di Marcello Gaballo
Nella basilica cattedrale di Nardò da oltre due secoli si venera una bellissima statua dell’Addolorata, conservata in un’artistica teca lignea a base esagonale, protetta da vetri. Nella parte sottostante, fino a qualche anno fa, era collocata anche la statua del Cristo morto, poi definitivamente sistemata in un’urna in vetro, come si può vedere nella prima cappella della navata destra.
Le celebrazioni della Vergine Addolorata, o Desolata, come più facilmente ricorda il popolo neritino, sono utile occasione per soffermarci sull’opera artistica, molto interessante e particolare, la cui costante devozione è ancora molto sentita.
E’ una delle più belle statue processionali esistenti in città e ancora oggi, come accaduto per secoli, viene portata “a spalla” dalle devote nella processione del venerdì santo, seguendo quella del Figlio morto.
La figura ricalca l’iconografia tradizionale. Lo sguardo affranto è rivolto al cielo e i lineamenti felicemente resi dallo scultore conferiscono all’opera una suggestiva espressività, assolutamente consona alla tragicità dell’evento, per il quale si giustificano anche il pallore cutaneo e la posizione delle mani, in asse con il capo sollevato sul quale poggia una corona argentea.
A grandezza naturale, con struttura a manichino ligneo, richiama molto la tipologia della statuaria “da vestire” settecentesca napoletana. In mancanza di documenti che consentano di datarla e attribuirla, mi sembra possa ritenersi proprio di questo secolo, e della prima metà per essere più precisi, commissionata dal vescovo Antonio Sanfelice o dal suo successore Francesco Carafa, anch’esso napoletano, entrambi squisiti mecenati della chiesa neritina, che arricchirono di notevoli opere d’arte.
Il manichino, che non sembra aver mai subito restauri, è scolpito ed eseguito completamente a mano, forsein legno di noce, con patina e lucidatura a cera; la testa, le mani e i piedi, ottimamente rifiniti, sono dipinti con ottima resa dell’incarnato, anche perché rappresentano le sole parti visibili.
La peculiarità del simulacro, oltre che nell’interessante capigliatura castano chiara, è di essere provvisto di snodi in corrispondenza delle spalle e dei gomiti, probabilmente per consentire di indossare il luttuoso ma sontuoso abito, che si prevedeva dover essere rinnovato periodicamente a causa dell’usura del tempo. Le mani con parte dell’avambraccio si inseriscono nelle braccia grazie ad un perno in legno grezzo tornito.
La statua poggia su base lignea a foglia oro finemente intagliata, forse coeva con i quattro angeli in cartapesta dell’800, che reggono gli strumenti della Passione e che fanno corona con il simulacro mariano.
L’attuale parroco, Mons. Don Giuliano Santantonio, vicario episcopale dei Beni Culturali della diocesi di Nardò-Gallipoli, nonché direttore dell’omonimo ufficio, ha provveduto di recente a commissionare un nuovo abito per la statua, in sostituzione dell’altro, alquanto dozzinale, realizzato negli anni 50 del secolo scorso. Lo ha commissionato alle suore benedettine dell’abbazia di S. Maria di Rosano, fornendo un modello disegnato dallo stilista neritino Gianni Calignano, che nulla ha preteso per la sua prestazione. Ne è risultato un bel lavoro, con alcune differenze rispetto al precedente che valorizzano maggiormente il simulacro, esaltando la bellezza e l’eleganza della Signora in lutto.
Il corpetto con pieghe si sovrappone alla gonna e l’apertura è sulle spalle, per consentire di indossarlo, fermato da bottoni in sostituzione della pessima cerniera lampo del precedente. Il colletto è cucito sul corpetto solo sul davanti, per consentire di farlo passare al di sotto dei capelli fluenti sul petto della statua. L’ampio manto è fissato con spilli ad un fermacapelli in metallo, rivestito di stoffa e fissato in modo stabile attorno alla testa. La stoffa dell’abito e del manto è in seta di color nero.
Un prezioso ricamo in oro filato laminato, alto 7 cm, è presente su tutto il bordo del manto e della gonna, oltre che sulla cintura del corpetto, sul bordo delle maniche e delle sottomaniche; quello del colletto è alto 3,5 cm. I bordi sono rifiniti con una frangia dorata, simile al precedente abito.
Sembra originale il fazzoletto, graziosamente ricamato, che è fissato alle mani.
Per completezza occorre anche annotare che il basamento è stato restaurato nell’aprile 2011, come è stato anche per i quattro angeli, restaurati da Lidiana Miotto. Il tutto con le offerte dei fedeli, opportunamente sollecitati dal solerte parroco, che sta dimostrando grande attenzione nei confronti del patrimonio diocesano e di Nardò in particolare.