di Armando Polito
In http://culturasalentina.wordpress.com/2013/04/16/una-poesia-tra-le-carte-darchivio/ mi sono imbattuto nel post fresco fresco (16 aprile 2013) di Riccardo Viganò Una poesia tra le carte d’archivio, che di seguito riporto fedelmente e integralmente:
“Tra i protocolli notarili conservati nell’Archivio di Stato di Lecce si trova, all’interno degli atti del notaio neretino Michele Bona che rogò a Nardò dalla prima metà del Settecento, una breve composizione poetica che, nostro malgrado, ci è giunta incompleta. Il testo è vergato da mano elegante ed è ignoto l’autore ma, molto probabilmente, fu il notaio stesso a scriverlo. Si riporta di seguito il componimento affinché qualcuno, ritenendolo interessante, proceda ad un approfondimento.
qual chì pel la via tenebrosa oscura s’affretta i passi alla stagion nevosa
se tigre incontra che lasci sdegnosa l’usato bosco, o scenda alla pianura.
Tanto il core gli incombra altra paura.
Che mentre ancora in sua magion riposa, dalla fiera terribil furiosa.
La rabbia lo spavento e la sicura tal io, che appresso il viver mio rammento veggo il peccato starsi ammè d’intorno col brutto ceffo, e recarmi spavento.
Questo miro la notte e questo il giorno.
Quest’è la mia pena e il mio tormento e sempre fuggo e sempre [ill]”
Non ho lasciato cadere nel vuoto l’invito, ed eccomi qui.
Di seguito ho trascritto il componimento (e a fianco ho aggiunto la mia parafrasi) per renderne immediatamente fruibile la struttura metrica e mi son permesso pure di ipotizzare l’integrazione della parte mancante alla fine dell’ultimo verso. Il lettore noterà che anche la punteggiatura ha subito delle modifiche, indispensabili perché il testo, pur coincidendo con la lettura fattane, avesse un senso.
Si tratta di un sonetto (con rime ABBA, ABBA, CDC, DCD) che è in pratica una gigantesca similitudine, la cui prima parte (parola iniziale: Qual) occupa le quartine, la seconda (parola iniziale tal) le terzine. Se dovessi esprimere un giudizio sintetico direi che si tratta di un’abile esercitazione che potrei intitolare Collage di echi. Il ricalco in poesia è un fenomeno antico ed oggi gli strumenti informatici (dalla digitalizzazione al riconoscimento dei caratteri e ai motori di ricerca) danno un formidabile aiuto a chi non si limita solo al conteggio statistico delle ricorrenze. Sono, perciò, lontani, i tempi in cui per rinvenire echi petrarcheschi nel Leopardi bisognava sorbirsi la lettura di tutte le opere di entrambi, mentre oggi basta solo approfondire l’analisi dei brani segnalati dal pc. Insomma, di fronte a questo testo trent’anni fa mi sarei limitato a dire che sentivo echi danteschi e petrarcheschi, in pratica solo quello riportato nelle prime due note e nell’ultima.
A proposito di ricalchi: essi vanno distinti dal vero e proprio plagio, in cui c’è la consapevolezza, colpevole, del copia-incolla. Per lo più il ricalco, quello innocente, è involontario e frutto, in fondo, della sedimentazione di cultura che ad un certo momento, senza che ce ne rendiamo conto, riemerge. A ben pensarci, in fondo, scrivere una poesia è come comporre un pezzo musicale: i componenti dell’una e dell’altro (le note e le parole) esistono già, bisogna inventarsi le combinazioni. Da un punto di vista esclusivamente matematico direi che la poesia sembrerebbe favorita, visto che il numero delle note è fisso e quello delle parole in continuo aumento (e non tengo in considerazione i neologismi di politici e politologi che mi sembrano esclusi a priori dalla possibilità di esprimere afflati poetici …). Tuttavia la quantità a disposizione non sempre è sinonimo di qualità e il proverbio dice che il bisogno aguzza l’ingegno, per cui l’incontro (e non lo scontro) tra musica e poesia segna uno 0/0 o, più verosimilmente un 1 (seguito, senza virgola, da un numero infinito di zeri)/1 (seguito anch’esso, senza virgola, da un numero infinito di zeri).
Alcune combinazioni possono anche essere utilizzate, consapevolmente (allora si chiamano “citazioni”) o inconsapevolmente; nell’uno o nell’altro caso, però è indispensabile, perché si possa parlare di poesia e non di componimento in poesia, che ci sia come valore aggiunto qualcosa di diverso, spesso indefinito e misterioso, ma sempre originale.
Il titolo Collage di echi era già un’anticipazione del giudizio, che ora integro dicendo che, secondo me, siamo in presenza di una dignitosa esercitazione letteraria sul tema del peccato (genericamente inteso, senza ombra di coinvolgimento della donna quasi sempre presente nei modelli di riferimento), niente di più.
Qui la mia fatica, note comprese, poteva dirsi conclusa, quando, in un ultimo, poco speranzoso tentativo di aggiungere qualche altro probabile ricalco, dopo aver digitato nel motore di ricerca “veggo il peccato” (attenzione, le virgolette in molti casi fanno la differenza!) all’indirizzo
mi son ritrovato alla pagina 291 del libro Memorie de’ religiosi per pietà, e dottrina insigni della congregazione della Madre di Dio raccolte da Carlantonio Erra milanese della medesima congregazione dedicate all’Eminentissimo Principe Flavio Chigi Diacono cardinale di S. Maria in Portico, tomo II, Per Giuseppe e Niccolò Grossi nel Palazzo de’ Massimi, Roma, 1760. Ecco cosa in quella pagina è riportato:
L’autore del componimento è, dunque, Sebastiano Paoli (1684-1751), al quale l’autore del libro dedica le pagg. 282-291 e nel presentare il sonetto così si esprime: Avendo fatto il suo ultimo Quaresimale in Turino, tornato a Napoli fu assalito dalla idropisia; che essendosi aggravata nel Novembre del 1749 lo minacciò della vita. Sopravvisse nondimeno quasi due anni, impiegando più ore del giorno, e talvolta ancor della notte in qualche occupazione di studio. E perché anche in quello stato cotanto compassionevole si sentiva quanto infiacchito di membra, altrettanto vigoroso di mente, consagrando interamente a Dio gli ultimi suoi pensieri, cercò di dare un sollievo a’ suoi acerbi dolori, col parafrasare in verso alcuni passi della Sagra Scrittura: la qual parafrasi fu scritta da lui medesimo con mano moribonda e tremante. Ecco fra i molti, che andaron dispersi, un Sonetto, fatto da lui due o tre giorni prima della sua dipartenza dal Mondo, sovra il passo del Salmo 50 Peccatum meum contra me est semper.
La scrittura segnalata da Riccardo Viganò ha tutta l’aria di essere una trascrizione del testo originale fatta a memoria. Lo dimostrano le varianti: pel la via/per selva; s’affretta/affretta; tanto il core gli incombra altra paura/tanto il cuore l’ingombra atra paura; dalla fiera/della fiera; la rabbia, lo spavento non sicura/la rabbia lo spaventa e la figura; tal io che appresso il viver mio rammento/tal io che spesso il viver mio rammento; ammè/a me; e sempre fuggo e sempre io li ho attorno (io li attorno era la mia integrazione)/e sempre fuggo, e sempre a lui ritorno.
Il recupero del testo originale ridimensiona nelle note solo le osservazioni relative a incombra, a ammè e a altra; resta immutato il mio giudizio complessivo sul componimento, con tutto il rispetto per Sebastiano Paoli, figura di spicco dell’erudizione del XVIII secolo, dai molteplici interessi, come testimoniano le sue pubblicazioni (alcune postume) delle quali riporto di seguito il repertorio in ordine cronologico; ho evidenziato sottolineandole le due riguardanti Nardò e di queste e di alcune altre ho riprodotto i frontespizi, mentre mi chiedo se chi scrisse o inserì quel foglietto ebbe modo di possederne o leggerne qualcuna …; comunque, è molto probabile che il foglietto sia stato inserito dopo il 1760, anno in cui fu pubblicato il testo di Carlantonio Erra.
Disquisizione istorica della patria, e compendio della vita di Giacomo Ammannati Piccolomini, cardinale di S. Chiesa, detto il Papiense, vescovo di Lucca, e di Pavia, Frediani, Lucca, 1712
Della poesia de’ santi padri greci, e latini, ne’ primi secoli della Chiesa, Raillard, Napoli, 1714
Della vita e virtù della serva del Signore Elisabetta Albano, Roselli, Napoli, 1715
Difesa delle censure del sig. Lodovico-Antonio Muratori bibliotecario dell’alt. sereniss. di Modena, contro L’Eufrasio dialogo di due poeti vicentini, Nasi, Napoli, 1715
Della vita del venerabile Monsignore F. Ambrogio Salvio dell’ordine de’predicatori. Eletto Vescovo di Nardò dal Santo Pontefice Pio Quinto, Roselli, Napoli, 1716; Stamperia Arcivescovile, Benevento, 1716
De ritu ecclesiae Neritinae exorcizandi Aquam in Epiphania dissertatio, Mosca, Napoli 1719
Distinta descrizione de’ funerali celebrati nella Real Cappella per la Difonta Augustissima Signora Imperadrice Eleonora Maddalena Teresa di Neuburgh Vedova dell’Imperador Leopoldo Primo, Ricciardi, Napoli, 1720
Ragionamento sopra il titolo di divo dato agli antichi imperadori, Cappurri, Lucca, 1722
De nummo aureo Valentis imperatoris dissertatio, Cappurri, Lucca, 1722
A sua eccellenza il signore Giovanni Priuli cavalier, e procurator di S. Marco, Maldura, Venezia, 1723
Funerali per l’illustrissima ed eccellentissima signora D. Giovanna Pignatelli d’Aragona, duchessa di Monteleone e di Terranova, Mosca, Napoli, 1723
Pro illustrissimo, ac reverendissimo domino Hieronymo Alexandro Vincentino archiepiscopo Thessalonicensi, ac in Neapolitano regno nuncio apostolico laudatio funebris habita Neapoli in aede D. Dominici Majoris die 9 Augusti 1723, Ricciardo, Napoli, 1723
Orazione in lode di S. Caterina da Bologna detta il di 9 marzo 1729, Stamperia bolognese di S. Tommaso d’Aquino, Bologna, 1729
Orazione in lode di S. Petronio vescovo e protettore di Bologna detta il di 19 aprile 1729, Stamperia bolognese di S. Tommaso d’Aquino, Bologna, 1729
Annotazioni critiche sopra il nono libro del tomo II della Storia civile di Napoli del sig. Pietro Giannone, s. n., s. l., 1730 (?)
Orazione in lode di S. Giovanni Nepomuceno detta in Roma nell’imperial chiesa di S. Maria dell’anima della nazione tedesca per ordine dell’eminentissimo cardinale Alvaro Cienfuegos, Stamperia del Komarek, Roma, 1733
Orazione in lode del glorioso S. Paterniano vescovo, e principale protettore della citta di Fano, Fanelli, Fano, 1735
Solenni esequie di Maria Clementina Sobieski regina dell’Inghilterra celebrate nella chiesa di S. Paterniano in Fano dall’ill.mo, e r.mo monsignor Giacomo Beni li 23 maggio 1735, Fanelli, Fano, 1736
Codice diplomatico del sacro militare ordine gerosolimitano oggi di Malta, Marescandoli, Lucca, 1737
Orazione in lode di santa Caterina da Genova detta nella Chiesa della Santissima Annunziata il 2 maggio 1738, Marescandoli, Lucca, 1738
Modi di dire toscani ricercati nella loro origine, Occhi, Venezia, 1740
Orazione in lode di S. Giovanni Nepomuceno detta nella chiesa parrocchiale, e collegiata di S. Paolo in Venezia e consagrata alla serenissima reale altezza di Federigo Cristiano principe reale di Pollonia, Occhi, Venezia, 1740
Orazioni sacre, Bettinelli, Venezia, 1740
Orazioni, Cappurri, Lucca, 1724; Marescandoli, Lucca, 1738; Bettinelli, Venezia, 1743
Orazione in lode di S. Filippo Neri recitata alli 13 marzo 1741 nella insigne chiesa de’ pp. dell’oratorio di Palermo, s. n., s. l. , 1743(?)
De patena argentea forocorneliensi, olim (vt fertur) S. Petri Chrysologi, dissertatio, s. n., Napoli, 1745
Discorso sopra la vesta inconsutile di Nostro Signore recitato nella chiesa di S. Mose, Bettinelli, Venezia, 1743 e 1746
Ne’ funerali dell’illustrissimo, e reverendissimo monsignore Michele Talenti prelato domestico della Santità di Nostro Signore Benedetto 14 Votante di segnatura, eletto governatore di Rieti celebrati in Lucca nella chiesa de’ SS. Simone e Giuda il giorno immediato alla sua morte 17 settembre 1746, Benedini, Lucca, 1746
Orazione in lode del beato Girolamo Miani fondatore de’ padri della Congregazione di Somasca, Bettinelli, Venezia, 1748
Prediche sacro-politiche, Bettinelli, Venezia, 1754
Prediche quaresimali, Bettinelli, Venezia, 1762
Opere predicabili, Dorigoni, Venezia, 1762
Commento e note alla tragedia Merope di Scipione Maffei, Stamperia Reale, Torino, 1765
Va ricordato che le sue schede vennero utilizzate da Giacomo Racioppi nella stesura di Iscrizioni grumentine inedite, in Archivio storico per le provincie napoletane, anno 9 (1886), pagg. 660-669 , che collaborò anche alla stesura del testo di Bartolomeo Beverini Syntagma de ponderibus, et mensuris antiquorum, Frediano, Lucca, 1711 e Mosca Napoli, 1719.
Il Paoli curò pure le allegorie del Bertoldo con Bertoldino e Cacasenno in ottava rima con argomenti, allegorie, annotazioni, e figure in rame, Storti, Venezia, 1739 (edizione condotta su quella di Lelio Dalla Volpe, Bologna, 1736, cui si riferisce il frontespizio, alla quale il Paoli non aveva collaborato).
A questo punto qualcuno potrebbe osservare che avrei fatto meglio a ridurre il post a questa seconda parte. Non l’ho fatto per due buoni motivi: anzitutto perché non sarebbe stato corretto nei confronti del lettore e di me stesso spacciare come risultato ottenuto al primo colpo ciò che in realtà è emerso, è il caso di dire in tutti i sensi per fortuna, solo alla fine; poi per deformazione exprofessionale, direi quasi per ragioni umilmente didattiche, tese solo a far comprendere a chi non è addetto ai lavori come indagini di questo tipo, nonostante l’ausilio determinante oggi offerto dal pc, siano sempre legate nei loro esiti all’aleatorietà delle nostre ipotesi e interpretazioni. Il pc, comunque rimane un cretino velocissimo; noi, per quanto lentissimi, un po’ più intelligenti di lui, almeno si spera …
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1 L’immagine della via tenebrosa e oscura, metafora del peccato, è di ascendenza antica: è già in Salomone (da Luigi Granata, Opere spirituali, Giunti, Venezia, 1644, pag. 542): …la via dei cattivi è oscura, e tenebrosa. Scontato ricordare, poi, la selva oscura dantesca e le sue presenze animali.
2 Francesco Petrarca (XIV secolo), Canzoniere, L, 1-6 : Nella stagion che ‘l ciel rapido inchina,/verso occidente, e che ‘l dì nostro vola/a gente che di là forse l’aspetta,/veggendosi in lontan paese sola,/la stanca vecchierella pellegrina/raddoppia i passi, e più e più s’affretta …
3 Si tratta di un nesso molto comune, tanto che ricorre più volte in autori di ogni tempo; un solo esempio per tutti: Giovan Battista Marino (XVI secolo), Adone, XVI, 188, 3: … nata colà nela stagion nevosa; XX, 501, 5-6: Suda, e anela alla stagion nevosa,/quando adusta da Borea il verno coce …
4 Antonio Cutrona, La conquista del Mindanao, overo il Corralat, Dragondelli, Roma, 1674, pag. 52: atto III, scena VIII: … che, qual tigre sdegnosa,/sfogarà sovra lui l’ira de l’alma.
5 Torquato Tasso (XVI secolo), Le sette giornate del mondo creato (giornata V), : fugge del bosco usato il dolce albergo.
Pietro Metastasio (XVIII secolo), traduzione della satira 6 del libro II delle Satire di Orazio (ultimi due versi): Alla buca ritorno, al bosco usato, ai miei legumi, alla mia pace: addio.
6 Non è che i notai, anche se scrivevano di proprio pugno, fossero tutti indenni da veri e propri errori di ortografia: se, però, l’autore della poesia è lo stesso notaio (nel post originale si formula questa ipotesi ma non si accenna neppure ad un’avvenuta comparazione calligrafica ed ai suoi esiti), vista l’abile costruzione della stessa poesia, credo che incombra non sia un errore ortografico ma un vezzo etimologico, ricalco dal francese encombrer, da cui è derivato ingombrare; anche se ammè, che s’incontra più avanti, risolleva qualche dubbio.
7 Non escluderei la lettura alta, voce che, però, avrebbe meno pregnanza di significato.
8 Dante Alighieri, Vita nuova, sonetto Amore e ‘l cor gentil sono una cosa, vv. 5-7: Falli Natura quand’è amorosa,/Amor per sire e il cor per sua magione,/dentro la qual dormendo si riposa …
9 Non escluderei che il notaio, o chi per lui, si sia lasciato prendere la mano dal raddoppiamento sintattico (frutto della assimilazione della d in ad che è il padre del nostro a) presente nel dialettale a mme e pure, anche se solo a livello fonetico e non grafico, nell’italiano a me (provare a pronunziarlo per credere …).
10 Pietro Metastasio (XVIII secolo), La corona, scena I: Rammento che della Dea di Delo seguace io son; che la terribil fiera …; aggiungo che fiera furiosa è un nesso molto frequente in opere religiose (per lo più panegirici) del XVIII secolo.
11 M. Panfilo di Renaldini, Lo innamoramento di Ruggeretto, Giovanni Antonio Della Casa, Venezia, 1555, pag. 70, XIII, 95: Sfocando il mio tormento, e la mia pena …
Camillo Scrofa (XVI secolo), alias Fidentio Glottogrysio Indimagistro, Capitulo I, 36: il mio tormento et la mia pena amplifica.
Torquato Tasso (XVI secolo), Rime amorose, 114, 1-2: Dolce mia fiamma, dolce/mia pena, e mio tormento.
Carlo Goldoni, Dalmatina, atto II, scena XIV: Ecco a che mi condanna barbara cruda sorte:/è il mio tormento in vita, è la mia pena in morte. La commedia fu rappresentata per la prima volta a Venezia nell’autunno del 1758.
Euripilo Naricio (pseudonimo arcadico di Francesco Zacchiroli) Losanna, Martino, 1776: Il sogno, XII, 5: Ma qual fu la pena, il mio tormento.
12 Si direbbe un ribaltamento della situazione cantata dal Petrarca in Canzoniere, XXXV (celeberrimo sonetto il cui verso iniziale è Solo e pensoso i più deserti campi), dove il poeta cerca la solitudine per evitare la vergogna che gli altri si accorgano della sua pena d’amore che continua imperterrita a tormentarlo; qui, invece, le mura domestiche non bastano a far sentire al sicuro il nostro impegnato inutilmente in una fuga che non è fisica ma esclusivamente mentale.