di Antonio Bruno
Le esposizioni universali nel secolo XIX contribuirono a facilitare ed innescare lo scambio culturale tra i diversi Paesi partecipanti. Il “Prater” di Vienna è sempre stato un luogo di divertimento per i viennesi, ma nella primavera del 1873 il parco venne completamente ripulito e rinnovato e divenne un luogo di incontro ancora più affascinante grazie all’Expo, la prima Esposizione Universale che si è svolta in un Paese di lingua tedesca. In questa nota le comunicazioni di Cosimo De Giorgi sulle produzioni agricole del Circondario di Lecce al Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio del Regno d’Italia.
I produttori agricoli del Salento Leccese parteciparono all’ Esposizione Universale di Vienna del 1837 e il dott. Cosimo De Giorgi relazionò sull’agricoltura del Circondario di Lecce in una nota indirizzata al Comm. Avv. Stefano Castagnola che ricopriva l’incarico di Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio del Regno d’Italia e che, in forza di tale incarico, era il Presidente della Commissione Reale per l’esposizione universale di Vienna.
Nella presentazione di tale lavoro il dott. Cosimo De Giorgi precisa che il circondario di Lecce non differisce molto dai circondari di Gallipoli, Brindisi e Taranto nei prodotti agrari e nelle caratteristiche generali tanto che ciò che vale per Lecce è estensibile agli altri tre circondari dell’allora Terra d’Otranto .
Il circondario di Lecce contava 43 Comuni, divisi in una prima zona che ricade in un primo altopiano ondulato che confina con il Mar Adriatico e che nel 1873 si presentava malsana in molti punti. Tale prima zona si stendeva da Nord verso Sud passando dai comuni di San Pietro Vernotico sino a giungere ad Otranto. La seconda zona era più salubre rispetto a quella Adriatica e partendo da San Donato di Lecce e Galugnano arrivava sino a Bagnolo. Nel 1872 in questi Comuni vivevano 127mila abitanti.
Le osservazioni effettuate da Oronzo Gabriele Costa nel 1813 portarono a calcolare che sul Salento leccese cadeva una quantità di 818 millimetri di pioggia distribuiti per ¾ nelle stagioni autunno e inverno e ¼ nelle stagioni primavera ed estate e, secondo il dott. Cosimo De Giorgi, la violenza disseccativa dei venti australi era la causa di una grande siccità. Il vento Ostro che viene dal latino Auster, vento australe, è il vento che spira da sud nel mar Mediterraneo. Nel Salento leccese il De Giorgi sottolinea che il vento è generalmente secco e tale fatto è spiegabile in quanto è associato all’espansione dell’anticiclone subtropicale africano verso nord; ed è per questo che essendo apportatore di onde di calore che possono essere anche durature, tende a favonizzarsi. Il favonio (detto anche Föhn in tedesco o “faugnu” in dialetto leccese) è un vento di caduta caldo e secco che si presenta quando una corrente d’aria, nel superare una catena montuosa, perde parte della propria umidità in precipitazioni (pioggia, neve o altro). Insomma il Salento del 1873, così come oggi, era terra arsa e siccitosa, che per questo motivo necessitava dell’apporto di acqua.
La grande siccità del Salento leccese era mitigata attraverso l’irrigazione che utilizzava la falda superficiale, infatti in uno studio durato sei anni Cosimo De Giorgi aveva osservato la profondità della falda che andava da 4 metri a San Pietro Vernotico e Squinzano a 65 metri a San Donato di Lecce. La profondità media dai rilievi effettuati era opinione del De Giorgi che fosse di 30 – 40 metri.
De Giorgi nella sua nota auspica l’utilizzo di pompe idrauliche e di Norie per portare in superficie e spingere nei campi l’acqua della falda..
Nel 1873 De Giorgi rileva che le osservazioni metrologiche nel Salento leccese erano scarse a cui fanno eccezione i già citati lavori del Costa e le sue stesse prime osservazioni.
Voglio riportare le annotazioni del De Giorgi su Grandine, bufere, uragani e trombe terrestri che attraversavano il circondario dei 43 Comuni del Circondario di Lecce. Lo studioso di Lizzanello del Salento leccese aveva osservato la direzione che andava dal Sud – Ovest al Nod – Est. Secondo le sue osservazioni questi eventi catastrofici sono prodotti dall’incontro e urto violento delle due correnti d’aria dirette in senso inverso e opposto, una delle quali proveniente dal Mare Adriatico direzione Nord – Est e l’altra dal Mar Ionio direzione da Sud – Ovest.
L’osservazione dello studioso era in funzione dei danni rilevati sulle colture di Olivo, Vite e Tabacco tutte nei Comuni di Copertino, Monteroni, Arnesano, Carmiano e Novoli che si trovano in quella direzione e nel punto d’incontro delle correnti d’aria.
Nel 1873 l’estensione media dell’azienda agricola nel circondario di Lecce era di 4 – 6 ettari, ma lo stesso De Giorgi citava la tenuta di “Frassanito”, presso il Lago Alimini, che era di mille ettari e della stessa grandezza, se non superiore, l’Azienda denominata “Mollone” in agro di Copertino.
Davvero interessante l’annotazione dello studioso del Salento leccese riguardante la prima zona, cioè quella Adriatica, dove la proprietà rimaneva di grandi dimensioni e quindi molto concentrata mentre nella zona della “Grecia salentina” , già da allora, la proprietà risultava frammentata.
Annotava il De Giorgi che nel 1873 dominava nella zona la piccola coltura fatta da cereali e da civaje (termine agronomico delle leguminose da granella che sono coltivate per il seme proteico). Nel Salento leccese questi semi erano quelli del fagiolo, del pisello, del cece, della fava e della lenticchia. Erano coltivate anche la cicerchia, il lupino e il favino. Nel 1873 questi semi proteici avevano un ruolo complementare ai cereali nell’alimentazione delle popolazioni del Salento leccese grazie all’elevato contenuto in proteine (20-38%).
Nel nostro territorio nel 1873 la carne scarseggiava e chi se la poteva permettere sapeva che era sinonimo di abbondanza e di prosperità. I pochi animali domestici che c’erano erano considerati bestie da fatica, essenziali per svolgere il gravoso lavoro nei campi.
Ecco il perché del consumo di cereali tanto che il termine companatico, sta a indicare il condimento, ciò che accompagna il pasto basato quasi esclusivamente sul pane. Ma le proteine erano essenziali nella dieta e, come abbiamo visto, nel Salento leccese abbondavano grazie alla coltivazione della civaje! Insomma gli abitanti del Salento leccese nel 1873 non mangiavano molta carne.
C’è un popolo che oggi vive come si viveva nel Salento leccese, che è quello indiano. Nel suo libro Jeremy Rifkin riporta gli studi dell’antropologo Marvin Harris, secondo il quale in India, dopo il 600 a. C., i signori ariani, che avevano sottomesso le popolazioni indigene, cominciarono ad avere qualche problema nel procacciare carne sufficiente per nutrire l’intera popolazione in forte crescita. I pascoli si convertirono in colture di cereali, miglio e legumi e gli indiani, non potendo permettersi di mangiare l’unica fonte di energia motrice, si avvicinarono al buddismo che propugnava il rispetto di tutti gli esseri viventi.
Penso che quanto ho scritto possa essere uno spunto per la nostra riflessione, per lo stile di vita che conduciamo che non è l’eredità che ci hanno lasciato i nostri padri. Noi come dei robot viviamo obbedendo come automi alle leggi dal mercato che ha fatto del consumo a tutti costi la regola da seguire. E non ci svegliamo da questo torpore che ci porterà alla distruzione anche se tutti sappiamo che tale regola non ha alcun rispetto per il nostro territorio e che comporta la conseguenza di farci sguazzare in una vita disordinata che si svolge senza alcuna preoccupazione per ciò che lasceremo in eredità ai nostri figli. Forse vale la pena tornare alla dieta mediterranea del 1873, non trovi?
Bibliografia
De Vincenti, Relazioni per le strade Comunali obbligatorie pel 1871; Vol. 1 pag 453
Cosimo De Giorgi, Cenni di stratigrafia ed Idrografia Salentina considerate nel loro rapporto colla nostra Agricoltura; Lecce 1871
Cosimo De Giorgi, Lecce e il suo territorio. Meteorologie. Bari 1872
O.G. Costa, Osservazioni Meteorologiche fatte a Lecce, Napoli 1834
Marvin Harris, Buono da mangiare – Einaudi 2006
Jeremy Rifkin, Ecocidio. Ascesa e caduta della cultura della carne; Mondadori (collana Oscar bestsellers)
Ovviamente da vegetariano non posso che essere d’accordo. Rabbrividisco quando nei libri di “cucina salentina” trovo cose come mortadella, prosciutto o simili che di sicuro non sono certo prodotti locali tradizionali.