Meglio morire zitella!

di Armando Polito

 

L’ispirazione per quanto sto per dire mi è stata data dal recente post Donne d’un tempo da maritare1 di Emilio Rubino, in cui l’autore con dovizia documentaria delinea quello che poteva essere considerato il problema principale della donna fin quasi alla fine del secolo scorso: il matrimonio, più che l’amore …

La poesia che segue, di Francesco Castrignanò, tratta come le altre che ho precedentemente presentato da Cose nosce del 1909, mi è parsa molto interessante perché tenta di ribaltare la consueta posizione della donna (sempre quella di un tempo …) di fronte al rischio di zitellaggio. E così la leggiadra immagine delle farfalle libere e innamorate, da iniziale occasione d’invidia, diventa motivo di compassione e più avanti lo stesso nido, simbolo classico della famiglia, è visto come fonte di dolore per la coppia di uccelli che se lo son costruito. I figli stessi perdono la loro aureola di benedizione del Signore e il verso li fili cchiù crèscinu li pene … è, anche con i suoi efficacissimi puntini di sospensione,  il riassunto di tutta una serie di proverbi popolari su questo tema decisamente inquietanti2. La riflessione consolatoria per cui il restare zitella appare, in fin dei conti, più auspicabile del matrimonio, si stempera, però, nel grido finale (Malidittu l’amore!) che efficacemente riassume il nostro rapporto con un sentimento contraddittorio, al di là dei propositi matrimoniali allora dominanti ed intesi, in qualche modo, come sistemazione … e non solo per la donna). La protagonista della poesia, comunque, appare come una pensatrice originale e rivoluzionaria. Chissà che titolo e sottotitolo avrebbe dato ad un suo libro sul tema (qual è quello della foto di testa, uscito a Modena nel 1996) se avesse avuto la possibilità, in quei tempi, di scriverlo e, ancor più, di pubblicarlo!

 

Chi fosse interessato a conoscere la variazione maschile sul tema, che non prevede il coinvolgimento dei figli per motivi che a breve si capiranno,  può ascoltare la canzone che segue, composta da me (musica e parole, queste ultime in realtà un collage di antichi proverbi) e dall’amico Francesco Carrino (musica); c’è, però, un dettaglio: risale a più di vent’anni dopo … il mio matrimonio e la nascita di Caterina ed Elisabetta e, colpo di scena finale!, oggi, come forse ieri …, non sono sicuro di condividerne il contenuto. Malidittu l’amore!

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1 https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/05/22/donne-da-maritare/

2 Riporto solo quelli che mi vengono in mente al momento. Qualsiasi integrazione sarà, perciò, graditissima. Tra tutti ritengo il terzo un capolavoro per la sua lapidarietà (quattro parole, sette sillabe), per la similitudine (la filatura della lana)  e per il gioco di parole (fili/filanu).

Ci tene corne tene pane, ci tene figghie femmine cu nno ddica puttane, ci tene fili masculi cu nno dica latri! (Chi ha corna ha pane, chi ha figlie femmine che non dica puttane, chi ha figli maschi che non dica ladri!)

Figghi piccicchi pene piccicche, fili crandi pene crandi (Figli piccoli pene piccole, figli grandi pene grandi).

Li fili ti filanu (I figli ti filano).

Nnu sire mantene tece fili, tece fili no mmanteninu nnu sire (Un padre mantiene dieci figli, dieci figli non mantengono un padre).

Tre so’ li suttili: li monaci, li prieti e cci no ttene fili (Tre sono i furbi: i monaci, i preti e chi non ha figli).

3 Stessa etimologia di polline che è dal latino pòlline(m)=fior di farina, polvere. La voce dialettale potrebbe aver seguito questa trafila: pòlline(m)>*pònnile(m) (metatesi)>*pònnila (regolarizzazione della desinenza)>pònnula; in alternativa più probabile:  da pòllina (plurale del neutro pollen  che è variante del maschile pollis da cui il pòllinem prima citato)>*pònnila (metatesi)>pònnulaPònnula nel dialetto neretino è pure la piccola farfalla in cui si trasforma quando raggiunge lo stadio di adulto la larva del tarlo (Anobium punctatum). La voce è un esempio di metonimia [qui (la protagonista del)l’effetto per la causa] perché il fior di farina, polvere non sarebbe altro che il rosume del tarlo. Pònnula è anche il nome della colla a base di farina usata dai cartapestai, nonché, in generale, una farfallina bianchiccia dei cereali; per questo non è da escludere che il rapporto metonimico sia più genericamente tra il bianco della farina e quello delle ali dell’insetto o della polverina biancastra che sembra ricoprirle. E il ciclo della vita sembra ripetersi pensando a farina>polline>insetto>impollinazione. 

4 Diminutivo di pònnula.

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