Gli affreschi di Cesare Maccari a Nardò visti con gli occhi del popolo e raccontati da un poeta dialettale

di Marcello Gaballo e Armando Polito

Non è raro il caso in cui leggendo la recensione di un libro, di un quadro, di una singola poesia vengono in mente le parole di Azzeccagarbugli al povero Renzo: – All’avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle –. Ora è vero, per esempio, che una parola comune usata da un poeta acquista per lo più nuovi significati, ma pare grottesco complicare ad ogni costo anche le cose più semplici e chiare. Così si ottiene solo un risultato: la superfetazione della stessa parola critico che diventa criptico, impegnato solo a trovare gli agganci più strani, le immagini più complicate, le parole più roboanti, le citazioni più o meno logore, anche quando basterebbero otto parole comuni per chiarire le quattro di loro usate, tal quali, dal poeta …

Sull’importanza, poi, del giudizio, espresso con questa oscena messinscena (dell’ossimoro non si è potuto fare a meno …) soprattutto in occasione di incontri, conferenze e simili eventi spacciati per culturali ma di taglio unicamente pubblicitario,  non sprechiamo parole, facciamo solo notare che il fatto che mai compaia una stroncaturina, magari solo parziale, dovrebbe far capire molte cose sull’onestà, anzitutto intellettuale, di autori, editori e recensori e sulla loro poco libera intelligenza, quando quest’ultima c’e.

La poesia che segue, tratta come le altre di Francesco Castrignanò fin qui lette dalla raccolta Cose nosce del 1909, è prevalentemente descrittiva ma riesce anche a coniugare felicemente il registro moderatamente didattico o didascalico del cicerone di turno (una guida che, comunque, si direbbe di estrazione popolare, insomma nnu cicerone fattu a ccasa) con l’espressione del sentimento popolare di orgoglio e meraviglia per un evento importante quale fu quello della decorazione del coro, dell’abside e della volta del presbiterio della Cattedrale di Nardò, eseguita da Cesare Maccari (Siena, 1840-Roma, 1919) tra l’estate del 1896 e la fine del 1899 su commissione del vescovo Giuseppe Ricciardi (1888-1908); decorazione tanto più coinvolgente perché alcune rappresentazioni (Traslazione delle reliquie di San Gregorio Armeno e Miracolo del Cristo nero) del ciclo riguardano memorie, antiche e ben radicate nella religiosità popolare, della storia neretina. Le foto, laddove non compare specifica indicazione, sono degli autori.

Autoritratto di Cesare Maccari (1914) custodito nel deposito della Galleria degli Uffizi; immagine tratta da http://www.polomuseale.firenze.it/inv1890/scheda.asp

Cristo in trono che accoglie l’Assunta/ San Giuseppe, San Gioacchino, San Giovanni Battista, San Lorenzo, Santo Stefano, San Giacomo Maggiore/ i profeti Geremia, Daniele, Isaia

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La figura che, accanto al soldato, osserva allibita il miracolo è l’autoritratto del Maccari. Difficile dire se fu abitudine vanitosa quella di lasciarci suoi autoritratti in parecchie opere. Uno tra i più famosi è quello presente nel dipinto realizzato nel 1887 nella Sala del Risorgimento nel Palazzo pubblico di Siena e raffigurante il trasporto della salma di Vittorio Emanuele II al Pantheon (di seguito vista intera e dettaglio).

immagine tratta da http://www.iltesorodisiena.net/2011/09/palazzo-pubblico-gli-affreschi-della.html
immagine tratta da http://www.iltesorodisiena.net/2011/09/palazzo-pubblico-gli-affreschi-della.html

 

Leone XIII (1878-1903) in un’immagine tratta da http://it.wikipedia.org/wiki/File:Leo_XIII..jpg e nella rappresentazione del Maccari in un’immagine tratta da http://194.242.241.172/opencms/opencms/system/modules/com.culturaitalia_stage.liberologico/templates/viewItem.jsp?language=it&case=&id=oai%3Aartpast.org%3A160017175

Monsignor Ricciardi nella rappresentazione del Maccari; immagine tratta da http://194.242.241.172/opencms/opencms/system/modules/com.culturaitalia_stage.liberologico/templates/viewItem.jsp?language=it&case=&id=oai%3Aartpast.org%3A1600171755

Nell’anno 2000, al quale risale la sottostante foto degli autori, il dipinto raffigurante il Ricciardi era in restauro.

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1 Sarebbe veramente interessante sapere, tramite un’indagine (che lasciamo a chi ne ha voglia e tempo) nell’archivio della curia,  se cinquantamila lire corrisponde, più o meno, alla spesa reale oppure è, sempre più o meno, sinonimo dei nostri una cifra, una  fortuna o un sacco di soldi. A pelle ci pare più plausibile la prima ipotesi. Crediamo, comunque, che qualche notizia in merito debba esserci in Andrea Cappello e Bartolomeo Lacerenza, La Cattedrale di Nardò e l’arte sacra di Cesare Maccari, M. Congedo, Galatina, 2001, testo che non ci è stato possibile, almeno fino ad ora, consultare.

2 Alla lettera fiato. Per il resto vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/01/13/due-improbabili-anzi-impossibili-coniugi-la-fiata-e-lu-fiatu-la-fiata-e-il-fiato/

3 Il tema fu successivamente trattato dal Maccari in una tela ad olio eseguita nel 1903 e custodita ad Imperia nella chiesa di S. Maurizio. Crediamo di poter affermare, però, che tale dipinto non sembra tener conto della struttura compositiva di quello neretino ma dell’Assunzione di Tiziano conservata nella basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia (foto in basso a destra).

Immagini tratte, rispettivamente, da:

http://194.242.241.172/opencms/opencms/system/modules/com.culturaitalia_stage.liberologico/templates/viewItem.jsp?language=it&case=&id=oai%3Aartpast.org%3A0700020419

http://2.bp.blogspot.com/-rAx4WBWx5uY/TxsxONgUYjI/AAAAAAAABd0/XJER_Ie41II/s1600/04+TAVOLA+DELL%2527ASSUNTA+DI+TIZIANO.jpg

4 Da babbare, per il cui etimo vedi la nota 1 del post in https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/05/02/quando-unagenda-vale-come-e-piu-di-un-libro/

5 Trattasi di parte dell’avambraccio portato secondo la tradizione a Nardò nell’VIII secolo dai monaci armeni in fuga dalla furia iconoclasta di Costantino Copronimo.  Era contenuto in un reliquiario a forma di braccio terminante con una mano benedicente, fatto realizzare dal vescovo Cesare Bovio (1577-1583). Fu trafugato nel 1975 e l’originale, fino ad ora non ritrovato, fu sostituito con una teca ovaliforme contenente un metacarpo che prima faceva parte delle reliquie conservate a Napoli, dono fatto nel 1985 dal cardinale Corrado Ursi già vescovo di Nardò (1951-1961), poi arcivescovo di Acerenza e dal 1966 arcivescovo di Napoli.

6 Corrisponde all’italiano garbo.

7 Corrisponde all’italiano gabbo.

8 Oggi la forma in uso è strusce, da struscire, corrispondente all’italiano strùggere.

9 Oggi la voce in uso a Nardò è beddha; caleddha è diminutivo femminile del greco καλή (leggi calè)=bella. Da notare come caleddha forma con il successivo beddha un tipo di  rima (con parole legate dallo stesso significato) che non ha, a quanto ne sappiamo, un nome particolare di classificazione. Proporremmo rima semantica o concettuale.

10 È un crocefisso ligneo che attualmente si trova nell’omonima cappella nella navata sinistra della Cattedrale. Secondo alcune fonti il 18 maggio 1255 i Saraceni tentarono invano di asportare dalla chiesa il Crocifisso per bruciarlo insieme con altri arredi sacri;  urtando la porta, si spezzò il mignolo della mano sinistra. Alla vista del sangue che ne uscì  i soldati fuggirono atterriti  e abbandonarono Nardò.

Il dito spezzato, di cui non si aveva più notizia,  è stato ritrovato durante il restauro effettuato nel 1955 dall’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, nascosto in una cavità sulla spalla.. Quanto alla datazione del simulacro, studi recenti la spostano al XIII secolo, mentre la tradizione voleva che fosse stato portato a Nardò nell’VIII secolo dai monaci basiliani insieme con le reliquie di S. Gregorio.

11 Ci pare di poter cogliere in reale un’ambiguità, non sappiamo quanto consapevole: cosa degna di re, ma anche cosa concreta, destinata a durare.

 

 

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