di Cristina Manzo
… Nel suo laboratorio l’orario di lavoro era dalle otto alle quattordici; non si lavorava mai di pomeriggio o di sera. Ai clienti che entrando nel negozio lo salutavano era solito rispondere “viva Gesù, e viva Maria”. Dalla sua bocca non è mai uscita un’imprecazione; l’unica cosa che ogni tanto era solito dire era “pe’llu sangu de Giuda”. Il rapporto fra tutto il personale era improntato sulla correttezza e l’onestà. Il sabato era il giorno dei poveri e il maestro incaricava gli operai più vicini alla porta d’ingresso di distribuire, un po’ di spiccioli (da due a quattro soldi).
Il martedì, giorno di S. Antonio, c’era la distribuzione dei buoni per il ritiro del pane, uno o due chili, dal forno detto sciascià, delle sorelle Pinto, che poi il maestro passava a pagare. Il sabato era anche giorno di pagamento degli operai. Lui compilava l’elenco indicando accanto a ogni nominativo l’importo spettante, che io pensavo a consegnare. Attilio dell’Anna e io eravamo i più piccoli d’età e percepivamo una lira al giorno. Però c’era un’altra entrata per noi, per ogni cassa di prodotto spedito tramite ferrovia, egli metteva da parte in un cassetto cinque lire. Ogni quattro mesi, in occasione delle solenni festività di Natale, Pasqua e S. Oronzo, patrono della nostra città, ci divideva l’importo accantonato…[1].
Nello statuario nulla era legato all’improvvisazione e alla convenienza. Lui tenne fede alla cartapesta anche quando, per svariate vicissitudini storiche ed attacchi istituzionali, si verificò un forte indebolimento nelle commissioni, al punto da determinare licenziamenti e la chiusura di vari laboratori. Celebri negli anni Trenta restano gli attacchi a livello nazionale e locale di Giovanni Papini e del vescovo di Otranto frà Cornelio Sebastiano Cuccarollo.[2] Pare infatti che in tale periodo, proprio mentre era nel pieno della sua fioritura artistica, la cartapesta si trovò al centro di un’accesa polemica e di pesanti persecuzioni. I cartapestai venivano accusati di sacrilegio perché usavano per le loro poltiglie carta “scomunicata”: i fogli di giornali, come l’Avanti, l’Unità, e persino le carte da gioco.[3]
Uso che non era solito appartenere al nostro Manzo:
“Nelle statue del Manzo nulla di manierato, nulla di esagerato, ma una precisione perfetta in tutto; dalla modellatura, alla linea, all’atteggiamento, ma più che tutto all’espressione che sintetizza e manifesta il carattere e la vita.- Egli lavorò con le più pure tecniche della cartapesta e mai usò la carta dei giornali, perché, diceva[4], – i santi non si vestono con le notizie[5]”.
“Bruceremo i santi di carta?”
“Un’arte senza domani vive la sua agonia: la statuaria leccese[6]”.
Questi, due dei titoli apparsi sui giornali salentini, circa trent’anni dopo una violenta campagna denigratoria nei confronti della cartapesta, iniziata nel 1933, dall’arcivescovo di Otranto, cadorino, che vietò l’uso della cartapesta per il culto, imponendo l’uso del legno nella statuaria sacra. Monsignor Francesco Cornelio Sebastiano Cuccarollo[7], inizialmente ammiratore delle statue di cartapesta, avendo ricevuto una sollecitazione di pagamento di due crocifissi da parte di Giuseppe Manzo, cominciò (pare da quel momento) a osteggiare con tenacia la produzione statuaria leccese, in nome di una difesa della “dignità e decoro” dell’arte destinata al culto.
Per le botteghe leccesi fu il dramma, senza risparmio per alcuna di esse, dalle più umili alle più famose.
In risposta alla polemica che dilagava, dopo la lettera denigratoria di monsignor Cuccarollo, in occasione della “seconda settimana per l’arte sacra per il clero”, a Roma, lo stesso vescovo di Lecce, Alberto Costa, spenderà delle parole in difesa di quest’arte: “Non si parli di ostracismo alla cartapesta, si cerchi piuttosto di conoscerla per non confonderla, […] e ammirarne i capolavori che sfidano i secoli”.
Anche la Pontificia Commissione interviene in difesa dell’ arte leccese, ma sarà solo nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale, che si spegnerà l’aspra polemica sulla cartapesta, travolta nella crisi generale che investe ogni settore economico[8].
Il figlio Antonio, per diversi anni, dopo la morte del padre Giuseppe cercò di mantenere in piedi il reale laboratorio, continuando a tenere in bottega i suoi lavoranti. Alla morte di Antonio, lo stesso provò a fare il nipote Dino, attaccatissimo al nonno Pippi e alla sua meravigliosa arte, infine si dovette rassegnare a chiudere battenti, agli inizi degli anni Sessanta.
Portò via molto materiale, tra cui cassette che contenevano registri, fatture, corrispondenza, note di ordini fatti da tutto il mondo per le sue statue, biglietti di encomio e di ringraziamenti, materiale pubblicitario, (poiché anche le antiche botteghe di cartapesta, ad un certo punto usarono farsi pubblicità) listini dei prezzi delle opere in base alle misure di realizzazione, foto, opere rimaste in laboratorio, e persino le lastre fotografiche delle statue modellate, poiché il maestro aveva la buona abitudine di fotografarle sempre, prima di ogni consegna. Ed è proprio da questo prezioso archivio, che abbiamo potuto visionare alcuni antichi documenti, del reale laboratorio appartenuto al Manzo, grazie alla gentile concessione del nipote Dino.
Morì il 7 gennaio 1942, a Lecce, dove ancora è sepolto, nella tomba di famiglia del cimitero monumentale, all’età di 93 anni.
Nel suo necrologio fu scritto:
“Chi ha conosciuto la modestia di questo “Maestro” non può non ricordare la sua schietta semplicità, le sue abitudini modeste, l’affabilità del suo tratto. Fu spesse volte, dalla stima degli ammiratori e degli operai, chiamato a coprire cariche amministrative nel Consiglio Comunale e nella Società Operaia[9]. Era un “buono” che nella sua vita non ebbe nemici, un onesto che riscosse fiducia illimitata, un “credente” senza infingimenti nella sua fede”.[10]
Alte e significative furono le onorificenze conseguite da Giuseppe Manzo pei suoi lavori pregiati.[11]
È del 25 maggio 1890 il «Brevetto Reale » n. 729, registrato a corte n. 296, in cui si legge: “S. M. il Re Umberto I° volendo dare al Signor Giuseppe Manzo, modellatore in cartapesta nella città di Lecce, uno speciale e pubblico contrassegno della sua benevola protezione, ci ha ordinato di concedergli, a titolo di incoraggiamento, la facoltà di innalzare lo Stemma Reale sull’insegna del suo laboratorio.”
L’insegna è rimasta sino al dicembre 1959, circa 70 anni, mese in cui la «bottega» sulla via Paladini (sotto il palazzo Romano) chiuse per sempre i battenti.
Nel 1889, in occasione della venuta a Lecce di Umberto I°, il cartapestaio aveva fatto omaggio alla Regina d’una statua in cartapesta di Santa Margherita, ricevendone in dono un artistico orologio d’oro con brillanti e catena.[12]
Il maestro orgoglioso dell’onore ricevuto, di poter esibire l’insegna reale, in quello che diventerà il suo reale laboratorio, farà uso dell’effige anche sulla sua carta da corrispondenza, pregiandosi di questo alto onore. In seguito a questo episodio rimarrà per sempre una rispettosa e sentita amicizia, tra il Manzo e il sovrano Umberto I, nonché una costante corrispondenza, con la casa reale, come dimostra una delle tante lettere ritrovate nei documenti che il maestro conservava nel suo laboratorio.
Un’altra prestigiosa onorificenza, che gli fu concessa fu quella di Cavaliere, “Pro Ecclesia et Pontifice”[13].
Al Manzo la prima medaglia d’oro fu assegnata il 3 giugno 1877, in occasione del Giubileo Episcopale di Pio IX. Successivamente partecipò alla Esposizione di Palermo, per due anni consecutivi, conseguendo la medaglia d’argento nel 1891 e quella d’oro nel 1892. Altre medaglie d’oro gli furono assegnate: nel 1899 all’Esposizione Internazionale di Torino, all’Esposizione Campionaria mondiale di Roma e all’Esposizione industriale e commerciale di Poitiers; nel 1900 alle sposizioni internazionali di Londra, Parigi e Bordeaux; nel 1901 ancora all’Esposizione campionaria mondiale di Roma, dove si riaffermò nuovamente nel 1911 conseguendo un’altra medaglia d’oro.
A queste vanno aggiunte altre medaglie d’oro, quali, per esempio: quella che gli fu conferita dall’Accademia di Parigi degli «inventeurs industriels et expositeurs» e quella ricevuta dalle Missioni Opere Cattoliche di Torino nel 1898.
Tutto questo oltre le medaglie di bronzo e d’argento, le coppe, i numerosi «Diplomi » e le croci al merito, la più prestigiosa delle quali è forse quella conferitagli dall’Accademia di Belle Arti di Parigi.
[1] O. SOLOMBRINO, Serrano Microstorie Ricordi sentimenti, Congedo, Galatina 2005, pp.30,32,33
[2] Gianluigi Lazzari, in Anxa, anno X, n. 56, maggio-giugno 2012 , Associazione culturale Onlus, Gallipoli (Le) pp. 11,12
[3] Nicola Caputo, Quei tre fratelli di nome Gesù – le statue di Giuseppe Manzo nella processione dei misteri di Taranto, Scorpione editrice s.r.l., Martina Franca 1991, p.142
[4] Mario De Marco, La cartapesta leccese, Edizioni del Grifo, 1997, p. 33
[5] Il convento dei P.P. di Novoli possiede una cospicua produzione statuaria del Manzo. Cfr., M. De Marco, Catalogo delle opere sacre in cartapesta conservate presso la chiesa e il convento dei padri passionisti , in “ I Passionisti a Novoli. 1887-1997”, Manduria, 1987, pp. 105
[6] E. Rossi, Un’arte senza domani vive la sua agonia: la statuaria leccese, in “ La tribuna del Salento” anno I, n. 27, p.2 Lecce, 1959 / E. Rossi, Bruceremo i santi di carta, in “ La tribuna del Salento ” anno 2, n. 32, 33, 34, 35, 36, 37, p. 4, Lecce, 1960
[7] Nato nel 1870 a Casoni di Mussolente, alle falde del monte Grappa, da famiglia di contadini, direttore per 10 anni del Bollettino del Terz’Ordine Francescano a Padova, nel 1931 si insedia nell’arcidiocesi di Otranto, divenendo così Primate del Salento. Solo nel 1952 si trasferirà altrove.
[8] Bianca Tragni, Artigiani di Puglia(con un saggio di A, Contenti) Adda editore, Bari, 1986, pp.295-301
[11] LEONE VALGENTINA, La cartapesta leccese e i suoi cultori, in « Il Lavoro Nazionale », Anno I, n. 2-3, pag. 28, Bari, Marzo-aprile 1915.
12 L’orologio in dono fu inviato a Giuseppe Manzo da Umberto I a mezzo della sua «Segreteria Particolare», accompagnato da una lettera datata, Monza 22 ottobre 1889, col numero di protocollo 4684. Questo, il testo della lettera: «Sua Maestà il Re compiacevasi accogliere assai benevolmente l’omaggio di una statuetta rappresentante Santa Margherita di Savoia rassegnatoGli da V. S. durante il recente soggiorno della Maestà Sua in codesta Città. Compio quindi ora ad un grazioso incarico Sovrano porgendo a V. S. l’unito orologio con catena ed esprimendo alla S. V. il gradimento e i ringraziamenti Reali per la cortese offerta che attesta la affettuosa di Lei devozione alla Dinastia dei Savoia. Mi si offre propizia la circostanza per porgerle, Preg.mo Signore, gli atti di mia distinta stima».
13 La Croce pro Ecclesia et Pontifice (ovvero “per la Chiesa e per il Papa”) è una onorificenza della Santa Sede. È un distintivo d’onore. La medaglia è stata introdotta da Leone XIII il 17 luglio 1888 con la lettera apostolica “Quod singulari Dei concessu”, per commemorare il suo cinquantesimo anniversario di sacerdozio e, inizialmente, venne conferita a quelle donne e quegli uomini che avevano aiutato e promosso il giubileo o vi avevano collaborato attraverso altri mezzi. Oggi invece viene conferita, sia ai laici (uomini e donne) che agli ecclesiastici, che si sono distinti per il loro servizio verso la Chiesa.
Per la prima parte:
Per la seconda parte:
Per la quarta parte:
https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/18/giuseppe-manzo/
Per la quinta parte:
https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/24/manzo-ultima-parte/
[…] https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/15/giuseppe-manzo-terza-parte/ […]
Buongiorno in una chiesa dove sono
Parroco ho trovato una statua con in timbro nn completo, c’è scritto REALE LABORATORIO GIUSEPPE M….. , vorrei sapere, se è possibile che cosa raffigura, alcuni dicono San Pasquale altri Sant’Antonio, potrei inviare qualche foto, mi sarebbe più facile per wa. Grazie
Certamente, procederò a fare una ricerca e le farò sapere, per quanto mi sarà possibile. Le allego una Mail dove inviarla
basilio11rosa@libero.it
Grazie.