ARCHITETTURA DEL RINASCIMENTO A MANDURIA: TRE ESEMPI DI STILE CATALANO-DURAZZESCO
di Nicola Morrone
Nell’ambito della millenaria vicenda storica di Manduria, caratterizzata da momenti luminosi ma anche da lunghi, oscuri periodi di decadenza, si segnala per la sua singolarità l’epoca rinascimentale. Chi volesse averne un quadro documentato, anche se non esaustivo, puo’ rileggere il sempre valido saggio di G. Jacovelli (Manduria nel ‘500, Galatina 1974). Anche alla luce delle preziose indicazioni fornite dall’autore, e data l’ampiezza delle testimonianze superstiti, sarebbe auspicabile la realizzazione di un archivio fotografico del ‘500 mandurino, risultante da un censimento della totalità delle testimonianze rinascimentali nel nostro paese.
Si tratterebbe di un validissimo strumento, utile, oltre che sul piano scientifico, anche su quello didattico. E tra i monumenti superstiti del sec. XVI a Manduria spiccano soprattutto i palazzi nobiliari: essi superano, per numero, tutte le altre testimonianze architettoniche coeve.
Il palazzo nobiliare si presenta oggi ai nostri occhi sotto un duplice aspetto. Esso è l’ immagine concreta del potere di una classe sociale, l’aristocrazia, detentrice per lunghi secoli, insieme al clero, della quasi totalità delle risorse economiche del territorio, titolare di privilegi scandalosi e in buona parte responsabile, con la sua inerzia, del ritardo di sviluppo economico dell’intero Mezzogiorno.
Ma il palazzo patrizio è anche, indiscutibilmente, un’opera d’arte, frutto dell’ingegno umano, e in questa prospettiva soprattutto vogliamo considerarlo nelle nostre brevi note.
Ci occuperemo, nello specifico, di tre episodi architettonici rinascimentali, che qualificano il nostro centro storico. Si tratta di Palazzo Bonifacio, della cosiddetta Sinagoga, e di Palazzo Pasanisi, e ne approfondiremo la tipologia dei portali, tutti e tre riconducibili al cosiddetto stile “catalano-durazzesco”. E’ questo uno stile che caratterizza i portali di molti edifici patrizi , in tutto il Sud Italia, dalla Campania al Molise, alla Puglia , alla Sicilia, e perfino alla Sardegna. Secondo lo studioso R. Pane, il prototipo di questa tipologia, e al tempo stesso il primo esempio documentato, è il napoletano Palazzo Penne, risalente al 1406. Esso era la residenza di Antonio Penne, segretario del re di Napoli Ladislao di Durazzo. Gli studiosi hanno per molto tempo pensato che l’ elemento che caratterizza questa particolare tipologia architettonica, cioè l’arco a sesto ribassato inquadrato in una cornice rettangolare, fosse di provenienza spagnola , segnatamente catalana. Ostano però a questa ipotesi due elementi: 1) il fatto che i catalano-aragonesi giunsero a Napoli solo nel 1442, mentre Palazzo Penne è del primissimo ‘400 e 2) il fatto che nè in Catalogna, nè altrove in Spagna, ne è stato rintracciato alcun esempio
Le ricerche piu’ recenti inducono invece a pensare che questa tipologia, tipica del solo Sud Italia e debitrice di originari modelli tardogotici, rappresenti una fusione, verosimilmente maturata in ambito napoletano, di elementi conservativi (tardomedievali) e innovativi (quattrocenteschi), variamente attinti anche da un repertorio straniero.
Questo tipo di portale, poi, si diffuse dalla capitale del Regno alle province, in cui fu riproposto anche nel secolo XVI. Per quanto riguarda il Salento, portali di tipo catalano-durazzesco sono presenti a Brindisi, nel Palazzo Granafei-Nervegna (1565) e nel Palazzo Ripa (1588), mentre a Lecce si ricordano almeno una decina di esempi, tra cui i Palazzi Guarini, Giustiniani, Palmieri, Giaconia, de Raho, e le ville Ammirato e Della Monica.
Esaminiamo ora partitamente i portali catalano-durazzeschi presenti a Manduria, iniziando dalla periferia occidentale di quella che un tempo era l’antica “terra murata” di Casalnuovo.
All’imbocco di via Carceri Vecchie, in un’area fortemente degradata, ci si para innanzi Palazzo Bonifacio. In esso alloggiava appunto, durante i periodici spostamenti a Manduria, la potente famiglia dei Bonifacio, feudatari che avevano la loro residenza abituale in Napoli , e che, dopo aver acquistato il feudo di Oria nel 1500, acquistarono intorno al 1522 anche i feudi di Francavilla e Casalnuovo. Una tradizione vuole che in questo Palazzo sia morto intorno al 1527 (e non nel 1554, come erroneamente riferisce il Tarentini) il giovane poeta Dragonetto Bonifacio, forse deceduto in seguito ad una caduta da cavallo. Un’altra versione vuole invece che il giovane sia morto per “violento fumo di veleno”, mentre distillava un filtro amoroso (questa versione pare pero’ sorta in epoca piuttosto tarda).
Il palazzo Bonifacio di Manduria conserva il portale d’ingresso originario, anche se piuttosto malconcio: sulla ghiera esterna, in pietra scelta, sono visibili ancora le tracce della primitiva decorazione a rosette, che lo apparenta strettamente agli altri due esempi manduriani, cioe’ il portale della presunta Sinagoga e quello di palazzo Pasanisi.
In effetti, anche nel portale d’ingresso di quella che da tutti viene considerata la Sinagoga in cui si radunava la piccola comunità ebraica residente a Manduria, ritroviamo gli stessi elementi del portale di Palazzo Bonifacio, cioe’ la tipologia catalano-durazzesca, qui caratterizzata dalla prepotente presenza delle rinascimentali rosette decorative.
A proposito di questo edificio, siamo propensi a ritenere che esso, più che il luogo in cui si riuniva una comunità a scopo di preghiera, sia piuttosto il vestibolo di un palazzo patrizio del ‘500, che forse si apriva su un cortile. L’ambiente è molto piccolo, caratterizzato dalla presenza di una volta a sesto ribassato sostenuta da peducci del tipo “ad unghia” . Non ci è stato finora possibile esplorare l’ intero edificio che incorpora quest’ambiente, ma teniamo a precisare che all’esterno (l’interno e’ stato stravolto) esso non presenta tracce di un uso cultuale. Il problema dell’effettiva destinazione d’uso di questo piccolo ambiente potrà essere risolto solo con un attenta analisi delle strutture complessive dell’edificio che lo ingloba; il fatto che la tradizione vi identifichi la Sinagoga ebraica puo’ far pensare che essa effettivamente sorgesse nell’area in cui poi fu costruito il palazzo.
Chiude la breve rassegna dei portali catalano-durazzeschi manduriani l’esempio di Palazzo Pasanisi, sito in via Omodei. Esso presenta l’arco inquadrato dalla cornice rettangolare, e le rosette, questo inconfondibile motivo decorativo rinascimentale che tra l’altro ritroviamo in uno degli esemplari forse piu’ compiuti di portale cinquecentesco manduriano, cioe’ quello di Casa Ferrara, sito nella via che prende il nome dal famoso cardinale. Il palazzo Pasanisi, mirabile esempio di architettura del ‘500 conservatosi pressochè intatto , è ulteriormente valorizzato in facciata dalla presenza di un loggiato e di due finestre con cornici originali. In una zona piu’ nascosta del fronte si intravedono addirittura i resti di un’edicola affrescata con soggetto religioso, sicuramente d’epoca.
Concludiamo qui questa breve disamina di alcuni fra i tanti episodi architettonici del rinascimento manduriano, segnalando in conclusione che, nell’economia estetica del palazzo baronale , il portale svolge sempre un ruolo-chiave: esso, al tempo stesso reale e simbolico elemento di mediazione tra l’interno e l’esterno del palazzo nobiliare , rappresenta , come afferma G. Labrot, ” il gran pezzo di architettura”.
“Il palazzo nobiliare si presenta oggi ai nostri occhi sotto un duplice aspetto. Esso è l’ immagine concreta del potere di una classe sociale, l’aristocrazia, detentrice per lunghi secoli, insieme al clero, della quasi totalità delle risorse economiche del territorio, titolare di privilegi scandalosi e in buona parte responsabile, con la sua inerzia, del ritardo di sviluppo economico dell’intero Mezzogiorno”.
Mi piacerebbe leggere articoli sulla nostra architettura senza capitare, per sbaglio, in inutili ed inopportune asserzioni relative all’arretratezza del SUD. E’ stato ampiamente dimostrato da più storici, sociologi ed economisti che l’arretratezza del nostro territorio ha radici nell’unità d’Italia più che nelle classi sociali preunitarie.
Gentile Tafuri,
il Sud Italia, se si eccettua una piccola zona del Napolateno, aveva all’arrivo di Garibaldi un’economia basata su un’agricoltura arretrata da un punto di vista tecnico e caratterizzata, da punto di vista della struttura della proprieta’ fondiaria , sul latifondo.I proprietari della terra (cioe’, in un’economia agricola, della ricchezza ) dopo essere stati per lungo tempo gli aristocratici ed il clero, divennero dopo le leggi eversive della feudalita’ i galantuomini, ma la situzione per i contadini meridionali non muto’.Clero e nobilta’ sono stati , sul piano delle riforme della struttura della proprieta’, sempre assolutamente inerti .Sono dati storici incontestabili, che puo’ verificare in qualsiasi manuale di storia ( non certo nelle letture giornalistiche…).Si faccia un giro a Napoli, gia’ capitale del Regno. Napoli e’ oberata di chiese e di palazzi signorili oltre ogni buon senso e razionalita’. Sono capolavori d’arte, certo, ma sono anche gli sfoghi delle classi egemoni che si hanno investito in queste costruzioni (e in divertimenti noti in tutta Europa) le rendite fondiarie.Di interesse nel miglioramento delle colture e nell’aggiornamento delle tecniche ( non dico nel dare la terra ai contadini…), manco a parlarne. Molte plaghe al sud erano paludose ancora alla fine dell’Ottocento.A Napoli nel 1799 scoppia una rivoluzione. Si interroghi sulle ragioni di un simile evento, poi ne riparliamo. Cordialmente….
In conclusione , quale e’ stato il vero dramma della storia del Mezzogiorno, messo in luce da tutti gli studiosi e non certo imputabile ai piemontesi ? La mancanza di un ceto borghese moderno , laico e produttivo che si inserisse tra clero e aristocrazia, per arginarne lo strapotere. Questo ceto al nord inizia a formarsi nel Medioevo,con i Comuni, mentre nel Sud, nello stesso periodo, prima Re Ruggero e poi Federico II strangolano lo slancio produttivo del Regno tassando in modo spietato i ceti borghesi. Poi gli Angioini, gli Aragonesi, gli Spagnoli ( tutti accorti ad imped la nascita di un agguerrito ceto borghese, che potesse metterne in discussione le prerogative poltiche….).La storia del Sud, gentile Tafuri, va vista nella prospettiva della lunga durata, non restringendo tutto a partire dal 1860.Questa prospettiva, ahime’, manca a quasi tutte le persone con cui mi sono confrontato su questi argomenti, perche’ la pubblicistica attuale privilegia gli errori di Garibaldi e dei Piemontesi, che pure ci sono stati.Saluti…..
ray ban wayfarer…
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Mi scuso per non aver seguito i commenti successivi al mio e quindi la risposta arriva in ritardo.
Il mio panorama culturale ha radici che sono, fortunatamente, molto antecedenti al 1860 e non si basano solo su letture di giornali, ma anche di testi, sicuramente differenti da quelli consultati dallo scrittore, in mio possesso.
Chiariti questi punti, confermo il totale disaccordo con il sig. Morrone, ma confermo anche la disponibilità ad accettare interpretazioni diverse della storia purché rimangano estranee ad articoli che solcano altri ambiti.
Il mio commento infatti opinava il celato argomento socio politico in un articolo di architettura.