di V. Primiceri
Tonino Baldari, Leila Carlyle e Grita : tre dei componenti del gruppo “I NUOVI SELVAGGI” (il cui nome si ispira al noto movimento tedesco comparso sulla scena artistica agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso, emancipandosi tuttavia dall’ideologia da esso perseguita) ha origine da un’ idea di Tonino Baldari, noto al panorama artistico salentino (ma non solo) che coinvolge Leila Carlyle, Francesca Casaluci, Andrea D’alba, Daniele De Pascalis , Isabella Di Cola,Tommaso Faggiano e Grita, in un gruppo aperto e variabile, libero da cliché e da imposizioni che si svincola da qualsiasi tipo di inquadramento sia esso di genere politico, economico o socioculturale. Cosa ne fa un gruppo unitario? La capacità di collaborare e ritrovare comunione d’intenti, pur difendendo il rifiuto per qualsiasi “laccio” di genere.
Tonino Baldari : Riappropriarsi di un’identità.
Tonino Baldari ,eclettico artista galatinese, promotore di diverse mostre collettive ed itineranti volte alla promozione del panorama artistico locale : scultura e pittura sono entrambi i campi della sua continua sperimentazione .
La sua opera in pietra leccese riecheggia un primitivismo contaminato da incursioni tecnologiche che si insinuano, a volte, nell’espressionismo della sua pittura, fino a raggiungere l’acme con l’ assemblage del “rifiuto urbano” in elaborazioni plastiche.
Il sogno di Baldari attinge a piene mani dall’ ideologia di Joseph Beuys : anela il recupero da parte dell’uomo di una natura ormai persa, dimenticata nella frenesia di quella routine che ormai si nutre di noi stessi.
Recupero materiale, riuso del rifiuto urbano e riciclo diventano così le uniche azioni possibili per riappropriarsi di quell’identità perduta, dell’indole umana sempre più lontana dal concetto di Madre Natura e sempre più vicina a quello di macchina ed efficienza. La radice locale è anche matrice di ogni opera, che ostenta la sua territorialità pur composta da prodotti di scarto della globalizzazione. Come un paradosso, la materia che genera l’opera grida tutta la sua discordanza da ciò che ci resta di una scellerata sovrapproduzione, fondata sul profitto e quasi mai sul bisogno reale; attraverso le sue opere conduce la sua incessante lotta all’inquinamento ambientale e sociale.
La sua esperienza artistica lo vede partecipe anche nella Video Art come collaboratore : nel 2009 partecipa al video “Salento” di manuel Vason ed Helen Spackman, “Un pizzico di pizzica” di Marco Giacometti e “Disastri quotidiani” di Tommaso Faggiano, nel quale è visibile la sua ultima produzione in policarbonato del 2011, nello stesso anno il suo contributo è presente in “Natural Trendy” e “Visio Pandemia” video di Gianni Colombo.
Grita : Trappole temporali
Sin dalla prima infanzia, Grita opera nella sua casa-studio di Galatina .
Il suo percorso, quasi del tutto da autodidatta, parte dallo studio della pittura moderna e in particolare di quella seicentesca italiana e fiamminga, della quale apprezza l’uso del colore a olio con le sue tonalità profonde e brillanti, caratteristica che rimarrà invariata anche nelle opere più recenti. Si avvicina ad un concetto più teorico di colore, disegno e design durante il periodo di frequenza presso l’ISA di Galatina dove consegue la Maturità d’Arte Applicata.
Con il tempo si allontana, gradualmente, dalla struttura e dalla forma tipicamente figurative e descrittive del periodo che più ha studiato ed amato, per abbracciare una graduale scomposizione che via via colpisce e smaterializza gli sfondi, sino a chiudere il cerchio sempre più intorno al soggetto principale, del quale spesso conserva solo un connotato (di norma occhi o labbra), lasciando che il superfluo si dissolva e si semplifichi in texture e supporti di totale recupero come T.N.T, latta, plastica e cellophane “catturati” dalla quotidianità seguendo quel concetto di Arte povera che Celan individuò nel “ridurreaiminimitermini,nell’impoverireisegni,perridurliailoroarchetipi”.
Ecco che la rete, appesantita da coperchi di latta, rievoca vissute prigioni sociali e “trappole” esistenziali dalle quali sempre si scorge l’idea di un sogno che riporta ad antichi amori mai obliati.
Leila Calyle : Il tempo diventa un riflesso di colore
Leila Carlyle è stata un’insegnante e un’ editrice. Scrive, pubblica e disegna libri e materiale grafico di vario genere.
Per diversi anni costruisce opere e mobili usando e lavorando vetro colorato, legno e diversi materiali, spesso di recupero (facendone la sua passione).
Il suo trasferimento a Galatina dalla città di Londra, dalla quale arriva un anno fa, la avvicina alla cultura e all’arte salentina (dalla quale rimane profondamente colpita) e segnerà il più sistematico e sentito avvicinamento all’arte trasformando la sua passione per vetri e assemblaggio multimaterico, in un percorso intellettuale di riflessione poetica in cui donare una nuova opportunità per guardare meglio dentro le cose e , magari, a sé stessi; questo “riscatto” che ognuno di noi dovrebbe concedersi è chiaramente individuabile nella serie de “Le sveglie”, in cui ingranaggi spesso relegati a mera funzione tecnica, diventano splendide rappresentazioni di spirali che evocano il concetto di infinito.
Pubblicato su Il Filo di Aracne.