di Armando Polito
I bandi del titolo sono una serie di ordinanze emesse da Maria d’Enghien, parte integrante degli statuti emessi il 4 luglio 14451 ed esemplatici nel 14732 con altri atti per volontà dell’amministratore leccese Antonello Drimi in una pergamena conservata nell’Archivio di Stato di Lecce (in basso foto dell’incipit) nota col nome di codice di Maria d’Enghien.
Tale manoscritto venne pubblicato per la prima volta da Francesco Casotti in Opuscoli di Archeologia, storia ed arti patrie, Pellas, Firenze, 1875, Opuscolo V, pagg. LXXII-CXXI. Da questa edizione, in cui gli statuti occupano le pagg. LXXII-CXIV, sono tratti i passi qui presi in esame4. Le “traduzioni” a fronte sono mie.
A ciascuno di loro ho dato un titolo non per accattivarmi l’attenzione del lettore ma perché l’intento divulgativo (sempre supportato, per quel poco che so fare, dai dati scientifici) trovasse un modo più immediato e diretto per esprimersi e non rinunciasse ad un confronto con il presente, senza avventurarsi per questo in arbitrarie attualizzazioni.
Il problema degli incendi estivi e il rispetto per l’ulivo
Forse oggi la data del 15 agosto (festa dell’Assunta) non ha la stessa crucialità di allora, non tanto per le mutate condizioni climatiche ma soprattutto perché incendi più o meno dolosi possono essere appiccati in qualsiasi giorno dell’anno. E non mi riferisco, perciò, al problema, banale pur nella sua ricorrente gravità, delle ristoppie o dell’erba secca non rimossa nemmeno dai margini delle strade extraurbane, ma alla criminale eliminazione, per fini speculativi, di olivi, magari centenari. Appiccare il fuoco ad un oliveto (anche se involontariamente, come si evince dal brano appena letto) cinquecento anni fa era un reato grave e la Madama (Maria d’Enghien) aveva stabilito che era reato pure, una volta scattato l’allarme, fare l’indifferente e non sentirsi obbligato ad intervenire (credo che allora la maggior parte lo facesse non certo per non incorrere nella multa prevista, ma per senso di fratellanza civica e di rispetto nei confronti della sacralità della pianta, oltre che per la sua importanza economica). Mi fa piacere leggere che pure l’autorità religiosa (Missere) impegnava i suoi (iaconi e preiti) che pure in circostanze diverse (contemplate in altri passi dei bandi) godevano di privilegi ed esenzioni ben più consistenti dell’essere esonerati da interventi da pompieri senza pompa (in tutti e tre i significati allora come oggi conosciuti …). Godevano? … (il mio dubbio, retorico, è, continuando nel gioco di parole, temporale nel senso che si riferisce ad agevolazioni materiali che però sopravvivono, e come!, ancora oggi senza vergogna, nonostante quotidiane dichiarazioni francescane di povertà che fungono da contraltare (altro gioco di parole, ma qui la sfumatura di contrasto insita nel termine è andata a farsi fottere …) alle parole merito, lavoro, lotta all’evasione fiscale con cui, anche lui quotidianamente, il potere laico si sciacqua la bocca.
A chi poi, già allibito dalle parole, secondo lui, blasfeme e sovversive che ho appena usato, dovesse scandalizzarsi per l’importanza assegnata alla delazione (Et chi lo accusara, ne havera tari cinque: et essera tenuto secreto) ricordo che non molto tempo fa il governo di turno ebbe l’ennesima geniale idea di combattere l’evasione fiscale assicurando l’anonimato a chi, solo per fare un esempio, avesse segnalato qualche vicino o conoscente che da lui fosse stato presunto come evasore, magari solo per l’invidia suscitata dal fatto che l’accusando esibiva ogni giorno una cravatta diversa … Misura inefficace come le precedenti, le successive e tutte le altre (anche le meno fantasiose, creative e le più razionali …) che dovessero essere adottate, finché non si renderà deducibile ogni anno il costo di quanto acquistato (dalla più lussuosa delle automobili alla più economica delle caramelle). E se conservare per cinque anni gli scontrini fiscali dà fastidio, allora si porti alle estreme conseguenze la virtualizzazione del denaro, dei cui benefici sinora hanno goduto solo le banche …
Il problema delle contraffazioni
A cinquecento anni di distanza non si direbbe che l’invenzione delle etichette abbia migliorato la situazione. Per giunta certe disposizioni della UE hanno finito per penalizzare la tipicità (sinonimo, in questo caso, di eccellenza inimitabile e ripetibile solo da chi detiene meritatamente tale primato) di alcuni nostri prodotti che già soffrivano di concorrenza sleale (e non mi riferisco solo allo sfruttamento del lavoro minorile o a più sfavorevoli condizioni di partenza come i maggiori costi dell’energia, del lavoro, etc., etc.).
Concussori e concussi
Sempre a cinquecento anni di distanza (anche se nel frattempo alle figure del concussore e del concusso si sono aggiunte, in considerazione della priorità d’iniziativa, quelle del corruttore e del corrotto) sono in vigore una serie di leggi confuse e contraddittorie, gioia e delizia degli avvocati e degli imputati. La legiferazione organica sulla materia resta una chimera e, comunque andranno le cose, mai si proporrà (tanto meno si approverà …) il sequestro preventivo di tutti i beni ascrivibili (e non solo di quelli formalmente intestati, praticamente inesistenti …) tanto ai presunti corruttori e corrotti da una parte, quanto ai presunti concussori e concussi dall’altra. Il famoso principio della presunzione di innocenza (ogni secondo sbandierato, chissà perché, dai nostri politici in odore di avviso di garanzia e non) sarà pure simbolo di civiltà giuridica, ma finora mi pare abbia fatto più vittime tra gli innocenti che tra quelli prima presunti e poi dichiarati, in via definitiva, colpevoli …
Il costo del lavoro
Si direbbe un rigoroso calmiere relativo alla mano d’opera, con una gradualità altrettanto precisa di retribuzione legata all’importanza ed all’onerosità della mansione. Per esempio, credo che a buon diritto la retribuzione più elevata fosse quella del battitore, non tanto per il rischio insito nell’uso di scale quanto, piuttosto, per la sua abilità nel battere in modo tale da non compromettere i successivi raccolti. Degni di nota, poi, la multa prevista tanto per il proprietario che per il giornaliero e il solito premio per il delatore, oltre ai vigilanti in incognito. Mi chiedo se tutto quest’apparato avesse una funzione di dissuasione o fosse veramente efficace. Da non trascurare, infine, il fiasco di vino ammesso in aggiunta al salario, mentre il pane ne restava tassativamente escluso. Certamente ciò era dovuto al maggior valore attribuito al pane (oggi, forse, ricominciamo a farlo dopo un lungo periodo in cui contava di più il companatico …) rispetto al vino, ma secondo me bisogna pure tenere in conto l’effetto, si direbbe col linguaggio pubblicitario di oggi, tonico e corroborante del vino; perciò si chiudeva un occhio su questo che, sempre con un termine oggi inflazionato insieme con attimino, per il lavoratore rappresentava un aiutino … finché non cadeva dall’albero.
A quando il calmiere delle retribuzioni di certi personaggi a cominciare dai politici e, passando per i pubblici managers (!), per finire con i dipendenti televisivi, presentatori in primis?
Quando Belloluogo era nel suo pieno splendore ed opportunamente difeso
Da notare la “delicatezza” giuridica del bando, in cui il riferimento a Belloluogo appare solo come un corollario alle disposizioni contro la violazione, a mano armata o no, della proprietà privata, nella fattispecie rappresentata da iardine oy orte. Simpatico, poi, il riferimento alla presenza di vasapedi, corrispondente, al neretino azzapieti5 e chissà se con la stessa efficacia dissuasoria degli attuali cartelli con le famigerate scritte zona avvelenata o controllo elettronico della velocità …
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1 Nel manoscritto si legge: Data in castro nostro Litij sub anno domini Millesimo, quadrigentesimo quatragesimo quinto die quarto mensis Julij octavae indictionis nostro parvo sigillo sigillata etc. (Emessi nel nostro castello di Lecce nell’anno del Signore 1445 il 4 luglio dell’ottava indizione, sigillati col nostro piccolo sigillo, etc.). Non è corretta, perciò, la data del 14 luglio 1445 riportata in http://it.wikipedia.org/wiki/Maria_d’Enghien
2 Nel colophon del manoscritto: Capitula, et statuta florentissimae civitatis litij deo favente finiunt foeliciter Transcripta quidem tempore Magnifici viri Petri de fossa Sindici universitatis predicte: et nobilium auditorum Roberti cafay et Raimundi gallipolini sub anno domini M° cccc° Lxxiij vj° Indictionis. Antonellus Dimi escripsit (Gli articoli e statuti della fiorentissima città di Lecce col favore di Dio terminano felicemente trascritti invero al tempo del magnifico Pietro di Fossa sindaco dell’università predetta e degli uditori dei nobili Roberto Cafay e Raimondo di Gallipoli nell’anno del Signore 1473 della sesta indizione. Antonello Drimi trascrisse).
3 Il titolo (lo riporto fedelmente con tutte le incongruenze relative all’uso disinvolto e incoerente delle iniziali maiuscole …) nel manoscritto è: Statuta et capitula florentissimae civitatis litii ordinata et imposita per Inclitam Maiestatem Mariae de engheno ungariae Jerusalem et siciliae reginae litiique comitissae feliciter incipiunt (Gli statuti e articoli della fiorentissima città di Lecce ordinati e imposti dall’inclita Maestà di Maria d’Enghien regina di Ungheria e Gerusalemme e contessa di Lecce iniziano felicemente).
4 Sostanzialmente coincidente con quella del Casotti è l’edizione più recente di Michela Pastore, Il codice di Maria d’Enghien, Congedo, Galatina, 1979. La pubblicazione ha il pregio, insolito in lavori del genere, di contenere anche la riproduzione fotografica delle carte originali (nella foto sottostante la foderina e la copertina).
5 Su azzapete vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/27/la-pianta-che-fa-tribolare/
e la triste condizione degli ebrei …
… nel prossimo post.