Iò, la pica, li cirase e Nerinu …. (Io, la gazza, le ciliegie e Nerino …)

di Armando Polito

 

Una ciliegia tira l’altra è la locuzione proverbiale che poi ha dato vita alla similitudine, non necessariamente riferita a un frutto, come le ciliegie: una tira l’altra.

Lo sanno bene anche le gazze che per due anni consecutivi mi hanno fatto fesso ripulendo in pochissimo tempo i miei due alberi di ciliegio (ne sopravvive solo uno, ma credo non per molto) i cui frutti avevo seguito affettuosamente nella loro maturazione. Ogni volta tutto era pronto: il rosso era al punto giusto e pure il paniere per la raccolta programmata per il giorno successivo. La prima volta, non vedendo nemmeno una ciliegia sull’albero, pensai che mia moglie , molto più mattiniera di me, mi avesse preceduto. Entrambi, invece, eravamo stati bruciati sul tempo dalle gazze. Forse l’amore che ho per gli animali aveva reso meno traumatico la perdita di quel frutto che pure avevo amorevolmente seguito, tant’è che l’inconveniente si ripetè l’anno successivo. Bisognava ricorrere ai ripari e negli anni successivi applicai i suggerimenti fornitimi da chi aveva tentato di risolvere il problema, scartando a priori la gazza morta da appendere a un ramo e il cannoncino che spara colpi ad intervalli più o meno regolari. Per qualche anno tirai avanti con un  grande orsacchiotto di peluche che qualcuno aveva abbandonato vicino al cassonetto della spazzatura. Sistemato tra i due alberi funzionava, sì, ma difettosamente perché le ciliegie che restavano per me non erano nemmeno la metà di quelle consumate dalle gazze. Siccome sapevo che sono animali molto intelligenti dovevo escogitare per l’anno successivo un altro rimedio. Mi venne non so come l’idea di stendere fogli di giornale sotto ogni albero fissandoli con delle pietre perché l’eventuale vento non li portasse via. Incredibile a dirsi, quell’anno le gazze non toccarono neppure una ciliegia. Secondo me, avvicinatesi agli alberi, erano rimaste, più che attratte dalle ciliegie, incuriosite dai fogli di giornale; ma, leggendo le notizie (l’ho detto, sono animali intelligenti …), erano rimaste traumatizzate ed erano volate via. Pensavo di aver risolto il problema ma l’anno successivo, nonostante avessi sistemato i fogli di giornale che nel corso dell’anno avevo accuratamente scelto in base alla drammaticità delle notizie, non assaggiai neppure una ciliegia. Secondo me le gazze, diventate dopo un anno, loro sì …, ancor più intelligenti, si erano accorte che la data di quei fogli non era recente, oppure avevano fatto anche loro il callo alle brutte notizie …

Mi consolai parzialmente pensando al proverbio Macari ca mangi pane e ccirase, mara alla entre ca pane no ttràse! (Puoi pure mangiare pere e ciliegie, guai al ventre in cui non entra pane!).

Poi venne Nerino e l’unico albero sopravvissuto ebbe, finalmente, il piacere (più che altro mio …)  di farmi gustare tutti i suoi frutti. Gli ho dato uno sguardo pochi minuti fa: domani riempirò il panierino …

 

* Sono due anni che in questo periodo per Armando ho fatto pure gli straordinari notturni e per ricompensa mi ha dato solo i rimasugli di quelle schifezze che è abituato a mangiare.  Ora basta! Quest’anno fa’ pure con comodo, così impara a comprarmi le scatolette che dico io!

** Grazie! Grazie!

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1 Dal latino medioevale ceràsea(m), a sua volta dal classico ceràsium che è dal greco κεράσιον (leggi cheràsion). La voce è rimasta nella denominazione scientifica del ciliegio amaro (Prunus cerasus L.); il ciliegio dolce, che è poi il nostro, nella nomenclatura scientifica è Prunus avium L., alla lettera susino degli uccelli, a conferma della predilezione che questi animali, le gazze in particolare, hanno per la ciliegia.

Sul ciliegio ecco le principali testimonianze degli autori greci e latini in ordine cronologico (per brevità riporto solo la mia traduzione del testo originale):

Teofrasto (IV-III secolo a. C.): Historia plantarum, III, 13: È per natura peculiare l’albero del ciliegio, notevole per grandezza, tanto che cresce fino a 24 braccia. Cresce molto diritto ed è tanto largo da avere un perimetro di due braccia oltre la radice. La foglia è uguale a quella del nespolo, molto verde e più grande, così che per il colore l’albero è visibile da lontano.  Ha la corteccia per levigatezza, aspetto e spessore simile al tiglio, per cui realizzano da esso panieri come anche dal tiglio. Cresce non diritta né in cerchio uniformemente ma si estende a spirale  dal basso verso l’alto come il contorno delle foglie e quando si scortica si scortica in questo modo, altrimenti  è tagliata e non ha valore. Parte di essa viene asportata allo stesso modo spaccata in spessore sottile come una foglia,  il resto può restare attaccato e salva l’albero man mano che cresce. Asportata la corteccia quando viene scorticato, allora stilla umore. E, quando viene asportata solo la corteccia superficiale, la restante si annerisce come per umidità mucosa e di nuovo l’anno successivo cresce altra corteccia al posto di quella ma più sottile. Cresce anche il legno simile per le nervature alla corteccia curva avviluppata. E subito i rami nascono allo stesso modo. Crescendo l’albero succede che quelli i rami inferiori muoiono, quelli in alto crescono. Tutto l’albero non ha molti rami ma meno nodosi del pioppo nero. Ha molte radici, superficiali e non molto grosse. L’andamento della radice e della corteccia intorno ad essa è lo stesso. Il fiore è bianco simile a quello del pero e del nespolo, composto di flosculi, simile a favo. Il frutto rosso è simile nell’aspetto al miglialsole, della grandezza di una fava, eccetto il fatto che il nocciolo del miglialsole è duro, quello della ciliegia molle. Nasce negli stessi luoghi in cui nasce il tiglio, soprattutto dove ci sono fiumi e posti ricchi di acque.  

Properzio (I secolo a. C.), Elegie, IV, 2, 15-16: Qui vedi rosseggiare le dolci ciliegie, qui vedi le prugne in autunno e le more in estate.

Plinio (I secolo d. C), Naturalis historia, XV, 30; XVI, 30; XVII, 47 : In Italia non ci furono ciliegi prima della vittoria di Lucio Lucullo su Mitridate fino all’anno 680 dalla fondazione di Roma. Egli li portò per la prima volta dal Ponto e dopo 120 anni giunsero oltre l’Oceano fino in Inghilterra. Essi, come ho detto, in Egitto non poterono crescere nonostante ogni accorgimento. Tra le ciliegie le più rosse sono le Aproniane, nerissime sono le Lutazie, le Ceciliane rotonde. Le Giuniane hanno un sapore gradevole, ma (vanno consumate) sotto il loro albero poiché sono tanto tenere da non tollerare il trasporto. Detengono il primato le duràcine che la Campania chiama Pliniane, nelle Fiandre le Lusitane. (Ci sono) anche sulle rive del Reno, hanno un terzo colore tra il nero, il rosso e il verde, sempre simile come se cominciassero a maturare. Son passati meno di cinque anni da quando vennero fuori quelle che chiamano lauree, di un gusto amaro non sgradevole, innestate sull’alloro. Ci sono anche le Macedoni, dalla pianta piccola, che raramente supera tre braccia, e da una più piccola ancora le camecerase. Questo frutto è quello che tra i primi dà al contadino il guadagno dell’anno. Si trova a suo agio a settentrione e nei luoghi freddi; si secca anche al sole e si conserva, come l’oliva, in vasi.  

Amano I monti ricchi di acque l’acero, il frassino, il sorbo, il tiglio, il ciliegio.

Rende precoci Ie ciliegie e le costringe a maturare la calce accostata alle radici.

La testimonianza di Plinio sull’introduzione del ciliegio in Italia nel 73 a. c. (a questa data corrisponde il 680° anno dalla fondazione di Roma avvenuta nel 753 a. C.) è smentita da ritrovamenti archeologici di semi di ciliegio risalenti all’età del bronzo. Fra l’altro, a Pompei non sono stati fatti finora ritrovamenti che confermino la ricordata conservazione del frutto secco. Solo ciliegie carbonizzate, invece, sono state rinvenute nel giardino di una casa pompeiana, nonché l’affresco in basso riprodotto (Casa del frutteto, I, 9, 5, 2° cubiculo a sinistra dell’atrio).

 

Celso (I secolo d. C.), De medicina, II, 24 e 29 : Fanno poi bene allo stomaco i cibi di sapore aspro, anche quelli che sono acidi e moderatamente salati … tra i frutti la ciliegia …; Muovono invece l’intestino il pane lievitato …, la ciliegia …

Dioscoride (I secolo d. C.), De materia medica, I, 157: Le ciliege mangiate anche acerbe favoriscono lo svuotamento dell’intestino, secche bloccano la diarrea. La gomma del ciliegio assunta sciolta nel vino cura la tosse cronica, rende di bel colore la pelle, accresce l’acutezza della vista e l’appetito, bevuta col vino giova anche ai sofferenti di litiasi.                                           

 

 

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