di Armando Polito
Va preliminarmente detto che ai tempi di Maria d’Enghien e degli statuti da lei emanati per la città di Lecce il 4 luglio 1445 la discriminazione degli Ebrei era una prassi storicamente ben conosciuta e sperimentata. Basti sinteticamente ricordare che nel 1215, sotto il pontificato di Innocenzo III (1198-1216) il IV Concilio lateranense stabilì l’obbligo per gli Ebrei di portare un segno distintivo sui vestiti e la loro esclusione dai pubblici uffici; in sostanza, dopo che erano falliti i ripetuti tentativi di conversione, si era deciso di isolarli e rendere facile l’identificazione del presunto diverso con un distintivo che per le donne era il velo giallo, contrassegno delle meretrici, e per gli uomini un cerchio rosso.
Il “problema ebraico” troverà ampio spazio nel 1430 negli statuti sabaudi di Amedeo VIII di Savoia, che introdurrà per gli Ebrei l’obbligo di vivere in un luogo separato.1
I provvedimenti contenuti negli statuti della contessa Maria sembrano muoversi nel solco già tracciato, ma danno l’impressione di una loro applicazione più laicamente tollerante ed umana: me lo fa pensare, per esempio, il fatto che il permanere dell’obbligo dei segni distintivi appaia più come una misura di ordine pubblico che di effettiva discriminazione, quasi un compiacere formale all’autorità religiosa e non mi pare neppure secondario il fatto che nei provvedimenti la pena prevista (tra cui la fustigazione per le vie della città nel caso in cui il colpevole non fosse in grado di pagare la multa) non fa distinzione alcuna tra giudei e cristiani. E la delazione, da altri2 interpretata come emblema della caccia all’ebreo, era in realtà la prassi corrente per una notevole serie di reati, indipendentemente dal colpevole.
Che le cose stessero proprio così lo conferma il Libro Rosso di Lecce, anno 1467, ove (cito dall’edizione a cura di Pier Fausto Palumbo, Schena, Fasano1997, pag. 187) a proposito degli Ebrei si legge: … foro sempre incorporati et uniti cum la dicta Universita, contribuendo in omne peso et pagamento, et cussi gaudendo omne previlegio et immunita quali gaudevano li altri citatini. Più chiaro di così …
Molto probabilmente anche per questo, caso raro ieri e ancor più oggi per un detentore del potere, la contessa di Lecce godette dell’affetto di tutti i suoi sudditi.
Bisognò attendere il 26 febbraio 1495 (Maria era morta da quasi 50 anni) perché si manifestasse la rottura di questa pacifica convivenza: Die 26 Februarii essendo in Lecce fama, che il Re di Francia habbia pilliato Napoli, se levò armata manu tutto lo populo, et saccheggiaro tutto lo Castiello, dove erano andati la maggior parte de Judei cu loro facultate pe essere salvi, saccheggiando dopo tutto lo resto de la Judea, dove in tante spade non ci fu morto nullo, et durò paricchi jorni lo saccheggiamento, sempre trovando robba et denari sotterrati. Die 21 Marsio se levò in romore tutto lo populo de Lecce gridando, morano morano tutti li Judei, overo se facciano Cristiani, dove una gran quantità sendo fero Christiani, et pilliaro cum gran furia lo Episcopo di Lecce, portandolo di mezzo a la Piazza a consegrare la Sinagoga de Judei, dove in dicto jorno li fo miso nome de Sancta Maria de la Grazia, et portato da mille fegure de Sancti, et celebrate Messe. Pe volirne fare certi della ostinazione de maligni et perfedi Judei me accade narrarvi uno orribile caso, che soccesse in Lecce, essendo tutti Judei reposti in Casa de Cristiani pe pagura de no essere ammazzati, certi Judei stando in Casa de uno Zentiluomo nomine Pierri Sambiasi in quel dì, che se levò le grida morano li Judei, et se fazzano Cristiani, questi tali, che erano cinque fra mascoli et femine, tutti se iettaro dentro uno Puzzo pe no se fare Cristiani, el Marito d’una di quelle, che fo il quarto, che se iettò dentro lo Puzzo, trovò la Molliere, et due altri, che surgeano nel cadire suo, et non soffondao nell’acqua, dove havendosi pentito se recuperò alli gradi de lo Puzzo, el quinto, che era suo figlio se accecao, l’ultimo cascando …. sopra il predetto, tutti dui andara in acqua, el Patre se recuperò, el figlio havia accecato el Patre pe no morire, el Judeo arrecordandose d’un coltello, che havia addosso, perdonò la morte al figlio pe camapare esso, quelli della Casa subito cursero al rumore, cacciarende lo Patre vivo , et li quattro morti3.
Ecco, tratti dal codice di Maria d’Enghien nell’edizione di cui già mi sono avvalso4, i passi relativi, anche questi con la mia “traduzione” a fronte per far rilevare al lettore alcune incongruenze formali (direi usuali in un manoscritto) del testo originale e per soffermarmi nelle note su alcuni vocaboli che ancora oggi sopravvivono.
Questo del danneggiamento procurato dal bestiame è l’unico reato che non preveda espressamente pene comuni per i trasgressori. In un altro bando6, infatti, viene regolamentato tale reato quando commesso da un non ebreo. Tuttavia, il fatto che lì si parli di danno generico da quantificare e in più di una multa a discrezione dal Capitano della città non consente un esame comparativo che, alla resa dei conti, metta in risalto una pena maggiore quando lo stesso reato è commesso da un ebreo.
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1 Nel 1555 la bolla Cum nimis absurdum emessa da Paolo IV istituzionalizzerà il ghetto imponendo agli Ebrei di abitare in una o più strade senza alcun contatto con i cristiani. Dopo qualche secolo (magra consolazione …) la follia nazista.
2 https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/26/ebrei-nel-salento-sotto-i-del-balzo-orsini/
Da inquadrare, invece, nella categoria del giornalismo-spazzatura, che crede di fare cultura con titoli altisonanti a firma di novelli sedicenti Piero Angela, è il servizio a cura di Lara Napoli, visibile all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=CLfS44IS3pE
La tragedia non è costituita dal fenomeno in sé, quanto dal numero di proseliti/imitatori e di credule vittime, il cui sviluppo esponenziale i nuovi media, la rete più di ogni altro, hanno favorito.
3 Cronache di M. Antonello Coniger di Lecce, in Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio. Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò ristampate ed annotate da Michele Tafuri, v. II, Stamperia dell’Iride, Napoli, 1851, pagg. 498-499.
4 https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/06/20/riflessioni-su-alcuni-bandi-leccesi-del-xv-secolo/
5 La variante ancora oggi in uso a Nardò è cuminanzièri ed in passato era il nome del servo agricolo che mangiava insieme con la famiglia del padrone. Per il Rohlfs la voce nasce da incrocio tra convenienza e comunanza.
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7 Tal quale ancora in uso a Nardò. Per il Rohlfs è di origine onomatopeica.
8 Oggi stompu è sinonimo di mortaio; qui invece dal contesto si direbbe un tipo di agrume, ma non son riuscito ad individuarlo.
Nell’edizione della Pastore (Congedo, Galatina, 1979) a pag. 29 leggo: “Vieta la vendita di alberi di aranci, cetri o stompi (grossi limoni) a forestieri che intendano esportarli”. La definizione “(grossi limoni)” è evidentemente presa tal quale (non sarebbe stato meglio ricordarne l’autore con una noterella? …) dalla nota 49 del commento agli statuti che Ermanno Aar (pseudonimo di Luigi De Simone) pubblicò in Archivio storico italiano, tomo XII, anno 1883, che di seguito riporto: “Stompi stempi sono una specie di grossi limoni”. Questo conferma il mio sospetto che si trattasse di un agrume, ma l’etimo (anche di “stempi”, variante o italianizzazione che sia di “stompi”) rimane al momento un mistero.
Ancora di più nelle lettere autografe della D’Enghien, alcune delle quali ritrovate nell’archivio di un antiquario americano, si legge quanto si prodigasse a favore di ebrei, perchè i signorotti che avevano contratto debiti verso di loro risolvessero in tempi brevi, ed anche per altre pratiche amministrative.
Grazie alla sua segnalazione probabilmente a breve aggiornerò il post tenendo conto delle lettere pubblicate nel 2016, del cui trafugamento molto probabilmente fu responsabile il famigerato Graziano Bellifemine, che non lasciò intonsa nemmeno la biblioteca vescovile neritina, come, meglio di me, può dire Marcello Gaballo, che partecipò a suo tempo all’operazione di recupero.