di Armando Polito
Chi, e a Nardò sono in parecchi, ha un cognome in cui compare la preposizione latina De e poi una seconda parola terminante in –is potrebbe avere un qualche interesse a leggere questo post in cui non è da ravvisare un’allusione alla sua scarsa educazione. Infatti il Galateo del titolo è solo lo pseudonimo di Antonio De Ferrariis, il famoso umanista di Galatone al quale recentemente ho dedicato la mia attenzione sfruttando una poesia del neretino Francesco Castrignanò.
Perciò proprio su quel De e sul successivo segmento saranno indirizzate le mie riflessioni.
Cognomi come De Ferrariis (e, quindi, trascrivendo per Nardò dall’elenco telefonico 2013-2014, De Bellis, De Benedittis, De Bonis, De Cupertinis, De Franchis, De Laurentis, De Lorensis, De Lorenzis, De Magistris, De Matteis, De Pascalis, De Riccardis, De Rinaldis, De Rubertis, De Santis e De Vitis) sono un nesso latino (preposizione de+ablativo plurale) che nella buona vecchia analisi logica si chiama complemento di origine.
Ne prendo uno a caso (ma l’osservazione vale per tutti): De Benedittis alla lettera va tradotto discendente dai Benedetti; quest’ultima parola l’ho scritta con l’iniziale maiuscola perché siamo già nella fase in cui la voce è diventata nome proprio o parte del cognome. E nella fase precedente? Molto probabilmente la voce valeva come soprannome, come è successo per quasi tutti gli altri cognomi, compreso il mio; e da un primo benedictus si è passati al Benedictus capostipite della serie di Benedicti che, in ricordo dell’avo comune, hanno assunto il cognome De Benedittis. Non sempre, perciò, a mio avviso, il De tradisce, come si è soliti affermare, un’origine nobiliare, anche se non è da escludere che questa patente sia subentrata col tempo.
In parecchi casi, poi, il cognome ha subito una traduzione: si ha così (per continuare col nostro esempio e ricordare chi non sta facendo dormire, più di Ruby Rubacuori, sonni tranquilli a qualcuno …) accanto a De Benedittis (e alla forma ancora più fedele all’originale latino: De Benedictis) De Benedetti che andrebbe scritto più correttamente De’ Benedetti [(della famiglia) dei Benedetti], ma non è il caso di scandalizzarsi perché da lui, poi, è nato Debenedetti. E qui entra in campo il livello culturale e … acustico di chi a suo tempo era addetto all’anagrafe …
Per farla completa spezzo una lancia in favore di chi potrebbe sentirsi menomato (!) perché la seconda parte del suo cognome è in ablativo sì, ma singolare: (sempre per Nardò) De Braco, De Carlo, De Florio, De Razza, etc. etc.; io non mi angustierei più di tanto perché tutto è opinabile e il fatto che sia prevalente il ricordo diretto del capostipite (al singolare) può significare che la sua memoria si è conservata meno dissimulata da quello della famiglia (al plurale).
Torno ora al nostro Galateo e mi chiedo quale sia la grafia più esatta: De Ferrariis, De Ferraris o De Ferrari?
La prima è quella cronologicamente più antica, mentre la seconda ha cominciato ad alternarsi con essa a partire dal XVIII secolo. Tra le edizioni contemporanee (nella foto una targata BiblioBazaar del 13 novembre 2008) non mancano grafie esilaranti esibite in copertina (da notare non tanto il nome tradotto Antonio de Ferrari quanto, poco prima, Antonio de Ferariis).
Comunque sia, il problema non è recente, come dimostra la soluzione “artigianale” adottata nell’edizione leccese (1867-1868) di alcune opere in tre volumi, dei quali riproduco di seguito il frontespizio:
Il lettore noterà come (si direbbe successivamente alla stampa, perciò ho definito artigianale la soluzione) due parentesi tonde consentono di passare dal cognome latino (De Ferrariis) alla sua traduzione in italiano (De Ferrari).
Ho detto prima che la variante più antica è De Ferrariis e credo che questa sia la forma più corretta non solo perché il tempo, com’è facile intuire, favorisce in questo campo la trasformazione e sovente l’errore ma per motivi strettamente filologici: ferrariis, infatti, è ablativo plurale di ferrarius=fabbro e, per quanto detto all’inizio, ciò fa pensare che originariamente la famiglia del Galateo potesse essere dedita alla lavorazione del ferro.
La forma De Ferraris presenta la contrazione delle originarie due –i– in una sola. Tale fenomeno è assolutamente normale quando non c’è possibilità di equivoco. Per esempio: filis in latino è ablativo plurale di filus (=filo) e perciò non consente che filiis (ablativo plurale di filius=figlio) sia scritto filis. Nel nostro caso non c’è possibilità di equivoco perché, tutt’al più, potremmo ipotizzare, sulla scorta del dialettale firraru, un latino parlato ferrarus che sempre fabbro significherebbe.
De Ferrari (ripeto: più correttamente andrebbe scritto De’ Ferrari, ma a Nardò nessuno si sognerebbe di scrivere, per esempio, De’ Filippi o De’ Giorgi o De’ Mitri o De’ Rossi) è la forma italianizzata.
A voi la scelta …
Caro Armando, mentre quasi certamente, almeno così posso pensare, il mio “nome di famiglia”: Notario, deriva da un qualche antico avo dedito a lavori “notarili”, il tuo “Polito” era certamente un avo, sempre andando per via latina, che stava sul “raffinato” sull’ “elegante” o anche sul “colto”. Quest’ultimo è quello che più si adatterebbe, per te, sua progenie.
Il tuo caro amico Sergio
Caro Sergio, dal “raffinato”, ” elegante” e, forse, anche “colto” il passaggio metaforico all’“effeminato”, soprattutto con i tempi che corrono, è breve. Certo, se mi guardo allo specchio e se la vista residua è rinfrescata dall’immagine di una bella ragazza, sotto questo punto di vista mi sento rassicurato, anche se avrei preferito per il mio cognome un’origine più ”nobile”, cioè greca; però il mio famoso (?) antenato avrebbe dovuto assumere il cognome di Polite (da πολίτης=cittadino) e non Polito. Comunque, chi si accontenta gode. Se corrisponde al vero, per restare ai latini, il “nomina omina”, pensa un po’ che pena sarebbe stata, per me ma ancor più per gli altri, se mi fossi chiamato, ne dico uno caso (?), Schifani. Un caro saluto. Armando