di Fabrizio Suppressa
Una strofa della pizzica copertinese “lu sciallabbà” recita così: “Gira, gira bella come il vento della Grottella”. Poche semplici parole, cariche di bellezza e di sensualità, descrivono con un colpo di pennello un luogo caro alla memoria degli abitanti di Copertino: il Santuario della Madonna della Grottella.
L’attuale chiesetta sorge nei pressi dell’antico casale di Cigliano, uno dei tanti distrutti durante le invasioni dei Goti e dei Saraceni. Il luogo fu frequentato fin dall’epoca romana, come attesta l’origine prediale del toponimo, ma le uniche tracce antiche rintracciabili sono quelle relative all’epoca dei monaci basiliani. La leggenda narra come nel 1540 un pastorello avendo smarrito un vitello, incominciò in lungo e largo a cercarlo in questa antica terra; lo ritrovò tra cespugli e rovi, inginocchiato davanti l’ingresso di una grotta, dove all’interno due misteriosi ceri accesi rischiaravano il volto affrescato della Vergine. Il pastore, dopo un attimo di smarrimento, corse subito al vicino paese per annunciare il ritrovamento al Capitolo della Collegiata e a tutta la cittadinanza, che una volta accertata la verità, si recò in processione a venerare la sacra immagine.
Dietro autorizzazione di Mons. Giovanni Battista Acquaviva, in quel periodo Vescovo di Nardò, fu costruita una piccola cappella; probabilmente si trattava di una piccola costruzione che custodiva l’ingresso del vano ipogeo. In pochi anni dal ritrovamento fortuito dell’immagine, crebbe in tutto il territorio della Terra d’Otranto la devozione verso la Madonna della Grottella. Occorreva quindi un luogo di culto più capiente e dignitoso.
Per questo motivo attorno al 1578 fu costruita per volontà di Mons. Cesare Bovio, Vescovo di Nardò, l’attuale chiesa. Infatti in un manoscritto del 1700 è possibile leggere “l’immagine fu venerata con molte particolari processioni dal clero, e crescendo tuttavia li miracoli, e la di lei fama, si rese in tal maniera celebre non solo in tutta la provincia, ma ancora nel Regno che da per tutto venivano genti a tributarla di doni” e ancora “coll’autorità, e pia munificenza di Monsignore Cesare Bovio (…) fu dalli fondamenti eretta la nuova Chiesa in quella forma, e magnificenza che hora si vede.”
La nuova fabbrica, costruita in piena Controriforma, segue molto dettagliatamente le nuove linee dettate nel 1577 da San Carlo Borromeo e presenti nel suo libro intitolato “Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae” ovvero le istruzioni per l’assetto di nuovi edifici di culto. Infatti la chiesa si caratterizza in pianta dalla croce latina a navata unica, con piccoli altari intitolati ad alcuni santi situati lateralmente al posto delle navate laterali. Ed ancora, per garantire un’ottima acustica durante le omelie e le predicazioni, la navata è coperta da una poderosa volta a botte così come prescrivevano le nuove regole. L’unica eccezione è data dal livello del pavimento della chiesa; San Carlo Borromeo stabiliva che le nuove costruzioni fossero elevate di almeno tre gradini al di sopra del piano stradale, la nostra chiesa invece è posta quasi un metro e mezzo al di sotto, e per accedervi dall’esterno, una volta varcata la soglia, è necessario scendere una decina di gradini. Probabilmente questa deroga è dovuta all’antico livello dell’ipogeo, ampliato nel friabile tufo in modo da far poggiare l’altare direttamente sull’antica area sacra e soprattutto per non compromettere la stabilità delle possenti mura perimetrali.
Molto più semplice e pulita la facciata dai lineamenti cinquecenteschi, composta da un profilo a capanna con al centro un ampio rosone decorato con putti, foglie e fiori, e un portale in pietra leccese sormontato da una piccola statua raffigurante la Madonna con Bambino.
All’interno della chiesa non mancano pregevoli testimonianze artistiche, sulla sinistra si susseguono gli altari intitolati a San Leonardo, San Francesco, Sant’Eligio e Sant’Antonio, mentre sulla destra sono presenti gli altari dedicati al Calvario e San Giuseppe Sposo; quest’ultimo attribuito con certezza allo scultore barocco Giuseppe Longo di Lecce. L’altare privilegiato è invece opera dello scultore Donato Chiarello, realizzato in pietra leccese con alcune parti in rilievo dorate e presenta al centro l’affresco ritrovato dal pastorello della leggenda.
Interamente affrescata è la parete dell’abside sinistra, in alto, nel catino, troviamo Santa Cecilia che suona e canta con gli angeli la gloria di Dio, immediatamente sotto vi è la scena del ritrovamento miracoloso, e infine nella parte inferiore vi sono gli affreschi di San Francesco che riceve le stimmate e accanto il mistero della Visitazione.
Come ci ricorda la strofa della pizzica, il luogo è caratterizzato da un particolare venticello, fresco e asciutto nel periodo estivo, costantemente in rotazione da tutti i quadranti. Questa peculiarità avviene grazie alle caratteristiche geografiche dell’area, posta infatti su un piccolo poggio a spartiacque tra la Valle della Cupa e la piana di Copertino. Per questo motivo l’area fu la sede prediletta per la villeggiatura estiva di nobili e prelati e nel 1579 il Vescovo di Nardò, Mons. Cesare Bovio vi aggiunse “un comodo, et opportuno Palazzo fabbricatovi (…) attaccato alla chiesa medesima per divertimento e soggiorno de’ Vescovi Suoi Successori”.
Il 23 Febbraio 1613 la chiesetta passò sotto la tutela dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali grazie all’intercessione di Padre Donato Caputo di Copertino e nel 1618 si diede vita ad una piccola comunità monastica dipendente dal Convento di San Francesco intra moenia. In quegli anni, durante i lavori di ingrandimento del complesso monastico, vi lavorò come manovale il quindicenne Giuseppe Desa che tra quelle pietre maturò l’idea di farsi frate. Qui visse per circa 17 anni prima da oblato, poi da novizio, in seguito da diacono e infine fu ordinato sacerdote a Poggiardo il 18 Marzo 1628. La devozione alla Madonna della Grottella era talmente intensa da portare il frate in estasi; davanti alla sacra immagine, che lui amava chiamare “la Mamma mia”, volava “come ape che coglie il nettare dai fiori”. La fama del frate che volava, aumentò la mole di devoti che accorrevano al santuario, ma insospettì anche la Santa Inquisizione e il 21 ottobre 1638 Padre Giuseppe dovette lasciare la sua amata Grottella per recarsi alla volta di Napoli per comparire dinnanzi al tribunale del Sant’Uffizio. Non tornò più nei suoi amati luoghi, e dopo un lungo peregrinare tra Roma, Assisi, Pietrarubbia e Fossombrone, approdò a Osimo dove morirà il 18 settembre 1663.
Nel 1753, in occasione della Beatificazione di Fra Giuseppe da Copertino, fu demolita l’abside destra e vi fu aggiunta la cappella in onore del novello Beato, dove qualche anno dopo fu posta sotto l’altare la cassa mortuaria, donata per l’occasione dai confratelli di Osimo.
Il lento declino del Santuario iniziò dapprima nel 1810 con le leggi napoleoniche; i frati continuarono in ogni caso ad officiare e a vivere in convento fino alla definitiva chiusura del 1867, causata dalla legge di soppressione degli ordini monastici. I beni mobili furono incamerati e venduti dal Regio Demanio, mentre tutto il complesso andò lentamente in rovina fino agli anni ’50 del Novecento, quando i Frati Minori Conventuali ritornarono in possesso del Santuario e si poterono apprestare i primi urgenti lavori di restauro.
Un discorso a parte merita la storia della Grottella durante la Seconda Guerra Mondiale. L’intero complesso fu requisito dalla Regia Aeronautica e trasformato in deposito di munizioni e ordigni a servizio dei vicini aeroporti di Galatina e di Leverano. A partire dal 1940, durante i bombardamenti da parte degli Alleati sui cieli salentini, molti copertinesi venivano a rifugiarsi in questo luogo nonostante la pericolosità e la sensibilità dell’area, probabile obiettivo dell’aviazione nemica.
Le fonti orali narrano di come gli Alleati non bombardarono volutamente il facile bersaglio del Santuario poiché molti piloti italoamericani erano devoti a San Giuseppe da Copertino, Santo protettore degli aviatori. Infatti, tra leggenda e realtà, molti contadini delle nostre campagne sostenevano di aver visto tra le lamiere di alcuni aerei abbattuti medagliette o santini raffiguranti il Santo, come altrettanto riferirono alcuni soldati americani dopo gli sbarchi del 1943.
Ed è così che il “santuario dei copertinesi” entrò a far parte della storia anche in questa occasione.
Bibliografia:
P. Bonaventura Popolizio, La Grottella, Santuario mariano del Salento, Copertino, Ed. Il Santo dei Voli, 1958.
F. Verdesca, M. Cazzato, A. Costantini, Guida di Copertino, Galatina, Congedo Editore, 1996.