A volte i miracoli s’avverano anche senza l’intervento divino
C’era una volta l’Amore…
di Mauro De Sica
Ero un ragazzetto di quasi otto anni, quando mia nonna mi raccontò l’indimenticabile favola sull’Amore.
Solitamente la nostra famiglia trascorreva la vigilia di Natale, così come il giorno di Pasqua e del santo patrono, in casa di nonna Giuseppa per festeggiare insieme il lieto evento.
Nell’autunno del 1950 la nonna era stata poco bene per via d’un raffreddore che l’aveva costretta a starsene sempre tappata in casa. Per tale motivo mio padre aveva stabilito un turno quotidiano d’assistenza tra tutti i nipoti galatinesi. Ogni giorno uno di noi doveva trascorrere un paio d’ore per tenerle compagnia e sbrigarle qualche faccenda domestica.
Nel primo pomeriggio di quella memorabile vigilia di Natale toccava a me andare a trovarla. Ero per strada a giocare in tutta libertà con gli amici di via XX Settembre, quando mia madre, con voce perentoria ma amorevole, mi ricordò che s’erano già fatte le tre e dovevo recarmi da lei.
Un improvviso gelo scese dentro di me. Facendomi forza ma anche con tanta rabbia in corpo, salutai mal volentieri i compagni di gioco e rientrai in casa.
Lei, mia madre, aveva capito il grande dramma che stavo vivendo, per cui mi carezzò più volte la guancia, per poi donarmi dieci lire.
“Passando dalla piazza, còmprati quel che vuoi…” – mi disse dolcemente – “…Suvvia, Mauro, non fare quella faccia truce: fra un paio di ore saremo tutti a casa della nonna e insieme gusteremo una cena succulenta, giocheremo a tombola ed infine aspetteremo la nascita del bambin Gesù”.
Malvolentieri e con il cuore a pezzi, lasciai gli amici e mi avviai lentamente in via Gallipoli, dove lei abitava da sola.
In quella casa, che odorava di antico e di chiuso, il tempo sembrava non trascorrere mai, cosicché, dopo appena mezz’ora, la noia e la tristezza mi aggredirono, spazientendomi.
“Cosa hai, Mauro, ti trovo alquanto silenzioso e imbronciato!” – disse la nonna, molto preoccupata.
“Ho freddo e poi…”.
Mi bloccai di colpo.
“E poi cosa?!”.
“E poi mi mancano tanto i miei compagni di gioco!…” – le risposi con un pizzico d’amarezza – “…Se almeno mi raccontassi una delle tue favolette, non mi annoierei e tutto passerebbe”.
“Prendi un po’ di legna dal cortile, aiutami ad accendere il camino e poi mettiti a sedere accanto a me. Però, promettimi che mi presterai attenzione e, soprattutto, che non dimenticherai la storiella che sto per raccontarti”.
“Brava nonnina, ti giuro che la porterò per sempre nel cuore”.
Dopo un buon quarto d’ora, il caldo tepore cominciava già a diffondersi nell’ampia stanza.
“Nonna, cosa stai per raccontarmi di tanto importante, da non doverlo dimenticare?”.
“Ti parlerò dell’Amore e dei miracoli che fa in continuazione”.
“Sono tutt’orecchi, nonnina!”. E mi predisposi all’ascolto con molta curiosità ed attenzione.
C’era una volta… – cominciò a raccontare quella brava donna – …un’isola dove vivevano tutti i sentimenti, buoni e cattivi. C’era il Buon Umore, la Tristezza, l’Invidia, la Vanità, il Sapere, la Saggezza ed anche l’Amore.
Un giorno venne annunciato ai “sentimenti” che l’isola stava per sprofondare. Allora tutti prepararono le loro barche e partirono. L’Amore, però, volle aspettare fino all’ultimo momento. Solo quando l’isola fu sul punto di sprofondare, l’Amore decise di chiedere aiuto.
La Ricchezza passò nelle vicinanze dell’isola su una barca lussuosissima.
“Signora Ricchezza, mi puoi portare con te?” – le chiese l’Amore.
“Mi dispiace tanto ma non posso, c’è molto oro e argento sulla mia barca e non ho posto per te”.
“Potresti buttare in acqua una minima parte delle tue monete d’oro: a me basterebbe un cantuccio!”.
“Non sia mai detta una cosa del genere!…” – le rispose quella, impettita e quasi offesa – “…Non baratterei mai una sola moneta d’oro con un poveraccio come te!”.
E se ne andò.
L’Amore decise allora di rivolgersi all’Orgoglio, che stava passando nei paraggi su un magnifico e lustrato vascello.
“Signore Orgoglio, ti prego, accogli la mia richiesta d’aiuto!”.
“Se posso, lo farò con piacere” – gli ribatté quello.
“L’isola sta sprofondando e, se qualcuno non mi presta soccorso, rischio di andare giù!”.
“Mi dispiace, Amore. Sul mio vascello tutto è in ordine, perfetto e pulito: potresti sporcare dappertutto e rovinare ogni cosa!”.
L’Amore era disperato ed intanto l’isola iniziava pian piano ad andare giù. Proprio in quei momenti di disperazione gli passò accanto la Tristezza.
“Tristezza, dolce Tristezza, lasciami venire con te!” – supplicò l’Amore, rivolgendole un accorato appello.
“No, Amore, non mi è possibile!… Sono così triste e desolata che ho bisogno di starmene da sola. Se salissi sulla mia barca, troverei un compagno e smetterei di essere triste, cosicché ogni uomo si rallegrerebbe!”.
L’Amore non sapeva più a quale santo rivolgersi: ormai la sua fine era segnata.
Gli passò a fianco il Buon Umore e, nonostante l’Amore si sgolasse a supplicarlo, se ne andò senza neanche accorgersi di lui, perché si beava tra le sue eccessive contentezze.
L’Amore era disperato e paventava una fine imminente, quando gli passarono accanto l’Invidia e la Vanità su una barca splendente e profumata.
“Perché ti disperi così tanto, buon uomo?!” – chiese una delle due.
“Fatemi salire sulla vostra barca, fra poco l’isola sprofonderà e mi porterà via con sé!”.
“Ti ospiteremo solo se t’imbelletterai così tanto da far invidia alla mia compagna di viaggio!” – gli rispose perentoriamente la Vanità.
“Non basta!…” – replicò l’Invidia, con un pizzico di orgoglio – “…Metterai piede sulla barca solo se diventerai più bello e fascinoso di sorella Vanità, tanto che io possa leggerle negli occhi un sentimento profondo e traboccante d’invidia”.
“Ma è tutto contro la mia natura!…” – ribatté l’Amore, alquanto mortificato.
“E allora, visto che non ti pieghi, sprofonda pure nelle fauci della terra!” – conclusero quelle all’unisono.
L’Amore, affranto e scoraggiato, osservava con molta mestizia che la terra s’apriva lentamente sotto i suoi piedi.
“Cosa accadrà agli uomini, ora che sto per andarmene?…” – pensava con rassegnazione l’Amore – “…Sono già abbastanza superbi, cattivi e violenti, nonostante mi dia un gran da fare per calmarli e abbonirli. Dopo la mia scomparsa diverranno ancora più malvagi e crudeli, tanto da annientarsi vicendevolmente!”.
Pensava e ripensava, ma intanto l’isola sprofondava sempre più, sino ad abbassarsi al livello del mare.
“Addio, vita mia!… addio progetti per i quali ho impegnato ogni mia stilla di bene!… Addio… addio per sempre!”.
Ormai l’acqua gli era salita al livello delle ginocchia, quando…
“Vieni, Amore… ti prendo con me!” – disse stentoreamente una voce, spuntata all’improvviso chissà da dove.
Era un vecchio, che indossava un lungo abito bianco, aveva la barba incolta e dei capelli fluenti.
L’Amore si sentì attrarre da una sensazione piacevole e smisurata da dimenticare di chiedere al vecchio il suo nome. Quando approdarono sulla terraferma, ormai lontani dall’isola e dal pericolo, il vecchio salutò sorridendo e proseguì il viaggio.
Dopo una buona mezz’ora, l’Amore si rese conto di aver commesso una grave manchevolezza. Non aveva ringraziato il vecchio, né tanto meno gli aveva chiesto il nome.
Si rivolse al Sapere, che passava in quel momento nei paraggi.
“Signor Sapere, sai dirmi chi mi ha aiutato?!”.
“È stato il Tempo…” – gli rispose quello.
“Il Tempo?!…” – s’interrogò l’Amore – “…Perché mai mi ha aiutato il Tempo?”.
“Perché solo il Tempo è capace di comprendere quanto l’Amore sia importante nella vita degli uomini” – gli rispose il Sapere, compagno inseparabile della Saggezza.
Da allora l’Amore si è impegnato di gran lena per aiutare gli uomini ed affrancarli da ogni sentimento cattivo.
La nonna, commossa, piegò la testa.
“È finita, nonna!” – le dissi con un pizzico di rammarico.
“Sì, Mauro, è proprio finita. Mi auguro che abbia fatto presa nel tuo cuore”.
“Certo, nonna, ti prometto che non mi stancherò mai di amare e di fare del bene”.
E mi passò la mano vellutata sul viso.
“Mauro, hai capito la morale della favoletta?”.
“Sì, nonna!”.
“Solo se la racconterai ai tuoi figli e a tutti i ragazzi che incontrerai, e se altrettanto faranno i figli dei tuoi figli e di quei ragazzi, l’Amore si rafforzerà a tal punto, da sconfiggere tutti i mali del mondo”.
Quel Natale fu per me il più bello.
Perciò, voi ragazzi, ma anche voi adulti, che mi avete letto con molta pazienza, continuate a credere nell’Amore e a sognare di averlo accanto: vi aiuterà a vivere meglio e a desiderare il bene proprio e degli altri.
Solo in questo modo la vostra “isola” non sprofonderà mai e mai ricorrerete all’aiuto di quegli ingannevoli e illusori sentimenti, che da sempre abbagliano e seducono l’uomo, conducendolo, il più delle volte, verso il Male.
Pubblicato su Il Filo di Aracne.