di Giovanna Falco
Considerando l’itinerario percorso il pomeriggio del sabato, dedicato a «la parte di fuori»[i], Pacichelli e De Raho dovrebbero essere usciti da porta Napoli: «un’Arco Maestoso contiguo alla Porta Reale anche detta di S. Giusto»[ii].
Il primo luogo visitato è «l’insigne Monistero già de’ Padri Benedettini neri, oggi degli Olivetani, col titolo de’ Santi Nicola, e Cataldo»[iii], «col Chiostro nobilissimo, Giardino, Massarie e Feudi uniti, un de’ quali frutta solamente 30 carlini, Foresteria da Prencipi, bellissimo quarto dell’Abate, poco anzi Procuratore in Napoli, che volle accompagnarmi, a farmi vedere il vago, e da lui ripolito tempio, con cupola, e torre alta, con le Statue à di Altari in trè picciole navi, e la sepoltura di Ascanio Grandi Poeta»[iv]: il «Mausoleo con statua laureata»[v] in fase di costruzione ai tempi di Infantino. La chiesa prospetta sul cortile illustrato in Lecce sacra, dove «son costituite di fabrica botteghe in gran numero per la Fiera che si disputa nel Regal Consiglio con la Città di Bitonto»[vi]. Pacichelli, inoltre, accenna alla Torre di Belloluogo: «posseggon que’ Monaci la Torre o’l Giardino del sudetto Tancredi»[vii].
Oltrepassato il convento di Santa Maria di Ognibene degli Agostiniani scalzi, la cui prima pietra era stata benedetta il 18 aprile 1649 dal vescovo di Castro[viii], Pacichelli visita il «vago, e vasto Chiostro de’ Riformati di S. Francesco in numero di 60 ben trattenuti», cioè Santa Maria del Tempio, dove si sofferma a osservare «una Spina insanguinata del Signore, un pezzo del Santo legno della Croce donato ad un de’ loro Frati dalla Principessa Donna Olimpia Panfili, et un Chiodo assai grosso, con la punta tagliata, che sembrava nuovo, del medesimo nostro Redentore, costumato ad infondersi nell’acqua per divotion de gl’Infermi»[ix]. Le reliquie sono custodite «in una Croce di argento frà le suppellettili della Sagrestia»[x]. Nel 1634 Giulio Cesare Infantino aveva accennato a «due pezzotti del legno della Santa Croce»[xi] inoltre, a proposito del reliquiario, aveva affermato: «il sopradetto chiodo stà in un bel vaso d’oro, fatto da una collana d’oro offerta à quest’effetto dal Principe di Taranto la prima volta, che adorò questa Santa Reliquia»[xii].
Usciti dal convento dei Riformati, dove Pacichelli ha da lamentarsi per «la poltroneria di un Laico Sagrestano»[xiii] che non gli aveva offerto l’acqua benedetta dal chiodo, esprime parole di spregio per il «Lazzaretto governato dalla Città, ove osservai alcuni sucidi Lebbrosi, da me non mai più veduti»[xiv], già descritto da Infantino con «un gran cortile con stanze à torno, giardini, & altre comodità per servigio de’ Leprosi, che vi dimoravano»[xv]. All’epoca era già presente la colonna di San Lazzaro «innalzata nel 1682 ai 30 di aprile: opera del maestro muratore Giuseppe Bruno»[xvi].
I due abati proseguono per «san Giacomo chiesa allegra de’ Riformati di S. Pietro di Alcantara, che sono venti, et hanno bellissime tele à gli Altari»[xvii], all’epoca di Infantino il complesso religioso era dei «Padri Scalzi di San Francesco, i quali hoggi vi dimorano, havendo dato buon principio alla fabrica de’ loro Chiostri»[xviii]. Pacichelli vede nel giardino «una Grotta dedicata hoggi al Santo, e alla sua Statua, già piena di terra, la quale vuotandosi trè anni sono, scoverse, forsi non senza presagio de’ sinistri avvenimenti del Turco nella Pannonia, e Peloponneso, piccioli, e galanti specchi quasi Mosaici nelle mura, e frà essi nel volto, in buon carattere maiuscolo, nel petto di un’Aquila, e sovra una Cometa queste parole: / CUM FONTE, ET ANTRO DOMINUS FRUETUR / OTTOMANI SUPERBIA OCCIDET / Dicono che vi fosse una fonte, vivendo l’accennato Co: Tancredi vicina ad una Chiesetta vecchia»[xix].
Lasciato il giardino degli Alcantarini, i due abati percorrono il Parco, dove «frà gli alberi, è un delitioso passeggio di carrozze la sera, e fra trè strade, una vaga fontana a forza di argani»[xx]: era quella descritta da Infantino nella piazza maggiore, che aveva sostituito l’altra «fatta da Leccesi à sodisfattione di D. Caterina Acquaviva Duchessa di Nardò moglie di D. Giulio Acquaviva, Duca delle Noci nel 1608, quando fù Preside di questa Provincia»[xxi]. «Dentro al dilettevole Parco», aveva scritto Infantino, ci sono «horti di varij frutti abbondanti, & un bosco d’odorosi aranci con artificiose fontane, che potrebbe esser senza dubbio il poggio Reale de’ Leccesi»[xxii]. Tra il via vai di carrozze, passatempo già in voga al tempo di Infantino, i due abati incontrarono tra gli altri, «il Preside, pure in carrozza, con un de gli Auditori, in questa Residenza, della Provincia di Otranto, e due Alabardieri dietro»[xxiii].
Pacichelli e De Raho raggiungono il convento di Santa Maria dell’Alto (attuale Principe Umberto) dove i «Cappuccini, al numero di 50, m’introdussero nel lor Convento, sù l’hora dell’Ave Maria, ch’è il primo della Provincia, à veder la Spetiaria, l’Infermaria e la Bibliotheca»[xxiv]. Era stato istituito, aveva spiegato Infantino, nel 1570 dai Cappuccini di Santa Maria di Rugge come loro infermeria, in quel luogo «di miglior aria» scelto da «Teofilo Zimara, & Angelo Suggenti (huomini in quei tempi nella loro professione ta(n)to eccellenti, che i principali Medici del Regno ricorrevano al loro sapere)»[xxv]. Questo «Convento de’ Padri» Cappuccini, spiegò Infantino, «è de’ più belli, che habbiano no(n) solo in Regno, ma in tutta la Religione, no(n) solo capacissimo di potervi habitar più di 100 Padri, ma di bellissimo sito, co(n) spatiosi giardini di frutti abbondantissimi»[xxvi].
Pacichelli lascia: «un miglio fuori i Domenicani nel lor convento col Novitiato e Chiesa grande, offitiata da venti Padri»[xxvii], «per la strada che si và à S. M. di Rugge»[xxviii] (aveva specificato Infantino), e non entra nel castello «con fosso, ponte e presidio spagnuolo, assai valido»[xxix], degno, secondo Infantino «d’esser compareggiato con qualsivoglia altra fortezza del Regno», perché dotato di «commodissime stanze; guarnito con tutti gli arnesi di guerra con Presidio ordinario di Soldati Spagnuoli, stipendiati dal Gran Rè Catolico di Spagna, e di questo Regno»[xxx].
Tornati a palazzo De Raho, nonostante le insistenze del suo ospite che lo avrebbe voluto intrattenere anche la domenica, Pacichelli decide di proseguire il suo viaggio. De Raho omaggia l’abate donandogli un «paio di Guanti di Roma, e alcune Confitture, e volea per lo rinfresco far lavorare un Pastone»[xxxi].
(FINE)
prima parte in:
seconda parte in:
[i] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 159.
[ii] G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva… cit. p. 170.
[iii] Ivi, p. 171.
[iv] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., pp. 167-68.Nella veduta di Pompeo de’ Renzi pubblicata in Lecce sacra, tra le pagine 72 e 73, dietro la chiesa si ha l’impressione di intravedere una costruzione, forse “la torre alta” menzionata da Pacichelli (Cfr. G.C. Infantino, Lecce sacra, Lecce 1634 (ed. anast. a cura e con introduzione di P. De Leo, Bologna 1979).
[v] G.C. Infantino, op. cit., p. 200.
[vi] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 168.
[vii] Ibidem.
[viii] Cfr. M. Paone (a cura di), Lecce città chiesa, Galatina 1974, p. 76.
[ix] Ibidem. (Cfr. G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva… cit. p. 171).
[x] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 168.
[xi] G.C. Infantino, op. cit., p. 210.
[xii] Ivi, p. 211.
[xiii] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 168.
[xiv] Ibidem.
[xv] G.C. Infantino, op. cit., pag. 212.
[xvi] A. FOSCARINI, Guida storico-artistica di Lecce, Lecce 1929, p. 180.
[xvii] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 168.
[xviii] G.C. Infantino, op. cit., pag. 213.
[xix] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., pp. 168-169. Nelle altre descrizioni del ninfeo, ricoperto di conchiglie, non si fa alcun cenno a dove la scritta si trovasse, né tanto meno alla presenza della statua di San Giacomo, collocata dai padri Alcantarini, cui furono concessi chiesa e convento nel 1683. Non si sa a quale epoca risalga il ninfeo, noto anche come stanza del Paradiso o bagno di Maria Giovanna.
[xx] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 169.
[xxi] G.C. Infantino, op. cit., p. 214.
[xxii] Ibidem.
[xxiii] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 169.
[xxiv] Ibidem.
[xxv] G.C. Infantino, op. cit., p. 223.
[xxvi] Ivi, p. 225.
[xxvii] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 169. Si tratta del convento della SS. Annunziata sulla strada provinciale Lecce – San Pietro in Lama, adesso di proprietà della Fondazione Memmo.
[xxviii] G.C. Infantino, op. cit., p. 228.
[xxix] Ivi, p. 117.
[xxx] G.C. Infantino, op. cit., p. 213.
[xxxi] Ivi, p. 170.