò dopo, ma ora è sufficiente far notare come la testata de La Follia di New York sembra essere la figlia americana di quella de La follia che già dal 1877 usciva regolarmente a Napoli e continuò a farlo per un trentennio.
Probabilmente oggi Alessandro sarebbe accusato di populismo, qualunquismo, disimpegno e simili, e sarebbe definito come un Grillo ante litteram. Certo è che “La Follia” fu un giornale molto popolare nelle colonie italo-americane. Secondo un editoriale del 1914, la tiratura del giornale raggiungeva ben quattro milioni di copie.
Altrettanto certo è che il grande successo di Sisca si spiega difatti con il senso di identificazione e di riscatto che il pubblico traeva dalle queste opere [sic] in cui gli oppressori degli immigrati – il boss, il banchiere, il prete – erano inevitabilmente farabutti e imbroglioni mentre il povero lavoratore diveniva il vero e unico eroe.
Io aggiungerei che una parte non trascurabile del successo del settimanale era dovuto ad un fattore sentimental-nostalgico, cioè al fatto che esso era indirizzato ad un target (come oggi dice chi sa parlare …) ben definito, per il quale esso costituiva un sottilissimo ma ancora non reciso cordone ombelicale con la terra d’origine. Credo, perciò, che le poesie dialettali recitassero un ruolo da protagonista e che non venissero pubblicate esclusivamente per l’impegno civile che esse esprimevano; anche perché, se così non fosse, non si comprende assolutamente come del Castrignanò sia stata pubblicata una poesia d’amore (cioè appartenente ad un genere letterario che per comune definizione, secondo me un po’ stupida, soprattutto della critica di sinistra, è stato sempre considerato con sufficienza, in quanto “disimpegnato”) e non una delle numerose che il poeta neretino scrisse inneggiando ai valori della libertà e dell’onestà.
Molto probabilmente non sapremo mai se e per quali motivi Alessandro scelse proprio questa nel materiale messogli a disposizione o se fu proprio il Castrignanò a fargli quest’unica proposta. D’altra parte va ricordato che nella notorietà del “sovversivo” calabrese un ruolo determinante dovette avere pure il fatto che egli scrisse il testo di parecchie canzoni in dialetto napoletano (era calabrese sì, ma di madre napoletana) e tra queste, nel 1911, quello della celeberrima Core ‘ngrato musicata da Salvatore Cardillo ed ispiratagli, un po’ di gossip storico non fa mai male …, dalla vicenda sentimentale di Enrico Caruso, abbandonato dalla compagna Ada Giacchetti (la Catarì della canzone, che simboleggiava anche la patria lontana e dimentica dell’emigrato). E del celebre tenore Alessandro pubblicò sul settimanale parecchie autocaricature (Caruso era molto bravo nel disegno).
Strano destino quello che ebbe Core ‘ngrato: nata in America, passò a Napoli (dove fu edita da Ricordi) e poi in tutto il mondo; nel suo piccolo Non mi fidu seguì, invece, lo stesso percorso delle altre canzoni napoletane: nacque in Italia e andò poi in America.
Sappiamo, così, che la poesia neretina a New York sbarcò; è colpa grave se mi piace immaginare (i sogni sono gratuiti … in tutti e due i sensi che gratuito ha in italiano) pure che, grazie a La Follia di New York e anche se in misura immensamente più modesta rispetto a Core ‘ngrato, sbancò?
Il mondo è piccolo, oggi più che mai grazie soprattutto alla rete. Per questo voglio chiudere questa parte con un appello, sperando che non rimanga inascoltato. Se qualche lettore americano10, magari di origine italiana, ci inviasse le immagini digitalizzate di quel numero fatidico del 28 settembre 1924, farebbe un regalo di valore incommensurabile a me ma, mi permetto di credere, pure al nostro sito e, voglio esagerare, a tutti i lettori neretini e, spingo l’esagerazione al limite estremo, non.
1 Le pagine sono leggibili, ad eccezione di 86-88, all’indirizzo
2 Cambio di genere a parte, rispetto all’italiano zanzara la forma dialettale manifesta maggiore fedeltà all’originario latino tardo zinzala(m), voce di origine onomatopeica.
3 Alla lettera corrisponde all’italiano mette. Qui sta in senso riflessivo (si mette a letto, si posa sull’orizzonte). Da notare come il dialettale mente (da mintire, normalmente usato nel dialetto come l’italiano mettere, semanticamente connesso con posare) qui ha lo stesso uso dell’italiano letterario posa per si posa; un solo esempio: Fulvio, qui posa il mio bel sole, allora (Torquato Tasso, Rime per Lucrezia Bendidio, XI, 1).
4 Potrebbe essere errore di stampa per mena mo!, la locuzione interiettiva attualmente usata e corrispondente all’italiano ora l’hai detta (o menata) grossa!, chi ci crede! e simili.
5 Per l’etimo vedi la nota 29 del post al link
6 Mammone alla lettera è il tonchio delle fave che scava nel legume vere e proprie gallerie; in senso traslato è usato nel significato di pensiero fisso che rode o di cattivo pensiero. In passato veniva evocato come spauracchio per i bambini (corrispondente all’italiano gattomammone con gatto sottinteso). La voce, che a differenza dell’omografo italiano non ha niente a che fare con mamma, è dall’arabo maymun=scimmia.
7 Voce di etimo problematico. Le varianti registrate nel vocabolario del Rohlfs (pappacotu per Seclì, pappacola per Mesagne) non danno nessun aiuto, anche se, trattandosi di un frutto, il primo componente potrebbe essere pappa. In G. A. Pasquale, Catalogo del Real Orto Botanico di Napoli, Stabilimento tipografico Ghio, Napoli, 1867, pag. 7 è nominato un pruno pappacodo. Che il primo componente sia pappa e il secondo deformazione di godo?
8 Nel mondo contadino il tempo del raccolto, in primis per i proprietari, coincideva con quello del guadagno, anche se in concreto bisognava attendere la vendita del frutto.
9 Alla lettera: non ho fiducia (sottinteso: nelle mie possibilità). Difficile dire se si tratti, nonostante tutto, di avversione al matrimonio o riconoscimento della propria avarizia …
10 Sul sito (http://www.ihrc.umn.edu/research/periodicals/italian.php) dell’Università del Minnesota nella sezione IHRC (Immigration History Researc Center) leggo: La Follia di New York (The New York Folly), New York, NY. Monthly (bi-weekly): 1907-1911, 1914-1924, 1926-1928, 1934-1954. (Microfilm: 1907-1911, 1914-1924, 1926-1928, 1934-1946). Includes English.