di Armando Polito
Non è la recensione ritardata, e non solo in senso cronologico …, di più di un film uscito con questo titolo (nella foto di testa la locandina originale in francese di quello del 1998 diretto da Jean Marie Poiré).
Avevo poco meno di vent’anni, ero iscritto alla facoltà di giurisprudenza di Urbino (già reduce da quella di Scienze biologiche a Roma, abbandonata per problemi alla vista) e, in un momento d’ispirazione (!), sulla copia fresca fresca della Costituzione avevo scritto nel posto di solito riservato alle dediche la seguente mia massima: Non si è nessuno nella vita se non si è procreato un figlio o scritto un libro. Non saprò mai (anche perché il giudice è scomparso da tempo) se il superamento con trenta e lode dell’esame di diritto costituzionale fu dovuto allo studio fatto o all’impressione che la lettura (che culo!) della mia massima esercitò su chi mi aveva esaminato, il professore Giorgio Lombardi. Non era neppure quella la mia strada e abbandonai anche Giurisprudenza per approdare all’antico amore, le Lettere. Di quella massima son rimaste due splendide figlie e nessun libro. Se fossi nato trenta o quaranta anni dopo molto probabilmente non mi sarei potuto permettere il lusso neppure di un solo figlio. La crisi demografica, già da tempo in atto per una visione, a mio avviso, edonistica ed egoistica della vita di coppia, ha avuto un incremento non da poco quando ha cominciato ad intrecciarsi in un abbraccio mortale con l’altra crisi: quella economica. Ed ora i due serpenti in amore sono freneticamente impegnati a mordersi la coda: come si fa, in un clima di precarietà e incertezza generalizzate, a pensare di formarsi una famiglia quando già avendo un lavoro si vive costantemente nel timore di perderlo?
Quando sento dire che i soldi nella vita non sono importanti mi viene la tentazione di spaccare la faccia a chi ha appena finito di affermarlo (previo controllo della statura e del tono muscolare del soggetto …), specialmente oggi che, a quanto pare, sono tutto. E la memoria va a tempi meno lontani di quelli dei miei studi universitari, quando con i miei allievi sacrificavo forse qualche approfondimento di natura grammaticale per soffermarmi sulla lezione di vita dei classici e, soprattutto, sul carattere amaramente fasullo di certe affermazioni. Una per tutte: il ciceroniano historia magistra vitae (la storia è maestra di vita). Purtroppo, millenni di storia hanno dimostrato che così non è stato, anche se gli inguaribili sognatori come me, che considerano i bilanci fallimentari solo uno stimolo per cambiare, aggiungono non ma così dovrebbe essere, bensì ma così dovrà essere. Ancor più impegnativo, poi, appare il compito se consideriamo nella sua interezza la frase da cui la massima è stata estrapolata: Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis (La storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, memoria della vita, maestra della vita, messaggera dell’antichità).
A proposito dei soldi, poi, e della loro importanza mi piaceva far osservare che chi ce li ha può pure guarire dal cancro, chi non ne ha può pure morire per le complicanze di un banale raffreddore. La conclusione nel caso particolare (ma ha anche valenza estensiva) è che i soldi cesseranno di essere importanti quando chi può guarire dal cancro si adopererà (anche non rubando e pagando le dovute tasse …) per non far morire chi lo può per i postumi di un raffreddore.
Poi venne Giambattista Vico con la sua teoria dei corsi e ricorsi storici e la consolante interpretazione che, tuttavia, mai il passato si ripete pedissequamente. Condivido la consolazione se penso solo alla forma; se guardo alla sostanza, la respingo al mittente.
Per farlo chiedo ancora una volta aiuto al poeta dialettale neretino Francesco Castrignanò ed alla sua poesia, tratta da Cose nosce (1909), dal titolo Forte nu ndore.
Il clima quasi da idillio che si respira attraverso le parole di lui per quasi tutta la poesia si ammanta di amarezza nella quartina finale attraverso le parole di lei, in cui il motivo economico e la conseguente volontà del padre non mi appaiono come pretesti messi in campo per fare la preziosa e mostrare così, secondo i canoni comportamentali del tempo, la propria “serietà”.
Oggi, per fortuna, la “dote” di lei non ha più importanza ma, destino infame!, né lei né lui, magari plurilaureati, sarebbero disposti (anche perché psicologicamente non attrezzati), per amore, a vivere sirchiandu scalore (sarchiando scarole), a meno che al padre (di lei o di lui o, meglio, di entrambi) non manchino li turnisi …
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1 Corrisponde all’italiano odore. La n– di ‘ndore è per influsso di ‘ndurare, a sua volta da in+odorare con sincope e aferesi (trafila: *inodorare>*indorare>’ndurare), cioè non è, come l’italiano odore, dal latino odore(m), ma quasi di origine deverbale.
2 Dal greco σάμψυχον (leggi sàmpsiuchon).
3 Da ‘mpizzare, che è da in+pizzu (pizzo); la voce è usata anche nel significato di infilare e riflessivamente in quello di mettersi in mezzo.
4 Corrisponde all’italiano vento.
5 Corrisponde all’italiano seguito.
6 Corrisponde all’italiano parare, riservato, però, a momenti più solenni.
7 Per scàttuddha vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/06/10/il-diserbante-del-cuore/
8 Corrisponde all’italiano intesi.
9 Nonostante la lira fosse già in corso ai tempi dell’autore, qui turnisi (tornesi) sta nel senso estensivo di soldi e tale suo uso continua ancora oggi.