di Armando Polito
Potrei fare innumerevoli esempi di quella presunzione tutta umana che ha spinto noi esseri detti pensanti a pensare (questa figura retorica si chiama tautologia ed è tipica del politichese, ma il mio cognome non è implicato …) di utilizzare i nomi di alcune cosiddette bestie per stigmatizzare alcuni tra i più odiosi (quelli morali) e più odiati (quelli fisici) difetti della nostra specie.
Segue, comunque, un elenco, in ordine alfabetico, certamente incompleto ma prezioso a fini statistici, come dirò dopo.
Acciuga, allocco, ameba, anguilla, araba fenice, ariete, arpia, asino, avvoltoio, baccalà, balena, barbagianni, becco, bertuccia, biscia, bisonte, bue, bufalo, brocco, cagna, caimano, calabrone, camaleonte, canchero, cancro, cavalletta, cavallo, cane, capra, cavallona, cerbero, chimera, cicala, cimice, cinghiale, ciuco, ciuccio, civetta, cocotte, coniglio, cornacchia, corvo, cozza, elefante, faina, falco, falena, farfalla, farfallone, gallina, gatta, gattamorta, gazza, ghiro, giraffa, gorilla, gufo, iena, istrice, lucciola, lucertola, lumaca, lumacone, maiala, maiale, mandrillo, manza, marmotta, marpione, marrano, merlo, mignatta, montone, moscerino, mucca, mulo, muschillo, oca, orso, pantera, papera, pappagallo, pavone, pecora, pecorone, pescecane, piattola, pidocchio, piovra, pitonessa, porco, pulce, riccio, rinoceronte, rospo, sanguisuga, satiro, scarafaggio, scimmia, scimpanzé, scoiattolo, scorfano, scorpione, scrofa, serpente, sfinge, squalo, stallone, stoccafisso, tafano, tartaruga, tigre, tordo, toro, torpedine, tricheco, troia, trota, vacca, vampiro, vipera, volpe, zanzara, zecca, zimbello, zoccola.
Per il significato metaforico specifico rinvio per brevità il lettore ad un buon vocabolario. Io mi limiterò qui solo ad enucleare alcuni gruppi comprendenti voci che hanno assunto un significato più ampio e non solo individuale del semplice difetto o eccesso, fisico o morale che sia, e in alcuni casi sono diventati nomi di uno strumento.
Hanno assunto connotazione politica falco e colomba, militare ariete, torpedine e maiale, spionistica e investigativa corvo, talpa e cimice, eufemistica cocotte (alla lettera gallina) falena e lucciola per prostituta, ha subito un parziale ridimensionamento dell’originario significato negativo gorilla, addirittura canchero ha assunto la valenza di voce offensiva mentre cancro è passato ad indicare addirittura una malattia non da poco; altre voci presentano una serie sinonimica in alcuni casi particolarmente estesa: somaro, ciuco e ciuccio; cagna (senza o con aggiunta di in calore), lupa, maiala, porca, scrofa, troia e zoccola; maiale e porco (senza ombra di accenno alla prostituzione, come, invece, nella serie precedente che, oltretutto è notevolmente più lunga, il che per me è una delle caratteristiche di quel che definisco maschilismo linguistico …); mignatta e sanguisuga; pescecane e squalo.
Mandrillo, montone, riccio, toro e il generico stallone sono altrettanti nomi di animale in competizione fra loro per traslare all’uomo l’idea della loro intensa attività sessuale; per la stupidità gareggiano allocco, merlo, pollo e tordo.
Vantano un’origine mitologica araba fenice, arpia, cerbero, chimera, satiro, sfinge ed una favolistica orco. Un’etimologia insospettabile esibiscono marpione (dal francese marpion=piattola, composto da mords, imperativo di mordre=mordere+pion=soldato a piedi), marrano (dallo spagnolo marrano=porco) e zimbello (dal significato di uccello vivo usato come richiamo, a sua volta derivato dal provenzale cembel=piffero, a sua volta dal latino cýmbalum).
Non mancano le voci gergali: cavallo (piccolo spacciatore di droga) e muschillo (bambino assoldato dalla malavita a Napoli specialmente per lo spaccio di droga).
C’è poi chi ha visto rinnovati i suoi fasti dall’uso privilegiato fattone da personaggi televisivi (il capra! di Vittorio Sgarbi) e chi da pochi anni ha cominciato a vivere la sua esistenza metaforica (il caimano di Nanni Moretti e il bossiano trota).
Cito solo, sempre per brevità, i nessi lupus in fabula, homo homini lupus, topo d’appartamento, topo di biblioteca, pianto di coccodrillo, cavallo di Troia, iena ridens, etc. etc.
A proposito di cavallo di Troia: meno male che Troia non riguarda il già visto troia (che è voce del latino medioevale, forse di origine onomatopeica), perché quest’animale sembra il più tartassato nei sui vari sinonimi maschili (porco e maiale) e femminili (scrofa, porca e maiala)! Come se non bastasse, poi, c’è da dire che il povero maiale che sembrava in parte nobilitato da meriti militari (maiale fu chiamato per evidente somiglianza di forma il mezzo d’assalto simile a un siluro, guidato da uomini muniti di attrezzature subacquee, usato dalla Marina Italiana durante la seconda guerra mondiale per colpire le navi nemiche ferme nei porti) finisce per assumersi colpe non sue se si pensa che iena è dal latino hyaena, a sua volta dal greco ὕαινα (leggi ùaina), femminile di ὗς (leggi iùs)=maiale (ancora lui!). La voce greca ὗς aveva in origine un ς iniziale, come dimostra il latino sus=porco, il cui aggettivo derivato suinus/suina/suinum ha dato l’italiano suino.
Quanto a iena ridens (il ridens si riferisce al verso che l’animale emette durante le sue battute di caccia notturne con il muso vicino al suolo e con un suono che da una tonalità grave passa via via ad una più acuta, simile a una risata) una sorta di stupidità (che è sempre figlia di ignoranza) di ritorno, tutta umana c’è, a mio avviso, perfino nella barzelletta che qui riporto, immortalata da Andrea Camilleri in Un mese con Montalbano: due amici vanno allo zoo, uno legge l’etichetta, apposta su una gabbia, che recita Iena ridens. Vive nel deserto, esce solo di notte, si nutre di carogne, si accoppia una sola volta all’anno. Disorientato si rivolge all’altro e dice: – Ma che ride a fare? -.
Laddove, però la nostra presunzione (pure questa figlia di ignoranza) celebra il suo trionfo è nel licantropo e ancor più nel vampiro.
Licantropo [dal greco λυκάνθρωπος (leggi liucànthropos), composto da λύκος (leggi liucos)=lupo e ἄνθρωπος (leggi ànthropos) =uomo] è termine usato in letteratura e nella novellistica più che nel linguaggio scientifico, corrispondente all’immagine del lupo mannaro nella superstizione popolare, soprattutto ottocentesca.
Vampiro (dal serbo e croato vampir, attraverso il francese vampire) è nelle leggende e credenze popolari dell’Europa centro-orientale, poi nella letteratura fantastica della fine del secolo XIX (celebri i romanzi Il vampiro di John Polidori (1819) e Dracula scritto da B. Stoker nel 1897) e da qui in diversi film horror del XX secolo, una creatura demoniaca, dotata di poteri soprannaturali e forza eccezionale, che torna a rivivere ogni notte e, uscendo dalla propria tomba, aggredisce persone vive (soprattutto giovani donne … mica è fesso) per succhiarne il sangue dal collo attraverso le ferite prodotte dai due canini lunghi e aguzzi, le soggioga e le contagia, sicché morendo queste diventano esse stesse vampiri; incarnazione del male, non sopporta la vista della croce, l’odore dell’aglio e, soprattutto, non può esporsi alla luce del sole: è quindi vulnerabile di giorno, ma può essere ucciso solo con una punta acuminata di legno di frassino conficcatagli a colpi di martello nel cuore. Come termine di zoologia è stato introdotto dal naturalista francese G. L. Buffon nel 1761, con riferimento alle abitudini del pipistrello cui fu dato questo nome. Insomma non fu un pipistrello a trasmettere il suo nome all’essere diabolico (più vicino ad un uomo che ad un animale …) ma viceversa.
Qualcosa di simile, anzi di decisamente più assurdo, è successo con donnola, che è dal latino tardo dòmnula(m), diminutivo del classico dòmina=signora (da cui il nostro donna). Donnola venne adottato in sostituzione del latino classico mustèla in riferimento alle forme aggraziate dell’animale. Gli autori classici ci informano che nelle case la mustela aveva il compito di eliminare serpenti e topi. Topo in latino fa mus e in greco μῦς (leggi miùs) e, sempre in greco, significa tana di topi la voce μυστήριον (leggi mustèrion) composta dal citato μῦς+la radice del verbo τηρέω=sorvegliare, custodire, aspettare. Il latino mustèla per me potrebbe avere la stessa origine, ma con prevalenza del significato non di custodire qualcosa o qualcuno (i topi) ma di proteggere qualcosa (la casa) dai topi, aspettarli al varco. Mustela verrà adottato come nome scientifico da Linneo ma nel volgare verrà soppiantato da donnola a partire dal XIII secolo non solo per le forme aggraziate di cui ho già detto ma proprio perché mustela evocava l’immagine indirettamente sgradevole di cacciatrice di topi. Poi si pensò bene di usare zoccola nel significato che tutti conoscono. Ma, siccome zoccola deriva molto probabilmente, secondo l’opinione corrente, da un latino *sòrcula diminutivo femminile del classico sorex/sòricis=sorcio, ecco che il nostro topo, dopo la momentanea riabilitazione di mustela con donnola, condivide il triste destino di vampiro e maiale, riprecipitato in basso in questa stupida altalena tutta umana …
Anche cèrbero [dal latino Cèrberu(m), dal greco Κέρβερος (leggi chèrberos) , nome del mitico cane a tre teste posto a custodia delle sedi infernali] ha mediato il suo significato di persona intrattabile, intransigente e severa dal personaggio mitico e, come già successo per vampiro, è diventato il nome di un genere di serpenti. E, a proposito di serpenti, nemmeno il pitone scherza avendo dato vita a Pitonessa [nome della maga della Bibbia (Samuele, 28, 7) che Saul andò a consultare e che prediceva il futuro invasata da un demone chiamato Python], divenuto poi nome comune a significare donna che, ritenendosi ispirata da un dio o da forze soprannaturali, presume di predire il futuro, anche, scherzosamente, chiromante, cartomante. Pitonessa è anche il nome alternativo di Pizia, la sacerdotessa di Apollo.
E cosa dire della Chimera, favoloso mostro con la testa e il corpo di leone, una seconda testa di capra sulla schiena e una coda di serpente? L’araldica ne ha ancor più complicato l’iconografia rappresentandola con una testa di donna, petto e zampe posteriori d’aquila, zampe anteriori di leone e coda di serpente. Non è cambiato, purtroppo, il significato che ha assunto come nome comune, oggi addirittura sinonimo di ciò che nel primo articolo della nostra Costituzione è nominato come il fondamento dello Stato: il lavoro.
E come non definire araba fenice (l’uccello mitologico che risorgeva dalle proprie ceneri) ognuno dei tanti politici puntualmente riciclati (altro che rottamazione!) o dei tanti delinquenti, per lo più ammanicati con i politici, che dopo aver dissestato un ente pubblico, per premio, per esempio, viene messo a dirigere una banca che, pur essendo privata, continua a succhiare dalle mammelle sempre più secche di una mucca pubblica sempre più macilenta?
Inqualificabile poi la nostra incoerenza nel definire il cane come il nostro migliore amico e usarlo poi come epiteto offensivo tanto come voce primitiva (cane!) che derivata (canaglia!) e, semplicemente, canaglia; e poi canea, e canizza; e questo dopo esserci serviti della sua compagna (cagna) nel significato già detto e per i derivati cagnara e in cagnesco.
Le voci elencate all’inizio sono 120. E di animali che impersonano pregi umani non ce ne sono? Io ne ho trovati pochissimi e riporto anche questi di seguito.
Agnello, aquila, cerbiatta, chioccia, colomba, colombo (al plurale per coppia di innamorati), cucciolo, drago, fenice, formica, furetto, galletto, leone, libellula, lince, lupetto, micio, micione, micetta, passerotto, piccione, piccioncino (al plurale per coppia di innamorati), pantera, pesciolino, porcellino, pulcino, scricciolo, sirena, sorcino, tigrotto, topino, topolino.
In parecchi di loro il valore positivo è dovuto al fatto che la forma, diminutiva, è riservata ai bambini, in qualche caso con coinvolgimento dello sport (pulcino) o l’appartenenza a qualche associazione giovanile (lupetto). Per gli adulti rimane solo sorcino che inizialmente rta aggettivo significante del colore del sorcio, passato poi come sostantivo ad indicare il fan di Renato Zero.
Per far rientrare questo post nell’alveo della tematica tipica di questo sito e raccordarmi con il titolo chiudo con strìnculu, voce che definisce l’eccesso di brio dei ragazzi, un’irrequitezza che trova espressione il più delle volte in un riso irrefrenabile e ricorrente senza apparente motivo. La voce è diminutivo di un inusitato strignu, deformazione della variante strignu (non usata a Nardò), che è a sua volta da strignare (nemmeno questo è usato a Nardò) che definisce il corvettare del cavallo e ad Aradeo il nitrire. Strignare si collega al greco στρηνίαω (leggi streniao)=abbandonarsi ad eccessi o intemperanze.
Tante bestie scomodate per stigmatizzare i nostri difetti. Ma, alle bestie, se dovessero farlo con i loro, sarebbe sufficiente fare riferimento, per qualsiasi difetto, fisico e, ancor più, morale, ad un unico animale: l’uomo. A tutte loro auguro di cuore lunga vita e in particolare per i veri squali e per i veri caimani che le loro acque si conservino a lungo pulite e trasparenti, indenni dalla merda umana, reale e metaforica.