di Maria Grazia Presicce
Il giorno dopo la santa Pasqua, nel giorno del Lunedì dell’Angelo, i salentini amano trascorrere una giornata all’insegna del divertimento e della baldoria. I paesi salentini, come ben sappiamo, sono tantissimi e, naturalmente, ogni luogo ha una sua tradizione riguardo questa ricorrenza che, comunque, al di là delle usanze culinarie e religiose, è sempre volta allo svago in compagnia.
La Pasquetta, di solito, si trascorre in campagna o vicino al mare e in quasi tutti i paesi si svolge sempre il lunedì dopo la Pasqua. In alcune località, però, la Pasquetta si festeggia anche il martedì e pare nel Capo si svolgesse anche il giovedì, in un luogo prestabilito dove la gente ama radunarsi. A Copertino si va alla Grottella, nei pressi del Santuario della Madonna e perciò la pasquetta si chiama la Urteddha, a Lecce ci si raduna vicino alla chiesetta della Madonna di Loreto ( XII secolo, feudo di Surbo, vicinissima a Lecce) che i leccesi hanno sempre chiamato la chiesa della Madonna d’Aurìo[2], che in forma dialettale è divenuta lu riu dando così il nome alla giornata di festa.
Il progresso e la vita moderna hanno dato un’altra veste a questa ricorrenza e quindi la pasquetta o il giorno dopo adesso si svolgono all’insegna di varie manifestazione musicali popolari, di visite ai parchi e di pranzi luculliani nei ristoranti. Comunque, non manca chi ancora predilige la semplice scampagnata all’aria aperta con amici e parenti portandosi da casa il pranzo da gustare sui prati o vicino al mare o vicino ai luoghi di tradizione religiosa..
Naturalmente, decenni fa, la gente trascorreva questa giornata in modo molto semplice e lo stare insieme consisteva solo nel consumare quello che ogni partecipante preparava, il tutto accompagnato da un bicchiere di vino o…anche di più. Tutto si risolveva, quindi in un pic-nic in compagnia e in allegria. Tutto ciò lo riscontriamo in questo articolo di Cosimo De Giorgi riportato su “ La Democrazia” Lecce 9-10 Aprile 1904, anno VI n°3 e che restituisco ai lettori grazie alla “Fondazione Terra d’Otranto”
Lu riu
Ogni anno, il martedì o il giovedì dopo Pasqua, ogni buon leccese non può fare a meno della solita scampagnata e, per conseguenza, della solita manciatina sull’erba fresca, profumata dai primi fiorellini. Dico ogni buon leccese, intendendo parlare di quasi tutti i paesi della Provincia, poiché l’usanza tradizionale si estende generalmente, e quasi sotto la medesima forma. Di consueto, poiché la stagione è fiorente, una gaia mattinata piena di sole invita ai campi e alle rive del mare.
E lì si corre allegri, come ad una grande festa, dopo lunghi preparativi di pranzetti succulenti, portando l’immancabile pirettu del vino e spesso… la ozza.
“ Parbleu!, mi osserverà qualcuno, un’ozza piena? Possibile!”
Possibilissimo, signori miei; anzi vi aggiungo che è cosa mirabile osservare come quel giorno si vuotano i recipienti.
Basta dire che lu riu è tutta una festa consacrata all’epicureismo, e in ispecial modo a quel buon Iddio che è il Bacco.
E scommetterei tutti i miei cento milioni che forse l’unico santo che dal cielo può guardare con occhio benefico i buoni leccesi al ritorno dalla campagna è l’esilarante S. Martino!
Però, da parte gli scherzi, la festa de lu riu regna da noi come il principio della stagione estiva, l’inizio dei divertimenti villerecci, la prima spinta alle scorrazzate pei campi, all’idillio, all’egloga passionale, al flirt estivo, in mezzo ad un boschetto di piante, dove ci è, forse, solo l’occhio di Dio che vede…
O rus, o rus! Se poteste parlare, casine biancheggianti e quiete ombre pagane; se poteste parlare, onde glauche dell’Adriatico!…
I leccesi, per lo più, usano festeggiare lu riu nella campagna di Surbo, un paesello limitrofo; ma alcuni paesi, specialmente del Capo, hanno l’abitudine o il gusto di fare lu riu a mare.
Il giovedì dopo Pasqua, tre paeselli bianchi, perduti nel verde degli ulivi, e che, se non avessero la discordanza del dialetto, sarebbero come tre fiori d’un medesimo stelo, emigrano, starei per dire, per un sol giorno, e trapiantano le tende sull’amena spiaggia di Roca.
Per chi non lo sa, Roca, anticamente era un’allegra cittadella sull’Adriatico, fiorente di vita e di commercio. La distrussero i Turchi, che in quell’epoca infestavano quelle spiagge, ed ora Roca non è che un mucchio di macerie, dove il viandante, volentieri, resta un momento a meditare.
In un tempietto romito, parte intagliato nella roccia, una Madonnina bruna sorride e i fiori marini le fanno vaga corona.
I tre paeselli bianchi di Melendugno, Vernole e Calimera, ogni anno nel mese di Maggio fanno la festa a quella Madonna, ed è perciò che anche lu riu amano passarlo
Su quella spiaggia amena quasi come un anticipo dell’imminente festa maggiolina.
E corrono tutti lì, a Roca; e la bella spiaggia deserta sempre si ravviva e sembra quasi che un flutto di vita antica passi ancora sui ruderi della vecchia città.
E le memorie ritornano e la storia s’eterna e la poesia si riaccende!
E le forosette, vestite di festa, dai seni ricolmi e con le punte dei fazzoletti svolazzanti alla brezza marina, si rincorrono sull’erba fresca, rugiadosa, qua e là, a comitive allegre come numerose famiglie di passere.
L’idillio antico si rinnova, l’egloga si perpetua e l’eco ripete tra le rocce e le macerie le grida dei gaudenti e l’idioma neo-ellenico delle belle ragazze calimeresi.
Poi a sera ritorna la calma, l’abituale calma, sull’amena spiaggia, l’idillio e l’egloga passano e l’epopea rimane…
I tre paesi bianchi si ripopolano e la festa de lu riu è passata.
[2] Da google: wikipedia.org/wiki/Chiesa _di_Santa_Maria_d’Aurìo : Il toponimo d’Aurìo potrebbe derivare dalla voce greca Layrìon, ovvero piccolo cenobio. Laure si chiamavano infatti le cripte ipogee dove i basiliani veneravano i Santi.
Che sorpresa scoprire che il mio bisnonno era anche un epicureo che non disdegnava i piaceri della tavola, del vino e della buona compagnia! Dai racconti di mia madre mi ero fatta l’idea del super immerso nella cultura e nella ricerca. In piu’ ricordo che era una persona molto religiosa ed osservante, il che mi faceva sospettare una certa severita’ nei confronti dei piaceri. grazie
Giuliana Zizzi
sto facendo ricerche di cose inedite di cosimo de giorgi e sarei curioso di parlare con una sua parente, come sembra essere la signora zizzi. se leggerà questo mio commento può contattarmi alla mail ric.carrozzini@tiscali.it
grazie anche per l’articola su “La Democrazia”, che mi interessa particolarmente in quanto melendugnese. Riccardo Carrozzini