di Nicola Fasano
La Casa professa dei Gesuiti a Grottaglie custodisce numerosi dipinti di eccezionale pregio. Alcuni di essi, come lo Sposalizio mistico di Santa Caterina di Andrea Vaccaro, sono un prezioso dono di Ferdinando II di Borbone che visitò i luoghi in cui era nato e cresciuto San Francesco De Geronimo. Altre tele provengono, invece, dal santuario della Madonna della Salute, chiesa per lungo tempo retta dall’ordine. Tra queste, oltre ai dipinti del celebre Paolo De Matteis, bisogna soffermarsi su una tela poco studiata, firmata da un allievo del pittore Francesco Solimena: Paolo De Falco.
Il quadro di grande formato (236 x 195), collocato in un corridoio della dimora gesuitica, raffigura L’Assunzione di Maria. Il tema iconografico è incentrato sul rapimento in cielo di Maria, in anima e corpo, tre giorni dopo la morte. Il termine (dal latino “adsumere”) indica che fu portata in cielo dagli Angeli, come mostra la tela.
L’Assunzione non trova basi nelle Sacre Scritture, ma soltanto negli scritti apocrifi del III-IV secolo e, nella tradizione della Chiesa cattolica. Solo nel 1950, l’Assunzione venne proclamata articolo di fede da Papa Pio XII. Il nostro dipinto riprende l’iconografia controriformistica, che avrà il suo apice in epoca barocca, con alcune varianti significative che andremo a descrivere. Nella parte superiore della composizione Maria, con il braccio destro sul petto e lo sguardo rivolto in alto, assume l’atteggiamento estatico di devota fiducia nella volontà divina. Intorno, paffuti angioletti sospingono senza alcuno sforzo i nembi sui quali si erge la Madonna, mentre un altro angelo solitario si appresta a coronarla con una ghirlanda di rose.
La composizione, smorzata da tinte basse, si accende con gli incarnati dei putti, il fluente mantello azzurro della Vergine che contrasta con la veste rosacea, e gli svolazzanti panneggi degli angeli. Le figure sono risaltate da delicate trame chiaroscurali che lambiscono i volti e torniscono plasticamente i corpi. L’Assunta con il gruppo di angeli è stata replicata scolasticamente in un dipinto di fine XVIII sec. raffigurante l’Immacolata e Santi, custodito nella Matrice di Montemesola. Quest’ultima tela, commissionata probabilmente dai Saraceno, feudatari di Montemesola, si accomuna al nostro dipinto, per una interessante veduta del paese.
Infatti nel dipinto grottagliese, al posto del sarcofago aperto, dal quale la Vergine viene rapita per essere portata in cielo, si dispiega la vista di una città e sull’estrema destra un picco roccioso in primo piano, consente al pittore di apporre la propria firma : P. De Falco P. (..ingebat).
Paolo De Falco nativo di Napoli nel 1674, secondo il biografo degli artisti napoletani Bernardo De Dominici, fu “degnissimo sacerdote”. Il pittore, infatti, fu un chierico che aveva seguito studi di logica presso i Gesuiti, per poi dedicarsi all’arte pittorica presso la prestigiosa scuola di Francesco Solimena. Un pittore diligente che si distingueva in termini celebrativi e puristici, come si evince dal nostro quadro, al quale era difficile chiedere temi di carattere laico e profano. La sua produzione artistica, secondo il Prof. Pavone, si concentrò nei centri periferici tra i quali Taranto, dove il De Dominici registra una “Sant’Irene, che il pittore mandò nella città di Taranto”, che il Pavone giustamente riconosce nella nostra tela. Lo studioso attesta l’opera intorno ai primi anni ‘30 del Settecento, “in quel processo di ridefinizione in chiaro delle forme” che fa dell’opera una composizione devota e “pulita” in linea con i dettami dei Gesuiti, committenti dell’opera.
Pavone, inoltre, riconosce nel pittore la nettezza delle forme, la pacatezza nei gesti e nei volti che aderiscono al clima arcadico del Solimena dei primi del Settecento, mettendo in relazione l’Assunta tarantina con il San Martino e la Madonna di Cerreto.
Sul dipinto interviene anche il Prof. Galante, che nel volume “Questioni Artistiche Pugliesi”, nell’introdurre la figura di Giovan Battista Lama, accenna fugacemente al nostro dipinto, il quale, insieme a quelli del Lama e del De Matteis, costituivano il patrimonio pittorico della chiesa di Monteoliveto, poi Madonna della Salute. Sia Galante, sia Pavone, non accennano minimamente al paesaggio in basso a sinistra, e solo nella scheda di catalogazione del quadro per i volumi di Iconografia Sacra a Taranto, dopo avere fornito i dati essenziali dell’opera, chi redige la scheda, si sofferma brevemente sulla veduta.
Analizzando il paesaggio, emergono novità che possono essere molto interessanti. La tela molto rovinata nella parte inferiore, mostra una città che sembra essere Taranto, e quale migliore occasione se non quella di farla proteggere dall’Assunta, patrona di Taranto, a cui è dedicata la Cattedrale, insieme a San Cataldo?
A conferma di questa tesi, concorrono una serie di fattori che andremo a descrivere.
La città presenta una veduta dal Mar Piccolo inquadrata nel tradizionale N-W (nord-ovest), similare alla descrizione calligrafica del pittore Coccorante nella pala di Mastroleo in San Domenico. Facilmente riconoscibile all’estremità destra, il ponte del fosso dalle quattro arcate e il castello aragonese con le sue torri. Nella parte centrale si distingue a fatica l’abitato costituito da casupole con tetti spioventi, alcune chiese con campanili svettanti, tra le quali il Duomo con il tiburio circolare e il campanile romanico visto su due lati. Nell’estremità destra si scorgono la cittadella fortificata, la torre di Raimondello Orsini e il ponte di Porta Napoli con cinque arcate, invece delle sette tradizionali.
Non mancano le relative fortificazioni sul Mar Piccolo, con la cinta muraria e il torrione. Naturalmente il pittore, anche con qualche incongruenza, dà una visione idealizzata della città, con i ponti di accesso, le chiese, le torri, le cose essenziali che caratterizzano l’abitato settecentesco. Non meno significativa è la presenza dei due vessilli sulle torri, che con un po’ di immaginazione si può pensare recassero lo stemma degli Asburgo, attestando il dipinto agli anni precedenti al 1734.
Purtroppo, la fotografia e il pessimo stato di conservazione del dipinto non rendono giustizia alla veduta, che prosegue sulla destra per interrompersi con la roccia sulla quale il pittore appone la propria firma.
La scoperta di questa veduta inedita di Taranto è di per sè interessante, ma ancora più importante sarebbe la datazione, che, stando a quanto riportato dal Pavone, si attesterebbe intorno ai primi anni ‘30 del Settecento, precedente quindi alle più celebri vedute del Coccorante: quella in San Domenico a Taranto e quella conservata nel Museo San Martino a Napoli, realizzate intorno al 1738-40.
Da dove avrà preso spunto il nostro pittore? Da qualche dipinto precedente? Dalle celebri vedute del Pacichelli che circolavano nel Regno di Napoli? Non è dato sapere. La veduta, ignorata dagli studi, non è stata censita nella mostra sulle vedute relative a Taranto e al suo golfo del 1973, tantomeno nella mostra tenuta al castello aragonese di Taranto sul finire del 1992. L’unica esposizione alla quale il dipinto ha partecipato è stata quella del 1937, in occasione della Prima Mostra Ionica di Arte Sacra, nel cui catalogo il dipinto si fa apprezzare per il buon sapore decorativo.
Visto che la Madonna della Salute è chiusa da tempo, non rimane che fare una passeggiata a Grottaglie, andare al “Monticello”, dai Gesuiti, e gustarsi questa inedita veduta di Taranto, oltre ai dipinti di Paolo De Matteis, che un tempo decoravano la chiesa di largo Monteoliveto.
Incantevole la descrizione dell’opera complimenti
Rispondo solo ora con colpevole ritardo. Grazie
Complimenti per l’articolo e l’analisi dell’opera