di Armando Polito
Cosa nota e non smentibile è che la civiltà nasce contadina. Ne consegue che anche il linguaggio è strettamente legato alla civiltà contadina e che l’agricoltura ha ispirato tante metafore. Sinceramente non so se la civiltà industriale, ammesso che essa sopravviva, sarà in grado di fare altrettanto visto che anche la moderna agricoltura tra veleni e genetica potrà ispirare al massimo immagini desolanti e funeree e nomi di nuove malattie …
Quanto è distante il tempo in cui da una sola radice derivarono coltura e cultura, colto e culto! Diversa origine dal citato colto (persona che ha cultura) ha in italiano un secondo colto (participio passato di cogliere). Mentre il primo, infatti è da cultu(m), participio passato di còlere=coltivare, il secondo è da collectu(m), participio passato di collìgere=radunare, composto da cum=insieme+lègere=raccogliere, esaminare, leggere, scegliere, eleggere. Se si pensa che prima dell’agricoltura l’unica fonte di nutrimento dalla terra era la raccolta dei suoi prodotti e che dopo il suo avvento essa cominciò a costituire il momento più gratificante del proprio lavoro, si comprendono, dando una rapida scorsa ai significati riportati di lègere, gli strettissimi legami, nonostante l’indipendenza etimologica, tra coltura o coltivazione propriamente dette e cultura da una parte e cogliere dall’altra, con risvolti di natura pure politica.
Le metafore contadine hanno più probabilità di sopravvivere e di essere comprese laddove quella civiltà non è completamente scomparsa. È il caso di oggi con i tre verbi del titolo. Il primo e il secondo sono fratelli, nel senso che entrambi sono corrispondenti all’italiano cogliere e ne condividono l’etimologia già riportata. C’è, però, tra di loro una piccola differenza semantica: cugghìre è usato nel senso di colpire (anche l’italiano cogliere può avere questo significato); ccugghìre, invece, significa solo raccogliere, anche nel nesso (espressione di pietà per chi soffre o, al contrario, di augurio impietosamente malevolo) lu Patreternu cu ndi lu ccogghie (il Padreterno se lo prenda con sé). Difficile dire se il raddoppiamento della consonante iniziale sia proprio, questa volta, in funzione di distinzione semantica e non di natura espressiva o compensativa della caduta di qualcosa (raddoppiamento sintattico), da ad+cugghìre>*accugghire (assimilazione a contatto regressiva)>ccugghire (aferesi, per cui si dovrebbe scrivere più correttamente ‘ccugghire).
Riccugghire ha il suo corrispondente italiano nel letterario ricogliere e ne condivide l’etimologia (dal latino recollìgere). Il suo uso è riferito, a differenza di quanto avviene per ccugghire, esclusivamente agli oggetti (panni sciorinati, elementi vari sparsi), mai ai frutti. Tuttavia va ricordato che la sua forma riflessiva è usata come sinonimo di rientrare a casa e, per traslato, di sbrigarsi nel fare qualcosa (ieri s’è rriccotu tardu ti la fatìa=ieri è rientrato tardi dal lavoro; ògghiu bbèsciu quandu ti riccuegghi=voglio vedere quando ti sbrighi).
E questa è una di quelle metafore contadine prima ricordate, questa volta per giunta doppia, esclusive del dialetto e non sopravvissute (forse mai nate) nella lingua nazionale.