Spazi e luce. Appunti sull’attività artistica di Natalino Tondo

Dilatazione riflessa, installazione (1980)
Dilatazione riflessa, installazione (1980)

 

 

di Lorenzo Madaro

 

Il Salento, si sa, ha spesso recepito, con più o meno tempismo, tendenze e scenari dell’arte contemporanea in tutto il secolo scorso, dal Futurismo al Novecento, dal Neorealismo all’Arte povera, all’Informale, dalla Poesia verbo-visiva all’Astrazione, senza dimenticare l’arte propriamente concettuale, e talvolta è stato tra i centri propulsori di alcune tendenze tramite l’attività di collettivi o laboratori d’avanguardia che, mediante attività editoriali e/o espositive, hanno condotto ricerche di ampio respiro (Gruppo Gramma, Movimento di Arte Genetica, Laboratorio di Poesia di Novoli…).

Tra gli operatori che nel corso degli anni sessanta e settanta, e almeno fino agli anni ottanta, hanno condotto una ricerca coerente, Natalino Tondo è probabilmente uno dei più qualificati, per il bagaglio della sua ricerca e per tutta un’attività espositiva – non scevra di ampi riscontri di critica (Lea Vergine, Franco Sossi…) – che l’ha visto protagonista di mostre in numerosi spazi espositivi in Puglia e nel resto d’Italia.

Nato nel 1938 a Salice Salentino, si forma presso l’Istituto d’arte e l’Accademia di Belle Arti di Lecce – dove si diploma con una tesi su Pollock –, città in cui ha sempre lavorato e in cui ha esordito con una mostra personale allestita nel 1964 negli spazi della Società Operaia di Mutuo Soccorso “E. Maccagnani” – allora vetrina per giovani promesse dell’arte contemporanea del territorio, visto che nello stesso anno ha ospitato la mostra inaugurale del collettivo artistico White and Club e che negli anni successivi ha visto gli esordi di molti giovani operatori –, che anticipa la sua prima partecipazione collettiva di rilievo, quella al “Maggio di Bari”, la mostra biennale allestita al Castello Svevo del capoluogo pugliese a cui aderisce con due opere: Racconto di un ricordo e Ricerca di un’immagine.

Tre anni dopo Tondo è pronto per ordinare una mostra personale negli spazi della galleria d’arte “3a” di Lecce, con una nota di Franco Sossi, tra i critici e gli storici meridionali più attivi in quegli anni, e tra i pochissimi in Puglia in grado di teorizzare linee di tendenza specifiche, lontano da una scrittura critica meramente legata alla cronaca. Tondo presenta delle opere composte dall’assemblaggio di elementi tridimensionali – porzioni di legno sottili di varie dimensioni affiancate tra loro – che si contendono in maniera ordinata la superficie, poi pervasa da monocrome strisce di pittura che movimentano l’opera creando delle tensioni strutturali. Sono opere che l’artista titola appunto Tensione strutturata, aggiungendo a ogni singolo lavoro un numero progressivo di riferimento, quasi a sottolineare la continuità di una riflessione che è anzitutto teorica. Sossi in occasione di questa mostra leccese nota un particolare fondamentale, ossia l’interesse dell’artista per l’architettura, che egli condensa sulle superfici bidimensionali delle proprie opere. Non a caso nella successiva produzione sarà evidente l’influsso concettuale di altre discipline. Oltre all’architettura, la musica e, soprattutto, la scienza che nelle sue opere raccontano la contemporaneità anzi, per dirla con lo stesso Sossi, la “civiltà d’oggi”, in una direzione “razionale” e “tecnologica” che lo avvicina alle ricerche condotte in quel torno di anni anche dai pugliesi, di nascita o d’adozione, Pietro Guida, Rino Di Coste, Boniello e Gelli (F. SOSSI, Luce, Spazio, Strutture, Taranto, 1967).

Negli anni settanta Tondo partecipa attivamente a dibattiti legati ai problemi progettuali dello spazio fisico e dello spazio dell’arte e analizza i nessi tra la realtà sensibile e l’infinito operando con tecniche e medium differenti, dalla serigrafia alla pittura, dalla fotografia all’installazione. Nella sua operatività concettualmente nomade non tralascia i temi legati all’antropologia – come in Il Sud: un progetto negato – e alla ‘misurazione’ del territorio (Rilevamenti Salentini). Propone poi riflessioni sulla filosofia e sulla letteratura, che talvolta si traducono in elencazioni di nomi e luoghi-simbolo. In Interazione plastica proposta agli inizi del 1970 negli spazi della galleria d’arte “Carolina” di Portici, accanto alle opere di Renato Barisani, Franco Gelli, Mario Persico e di altri nomi della scena artistica meridionale di quegli anni –, dimostra attenzione per l’utilizzo di materiali industriali e per lo sconfinamento della composizione dalla bidimensionalità del “quadro”, che a questo punto diventa installazione e invade, non solo concettualmente, lo spazio fisico.

È una rarefazione di forme e materiali (qui Tondo ha accantonato irrimediabilmente i suoi timidi esordi gestuali) – proposte sempre in porzioni semplificate – che nel decennio successivo esplodono per farsi cromie e segni ‘spruzzati’ con più strati di pittura su grandi fogli di carta o su grandi tele. Ancora una volta è lo spazio a interessare Natalino Tondo; questa volta però l’accezione scientifica del termine prevale e l’artista avvia un’indagine sulle galassie che nelle denominazioni ricordano quella sorta di catalogazione – quasi scientifica, appunto – delle opere degli anni ’60.

In Criptico, un volumetto stampato dalle Edizioni Milella nel 1984, attraverso le letture di Ilderosa Laudisa, Arcangelo Izzo e Roger Dadoun, è stata interpretata l’esperienza concepita dall’artista in una cripta basiliana salentina nel 1981 in cui è andata in scena un’affascinante visione “galattica”.

Su queste pagine Tondo ha pubblicato le opere di quegli anni: riporti fotografici modulari di grandi dimensioni che ribadiscono gli interessi per lo spazio stellare, e grandi squarci luminosi dipinti con pigmenti puri per affreschi su fogli di carta, come Oltre il nero (1981), in cui ritorna l’aspetto modulare – figlio della temperie artistica vissuta negli anni sessanta – accostato a sempre ‘controllate’ porzioni cromatiche. Giallo monocromo, rosso monocromo, blu monocromo. La stesura è ben meditata, quasi scientifica. Non c’è posto per il caso.

Ma gli anni ottanta per Tondo sono fondamentali anche per altre esperienze e per le partecipazioni a mostra collettive di ampio respiro. Con l’artista Nicola Sansò fonda il gruppo Intra che avrà un ruolo di rilievo all’interno di una delle mostre collettive più importanti ordinate nel Salento negli ultimi decenni, Dentro Fuori Luogo, allestita proprio nel 1980 a Casarano all’interno di Palazzo D’Elia grazie al contributo organizzativo di Arcangelo Izzo. La mostra è una sorta di resoconto delle esperienze in progress nel Salento artistico più vitale di questi anni, la prima dopo quel fondamentale regesto che fu Verifica ’76  a Lecce.

Non si tratta della tradizionale esposizione che propone opere a parete, bensì di un vasto contenitore di proposte multidisciplinari avanzate dagli operatori più attivi e aperti alle emergenze artistiche contemporanee. Da Francesco Saverio Dòdaro e al resto degli operatori del suo Gruppo di arte genetica – Ilderosa Laudisa propose una performance in pieno gusto ‘genetico’ e alcuni seminari sull’arte d’avanguardia –, alle esperienze concettuali e ‘mediterranee’ di Fernando De Filippi, alle installazioni ricche di riferimenti concettuali dello stesso Tondo. Quest’ultimo l’anno successivo è presente anche ad altre due mostre: Presenza e memoria. Sette artisti gli inizi degli anni ottanta, allestita nel Palazzo Ducale di San Cesario di Lecce da Antonio Del Guercio – allora docente presso l’università salentina – e Lucio Galante e a Ab Origine. Presenze pugliesi nell’arte contemporanea, ordinata presso lo Studio Carrieri di Martina Franca, una mostra che ha avuto il merito di documentare numerose ricerche dell’area pugliese.

Con il tempo le striature di colore si sono geometrizzate, intorno al 1986 Tondo inizia a realizzare grandi tele, in genere delle stesse dimensioni (1.70 x 2 m). Strisce verticali, orizzontali e diagonali, invadono la superficie dell’opera. S’intrecciano tra loro, sempre in maniera assolutamente ordinata, in un cammino complesso che non è solo astrazione fine a se stessa ma, ancora una volta, riflessione estrema sullo spazio, sull’essenzialità di un campo cromatico. È come se i nastri che caratterizzavano le installazioni degli anni sessanta-settanta, si fossero rimpadroniti dello spazio bidimensionale, rinunciando alla verifica ‘ambientale’ dello spazio fisico.

Il resto è storia recente. A parte qualche rara presenza in mostre collettive regionali, Tondo opera in maniera appartata, lontano dal ‘sistema dell’arte’. Accatastate le opere di grande impegno, rielabora e approfondisce teorie care al suo percorso intellettuale e personale e, servendosi del computer, scrive sintetiche frasi, appunta citazioni, ribadisce ‘a parole’ linee teoriche e operative. Niente di estetico, nessuna ricerca di carattere ‘formale’. Delle parole accostate non interessa l’aspetto visuale ma quello prettamente teorico, concettuale.

 

Già pubblicato sul blog Arte de ‘La Repubblica-Bari’ (http://arte-bari.blogautore.repubblica.it/2012/08/12/spazi-e-luce-appunti-sull%E2%80%99attivita-artistica-di-natalino-tondo/)

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