di Gianni Ferraris
Secondo Eurostat L’Italia è all’ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura (1,1% a fronte del 2,2% dell’Ue a 27) e al penultimo posto, seguita solo dalla Grecia, per percentuale di spesa in istruzione (l’8,5% a fronte del 10,9% dell’Ue a 27).
Dai dati emersi sul gioco d’azzardo l’Italia si pone invece al primo posto per spesa pro capite in Europa e al terzo al mondo, ogni cittadino, neonati compresi, si gioca ogni mese 1260 euro.
Questi risultati sono incredibilmente eloquenti, come si dice: “parlano da soli”. Però leggendo ognuno si pone il problema di ragionarci, ci ragiono e canto, diceva qualcuno in altri tempi. L’intervista di Saviano a Che Tempo che fa è stata a suo modo istruttiva ed altrettanto eloquente, il suo nuovo libro parla di narcomafie e del viaggio della coca nel mondo. Mille euro investiti in azioni di un’azienda sanissima ed in ascesa possono fruttare in un anno 600 euro di utile. Dignitosissimo se comparato ai furti legalizzati della banche che hanno interessi da miseria e dalel quali forse è bene che i piccoli risparmiatori escano in fretta. Gli stessi mille euro investiti in coca dove la si produce, in un anno diventato 182.000. E sono implicate le mafie mondiali in questo vorticoso giro d’affari che diventano banche, industrie fatte per riciclare, gioco d’azzardo (appunto). Diventano business, quello che tanto amano i governi “tennici” (per dirla alla Berlusconi).
Sembra ci sia un filo rosso che lega la colpevole incultura in cui ci vogliono cacciare governanti d’accatto e le mafie, investire in cultura non rende nell’immediato, dobbiam oseguire lo spread e acchiappare denaro dove c’è e da qualunque parte arrivi, in fondo avevano ragione i latini “pecunia non olet”. Pare esserci una contraddizione in termini nei dati ufficiali: l’Italia detiene il 90% circa del patrimonio artistico, architettonico e culturale del mondo ed è all’ultimo posto per quanto riguarda la cultura.
Quella che dovrebbe essere l’industria principe, il maggior produttore di PIL e di indotto, diventa tout court un costoso orpello dal quale liberarci in fretta, magario dandolo in gestione a qualche privato che faccia un casinò a Pompei. Emblematica la posizione di Silvio il breve quando andò a consolare i Lampedusani dicendo “faremo qui un casinò”. Poi ha tolto l’accento sulla o finale ed ha lasciato così quei poveretti a confrontarsi con la sua inutile, dannosa (collusa?) incapacità di governare. Il problema è la filosofia che si cela dietro le parole di un capo del governo, i quattrini li porterà il gioco d’azzardo, non già il paesaggio, non la natura, non il mare, non le tradizioni marinare, non il fatto di essere ponte di culture, macchè, una colata di cemento e fiches di plastica. E’ un po’ l’effetto L’Aquila che ha guidato i governi degli ultimi vent’anni: lasciar cadere una città con un centro storico distrutto e costruire improbabili casette di cartongesso fuori, in campagna, lasciando alla natura fare il suo corso e divorare un patrimonio unico. Ci fosse stata oggi alluvione a Firenze, questi criminali della cultura avrebbero mandato gli angeli del fango a salvare le slot machines anziché la biblioteca.
Siamo in un paese in cui l’indotto del turismo viaggia da solo e grazie ad operatori privati, le città d’arte vivono quasi per inerzia le loro ricchezze, anche se spesso fanno ogni cosa a discapito della loro ricchezza intrinseca, acquisita ed evidentemente non meritata, i turisti (stranieri) sanno di poter venire e vedere cose che in nessun altro luogo del mondo possono osservare.
Emblematica è la città di Lecce chiamata, a torto o ragione, la Firenze del meridione. Il turista che vuole arrivare in treno si trova poi immerso in un viaggio nell’assurdo, alla stazione i bus urbani non hanno un punto informazione, se vuoi sapere dove vanno i mezzi pubblici devi chiedere, e attenzione, se il turista tedesco o inglese è fortunato incontrerà qualcuno che conosce la lingua, altrimenti sono affaracci suoi, s’arrangi. E non parliamo del poveretto che si pone l’obbiettivo di andare sul capo di Leuca usando mezzi pubblici, un’odissea vera e propria.
Un tempo qualche sognatore parlò di fare delle ferrovie del Sud Est una metropolitana di superficie con corse regolari, oggi il tutto si è trasfomato in un gioco a chi abbatte più ulivi secolari per favorire il traffico delle auto e congestionare i lresto del Salento. E’ vero, sembra proprio che i conti tornino, la filosofia di voler spingere oltre ogni limite della decenza il gioco d’azzardo e il tenere volutamente, pervicacemente, ostentatamente il patrimonio culturale ed etico sotto le scarpe è un tutt’uno.
Trasformare i disvalori (giocare a soldi) in quotidianità, accettare supinamente che le malavite inondino le banche e le aziende di denaro fresco e si appropprino della politica piano piano e nel contempo abolire tutto ciò che è cultura nel senso più ampio di crecita etica è un comportamento un tempo ascrivibile alle peggiori dittature sud americane, oggi è diventata prassi comune. Una volta si diceva “il padrone conosce mille parole, l’operaio cento, per questo lui è il padrone”, un tempo si diceva di dare alla plebe “panem et circenses”, quando leggevamo queste cose sorridevamo, oggi è diventata prassi comune anche delle democrazie illuminate. In questo quadro molto del disastro etico è ascrivibile anche ai non berlusconcini, a quelle sinistre che hanno accettato (quando non spinto dalla creazione delle sale bingo di dalemiana memoria in avanti) questo stato delle cose, perché sempre più si è fatta largo l’idea e la prassi che a governare debbono essere i finanzieri d’assalto, gli speculatori e, per conseguenza, la corruzione.