di Stefano Manca
Qualche mese fa entrai nel negozio di un commerciante cinese per acquistare un giocattolo per il mio cagnolino. La commessa, più o meno ventenne, mi fece strada tra i vari reparti. Non si esprimeva molto bene in italiano. Nel senso che utilizzava inconfondibili espressioni salentine, che inutilmente provava ad “italianizzare”. Anche i suoi tratti erano tutt’altro che asiatici. Con una scusa ebbi poco dopo la conferma che si trattava di una ragazza di un comune dell’entroterra leccese. Una ragazza salentina, dunque, alle dipendenze di un imprenditore cinese. Mi venne in mente di intervistarla, raccontando la globalizzazione e lo strapotere economico di un’area del pianeta partendo da qui, da uno sperduto paese meridionale. Lasciai perdere. Non ne parlai al mio caporedattore. Troppo provinciale, mi dissi. Devo smetterla di fare il provinciale, mi ripetei. Adesso L’Espresso dedica la copertina al fenomeno degli italiani alle dipendenze di imprenditori cinesi. Ecco, a parte lo scoop mancato (lo dico con ironia, ragazzi) ho imparato che forse il mondo conviene ogni tanto osservarlo con gli occhi del provinciale.