di Paolo Vincenti
Pubblicato a fine 2012, “Carmina” (Congedo Editore), poesie giovanili di Luigi Crudo (1939-2007), indimenticabile dirigente dell’Istituto Scolastico di Taurisano e promotore culturale, è un omaggio fortemente voluto dalla moglie Maria Sabato e dai figli Massimiliano e Carlo. Strani e misteriosi i percorsi della vita. Non ho conosciuto personalmente Luigi Crudo ma solo attraverso la sua famiglia, in particolare attraverso il figlio, l’amico Carlo, con il quale abbiamo condiviso tante e belle occasioni di collaborazione culturale. Carlo mi ha parlato più volte della figura e delle opere del padre del quale va giustamente orgoglioso.
Quello che non sapevo invece, e che ho saputo sempre grazie a Carlo, era che Luigi Crudo fosse padre anche di Massimiliano che io conosco da moltissimi anni, e cioè dai gloriosi tempi del Liceo Classico, a Casarano, e ciò perché Massimiliano, persona riservata e piuttosto schiva, non mi aveva mai parlato del suo illustre papà. È stato quindi molto bello ritrovarmi insieme a Carlo, Massimiliano e alla signora Maria, tutti uniti intorno alla figura di Gigi Crudo. L’occasione è stata quella della presentazione del libro, tenutasi a Taurisano, il 3 gennaio 2013, presso la Casa Vanini. La signora Maria ha voluto che io partecipassi a quella commemorazione con un contributo critico sul volume in parola. E dopo i saluti delle autorità, davanti ad un numeroso ed attento pubblico, io ed il professor Gigi Montonato, abbiamo tenuto degli interventi sul contenuto dell’opera, intervallati dalle letture dell’attore Michele Bovino, fine dicitore e fraterno amico. Ma faccio un passo indietro.
Un paio d’anni fa, Carlo mi fece omaggio di una copia del libro “Humanits et civitas. Studi in memoria di Luigi Crudo” (per la collana “Quaderni de l’Idomeneo”, Edipan Galatina) a cura di Giuseppe Caramuscio e Francesco De Paola, edito dalla Società di Storia Patria-Sezione di Lecce. Attraverso quel libro potei meglio conoscere meglio la figura e le opere di Luigi Crudo, Gigi per tutti, apprendendo così, attraverso il bel profilo biografico tracciato da Francesco de Paola, suo amico e compagno di studi e ricerche, che Luigi Crudo aveva conseguito la maturità classica presso il Liceo Palmieri di Lecce e l’abilitazione magistrale presso l’Istituto Pietro Siciliani della stessa città ed iniziato subito ad insegnare nelle scuole elementari, conseguendo poi la laurea in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Lecce, con una tesi su “La presenza di Virgilio nelle Epistole Morales di Seneca”.
Ho appreso che egli, votato agli studi umanistici, si era dedicato da subito alla valorizzazione della figura del suo illustre concittadino, il filosofo Giulio Cesare Vanini, e che la sua presenza era stata sempre ben radicata nella città, prima come insegnante e poi come Direttore Didattico presso le scuole elementari di Taurisano, ma anche attraverso il mondo dell’associazionismo e del volontariato ( come membro delle locali associazioni “Aldo Sabato” e “Adovos”). Insieme ad altri amici, era stato fondatore del “Centro Studi Giulio Cesare Vanini”, e si era impegnato nella ristampa delle opere vaniniane e nella loro traduzione dal latino all’italiano, insieme con Francesco Paolo Raimondi. Grazie all’impulso del centro studi a Taurisano giunsero figure di primo piano della cultura salentina e nazionale come, solo per citarne alcune, Antonio Corsano, Mario Del Pra, Giovanni Papuli, Andrej Nowicki, Giovanni Invitto, Francesco Politi, Aldo de Bernart, Giovanni Cosi, Andrè Jacob, ecc.. Socio fondatore della rivista “Pagine Taurisanesi” con Francesco De Paola, Tonio Santoro, Romeo Erminio, Stefano Ciurlia e Ugo Orlando, e di “Radio Libera Taurisano” (RTL), di cui era uno dei redattori, autore addirittura di alcune composizioni di musica popolare leggera e di musica religiosa, Crudo partecipò anche alla vita politica e amministrativa del paese, rivestendo per molti anni le cariche di consigliere comunale e assessore in svariate giunte municipali. Militava nel partito socialdemocratico con profonda convinzione.
Una vita, la sua, dedicata agli studi e all’impegno, non solo culturale ( le sue ricerche, sia pure pionieristiche, e i progetti editoriali sulla vita e le opere di G.C.Vanini furono molto apprezzati dagli studiosi e dalla critica specializzata), ma anche sociale e civile. Luigi Crudo, Medaglia d’oro del Ministero della Pubblica Istruzione, scomparve per un improvviso malore nel maggio del 2007. Ed ora, lascito prezioso, piccolo scrigno di gemme di cui nessuno, se non pochi amici fidati, conosceva l’esistenza, ecco giungere questo cofanetto significativamente intitolato “Carmina”, con una bella e dotta Prefazione di Gino Pisanò. Già il titolo contribuisce a darci la misura dell’intonazione classica che sottende questi componimenti, così come la copertina, con un dipinto di Elisabeth Thompson, “La preghiera alla Vergine”, rimanda ad uno dei due nuclei tematici intorno ai quali si dipana l’ordito di questo volume poetico, ossia la religiosità , l’altro essendo l’amore. Si tratta di poesie scritte da Crudo negli anni della sua adolescenza e prima giovinezza, gli anni della sua formazione, e la struttura metrica, l’intonazione, il respiro che anima questi versi sono intonati ad un periodo storico e letterario che già quando Crudo scriveva era al suo tramonto, quello dell’Ottocento poetico, ai cui due massimi esponenti, Leopardi e Manzoni, Crudo chiaramente si ispira, attraverso l’imitazione formale di questi grandi. L’autore si esprime attraverso una versificazione classica, dimostrando di saper padroneggiare perfettamente la metrica e la prosodia. Non solo imitazione dello stile e degli accenti dei classici,ma anche dei temi trattati. Sicché può ben definirsi questo canzoniere come un frutto certamente maturo o come l’ultima fioritura di una stagione culturale, di una primavera poetica che ha dato i suoi fiori più belli e profumati nell’Ottocento italiano.
Ma non perché un fiore sbocci fuori stagione è per questo meno gradito, e anzi, proprio per essersi rivelato ormai fuori tempo massimo, esso è ancora più apprezzato, come sempre gradite sono le sorprese, le cose che credevamo ormai perdute, e ci aggrappiamo al loro ultimo effluvio come alla dolente nostalgia di quel che è ormai passato, come alla struggente bellezza di quel che non c’è più. Arcadia minore,diremmo, ma non sterile anacronismo. Se restaurazione è propugnata in questi versi di Gigi Crudo, si tratta semmai di restaurazione del concetto di umanità, contro tutte le crisi spirituali del Novecento che sembrava volessero abbatterla.
Quella della poesia era per Crudo una dimensione tutta propria, un porto quiete, un giardino segreto. Poesia, quasi come isola felice, come rifugio, mi sembra di capire, come il luogo della dialettica fra sé e sé, un luogo quindi dell’ascolto dei moti della propria anima, dei propri dolori, travagli, delle proprie accensioni di gioia, delle prime esperienze di uomo, dei propri silenzi, turbamenti, dei primi amori, di una religiosità forte e vibrante, delle indignazioni nei confronti di un mondo non esattamente all’altezza delle proprie aspettative, di un pessimismo certamente di derivazione letteraria ma non per questo artificioso. Non si sa se Crudo avrebbe mai voluto pubblicare queste sue poesie ma è stata ferma volontà della famiglia farle conoscere a tutti.
La sera del 3 gennaio, in occasione della presentazione del libro, ho fatto una selezione di brani che Michele Bovino ha letto con grande pathos. “La dolce visione”: un sonetto che reca degli accenti stilnovistici, in cui possiamo riconoscere le influenze di Guinizelli e di Dante. “Beatitudine”: un piccolo idillio, un canto alla natura e alla sua forza consolatrice, riposante, ritemprante dello spirito e del corpo, in cui compaiono anche due neologismi, coniati dall’autore, e cioè “arrubìna”, “rende rosso”, e “ditirosata”, riferito all’aurora, ossia “dalle dita di rosa”, di ascendenza omerica. “Tra i fiori”: un’ode in cui ritroviamo un ambiente bucolico, in cui l’autore magnifica le bellezze della natura e alza un ringraziamento all’autore di tanta bellezza, il Divino Artefice, il Signore del Cielo, “Re de le create cose”, e anche in questo canto si può cogliere una chiara ispirazione dantesca. “1 Aprile”: un’ode in cui l’autore si rivolge alla bella amata, lodandone le splendide forme nonché le virtù morali e ricordando come nacque il loro primo incontro. Un’occasione fuggevole, come spesso succede, nella quale l’autore, che dimostra di saper intonare il proprio canto anche a sentimenti più leggeri, ad una verve giocosa come per le facezie di questo componimento d’occasione, ricorda che ebbe a fare una scommessa con un amico e per vincere quella scommessa, si fece ardito e avvicinò la bella per dimostrare all’amico che non gli sarebbe mancato il coraggio, la faccia tosta, di conquidere, diremmo con un termine aulico, quella creatura angelica, e farne un trofeo da esporre nella propria personale bacheca. Ma quella che doveva essere solo la conquista di un momento, una scommessa giocata e vinta, diventa ben presto innamoramento , se è vero che l’autore non sa più scacciare dal proprio cuore l’immagine di quella ragazza e supplica, in fine di componimento, la bella di volerlo ricambiare, ardendo ormai egli di amore forte ed eterno.
Dopo quella di Taurisano, vi è stata un’altra occasione in cui è stato presentato il libro “Carmina”: precisamente il 27 marzo 2013, presso l’ Università Popolare “Aldo Vallone”, Palazzo della Cultura, di Galatina. Anche stavolta la signora Maria ha voluto che fossi io a relazionare sul libro e anche questa volta, dopo i Saluti del Presidente della Unipop Gianluca Virgilio, ci sono stati al mio fianco Massimiliano e Carlo Crudo, con i loro interventi, e Michele Bovino, a declamare alcune poesie.
Ogni testo del canzoniere, con le sue costanti, la coerenza, la fedeltà che Crudo riserva alla sua poetica, ci trasporta in una dimensione che non ha né un tempo né uno spazio ben definiti, ma che si pone anzi in un non tempo e in un non spazio che sono le coordinate esistenziali della poesia stessa. Esiste per Gigi Crudo un contrasto fra l’effimero trascurabile, che pure egli, con l’irruenza del quindicenne, che si apre alla vita, uomo tra gli uomini, non disdegna, e l’Universale inafferrabile che dà un senso alla propria vita. Ma “anche per il pensiero”, direbbe Wittingstien, “ c’è un tempo per arare e un tempo per mietere”. E in questo contrasto, si staglia, eterea, sublime eppure reale, la figura della sua donna, l’unica capace di saldare quello squarcio, di riannodare quel filo che sembrava essersi sfilacciato. Sono versi che ci aprono alla necessità della poesia, ci fanno capire quanto ci sia bisogno di poesia ancora in un tempo come il nostro. Fra gli altri brani letti, “Alla luna”: un componimento ispirato dal Leopardi. Si tratta di“un’opera confidenziale”, in cui, come scrive lo stesso autore “ vuol mettere in risalto la fragilità umana e la caducità delle cose terrene e velatamente anche l’assillo universale di ottenere quella felicità che non è stata mai raggiunta”. In questo componimento poi compare un termine desueto, “amistade”, che nel linguaggio aulico significa “amicizia”(è di derivazione spagnola) e proprio con questo termine il lettore Michele Bovino, che però lo ha mutato da una bella canzone di Fabrizio De Andrè, ha battezzato il suo gruppo musicale (con il quale io stesso ho avuto più volte l’onore ed il piacere di dividere il palco in serate di arte varia). “Ode all’amore”: in questo componimento, che ricalca l’Inno ad Afrodite di Saffo, compaiono due figure tratte dalla mitologia greca, cioè Amore, Eros o Cupido, “di Ciprigna diva augusto figlio”, come scrive l’autore, e la Cipride Venere, appunto, dea della bellezza. Il tema trattato è quello dell’amore del giovane protagonista del canto per una bella madonna che è Clara per la quale l’innamorato chiede l’intercessione tutta pagana del dio dell’amore, affinché il giocondo fanciullo sia benigno e possa far piegare la celeste Clara all’amore del suo pretendente, cosicché i due possano unirsi in un empito di amore condiviso. “Per te amico”, scrive Crudo in una chiosa, “sono necessarie le parole della Traviata” e riporta alcuni versi dell’opera di Giuseppe Verdi. “Il tuo nome”: questa poesia è dedicata alla sua amata, Maria, che poi sarebbe diventata sua moglie. Nomen omen, diremmo, in latino, e l’autore rivolge questo canto d’amore alla propria donna e questo mi piace possa suggellare la selezione delle poesie lette e la mia recensione.
Concludo affermando che è pur vero, come scrive Gino Pisanò, che molti non conoscono le figure retoriche che fanno parte del bagaglio di un letterato, ma io credo che se pure non sappiamo cosa sia una metafora o una metonimia e un poliptoto, possiamo comunque gustare la bellezza della poesia, avvertire il dolce canto che si spande da questa e le poesie di Crudo possono trasmettere comunque un’emozione; ed è questo il più bel dono che l’autore ci fa e insieme, grazie alla mediazione della moglie e dei figli che ce lo hanno voluto tramandare, il suo lascito umano e morale.