di Alessio Palumbo
Leggendo, in calce alla poesia “L’innamorato imbranato”, lo scambio di commenti tra Armando Polito e Alfredo Romano sui nomignoli legati alla provenienza cittadina, mi è tornato alla mente un episodio riguardante il mio paese d’origine: Aradeo.
Da ragazzino irrequieto ed eccessivamente vivace qual ero, non di rado mi sentivo appioppare l’appellativo di “taratiaulu”. Il fatto che fossero più persone ad utilizzare quel termine mi incuriosì e, dopo un po’ di tempo, riuscii a risalire al motivo del soprannome, chiaramente frutto dell’unione tra la parola “taraddotu” (ossia aradeino) e “tiaulu” (diavolo). Tutto ha origine dalla inveterata rivalità tra aradeini, seclioti e nevianesi.
Vuoi la vicinanza reciproca, vuoi gli stretti vincoli parentali, vuoi le dimensioni demografiche non eccezionali, sta di fatto che Aradeo, Neviano e Seclì, da secoli, sono strettamente legati tra di loro. Tempo fa, un pescatore gallipolino in vena di canzonare, venendo a conoscere le mie origini aradeine mi chiese:
“Come ve la passate negli Stati Uniti?”
“Gli Stati Uniti?” chiesi io
“Si! Aradeo, Neviano e Seclì…gli Stati Uniti del Salento”
Insomma, tre paesi federati, con una cantina sociale comune, un frantoio comune, iniziative comuni ma, soprattutto, una stazione ferroviaria in comune. Un piccolo parallelepipedo giallo, come tanti altri in Terra d’Otranto.
Come ci insegna la storia e l’esperienza comune, le convivenze non sono mai facili: a dimostrazione di ciò, si potrebbero citare le vecchie poesie di scherno reciproco tra i paesi[1]; oppure vi sarebbe bastato assistere, qualche anno fa, ai derby Aradeo-Seclì ( “li ciucci contru li cavaddhri” diceva qualcuno, ma non sto qui a specificare quale delle due squadre fosse composta da asini) per capire come la federazione non avesse per nulla sminuito le rivalità campanilistiche. Ma torniamo al casus belli, la piccola stazione: proprio questo edificio è stato motivo di accese rivalità tra i tre paesi o perlomeno così tramandano alcuni.
Immediatamente dopo la sua costruzione, sorse un problema di enorme gravità: in quale ordine piazzare i nomi dei paesi? Ovviamente nessuno avrebbe accettato di venire dopo gli altri. Seclì pretendeva il primato in quanto la stazione ricadeva nel proprio feudo. Neviano portava a proprio favore la maggiore vicinanza del centro abitato. Aradeo, infine, cercava di far valere il maggior peso demografico ed il fatto che il terreno dove era sorta la stazione fosse stato espropriato ad un aradeino. Dopo mesi di discussioni, la decisione finale fu: Seclì, Neviano e Aradeo. Un tremendo smacco per gli aradeini.
Ma la faccenda non finì qui e, proprio dagli episodi che seguirono, derivò l’appellativo di “taratiauli” ancora oggi usato da qualcuno.
Tutto si deve ad un imbianchino di Aradeo, incaricato di pitturare sulla facciata dell’edificio i tre nomi. Memore dello smacco ricevuto, l’imbianchino preparò due miscele diverse: una indelebile e l’altra con uno strano composto (si dice con fuliggine). L’aradeino rispettò l’ordine dei nomi oramai stabilito, ma utilizzò la tinta alla fuliggine solo per Seclì e Neviano e quella indelebile per Aradeo. Bastarono le piogge di pochi mesi a smascherare il trucco: la stazione passò ben presto da Stazione di Seclì, Neviano, Aradeo a Stazione di…Aradeo. Una trovata diabolica, secondo i rivali di sempre: “roba de taratiauli” insomma.
[1] Gli aradeini usavano ad esempio recitare: “Ssichijatu cciti patucchi/vai alla chiesa e nu te ngianucchi/ nu te cacci lu coppulinu/ ssichijatu malandrinu”