La ugghìna1
di Armando Polito
Era in pratica uno staffile costituito dal membro di bue teso, essiccato e opportunamente intrecciato, usato per incitare le bestie ma annoverato anche tra gli strumenti educativi (oggi si direbbe coercitivi, con tutta la connotazione negativa che il termine, forse giustamente, assume) per domare qualche figlio ribelle. Personalmente non ne ho mai provato gli effetti, nonostante un esemplare (quello della foto), ereditato da mio padre ed a lui passato da mio nonno, faccia bella mostra di sé in casa mia come semplice oggetto di antiquariato e garantisco, per quanto la mia parola può valere, che ogni sospetto su una mia probabile predilezione per il sado-maso sarebbe totalmente infondato…
Mio padre ha preferito usare, quando i normali sistemi di persuasione non funzionavano e, soprattutto, di fronte alla reiterazione di un comportamento scorretto, la cinghia dei pantaloni (anche perché i miei nonni e mia madre avevano opportunamente nascosto l’ugghìna…) e di fronte a quel gesto plateale non c’era nemmeno il tempo, la voglia e l’ironia che oggi sicuramente mi spingerebbero ad augurarmi che, appena sfilata la cintura, il “boia” si ritrovasse in mutande …
Non voglio avventurarmi in disquisizioni psico-pedagogiche e tanto meno rimpiangere il tempo che fu: dico solo che quelle punizioni non mi hanno traumatizzato, mentre mi ripugna la pena di morte, ma altrettanto mi fanno schifo, con particolare riferimento ai tempi attuali, l’aleatorietà della pena e tutte le attenuanti che sembrano essere state inventate solo per favorire chi delinque, nella speranza, per lo più consapevolmente vana, di un suo ravvedimento, mentre in concreto la privazione della libertà non è strutturata in modo da rendere, almeno potenzialmente, rieducativo il carcere. È superfluo pure che dica la mia su certi asili-lager di cui ogni tanto si occupa la cronaca e su certi metodi di insegnamento che sono veri e propri atti di violenza intellettuale e intellettiva, gli uni e gli altri certamente traumatizzanti. In campo politico, poi, sfido chiunque a ricordarmi, in tutta la storia del genere umano, un solo esempio, solo uno, di tirannide veramente illuminata…
Illuminanti mi appaiono, invece, i versi con cui mi piace chiudere:
Se lu sire nu nc’è ttegna la ugghina
ca nde pigghia li fili spalestrati,
la casa de palore sempre è cchina,
nu stanu nnu mumentu rreggettati.
Nci ole unu cu ccumanda, a cquai è llu piernu;
tocca begna de neu lu Padreternu!
(Giuseppe De Dominicis alias Capitan Black, Tiempu doppu, vv. 331-336)
(Se non c’è il padre che tenga la sferza
con cui punire i figli sbalestrati,
la casa è sempre piena di parole,
non stanno un momento tranquilli.
Ci vuole uno che comandi, ma è qui l’inghippo;
bisogna che venga di nuovo il Padreterno!).
Viviamo e vivremo nella disperata consapevolezza (per chi ci crede …) che solo l’intervento della Provvidenza e non di un Uomo (quant’è sprecata, qui, l’iniziale maiuscola!) della Provvidenza sarebbe in grado di cambiare il nostro destino.
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1 Dal nesso latino (verpa) bubulìna= (membro) di bue, attraverso la filiera: bubulìna>*ubulìna (aferesi di b-)>*ublìna (sincope di –u-)>uglìna (attestato a Zollino)>ugghìna. La variante uvìna (Tiggiano e Taurisano), invece, è dal latino tardo bovìna(m), femminile di bovìnus, con aferesi di b– e passaggio –o->-u-.