Fin da Teofrasto e Plinio è nota la caprificazione, vero prodigio della natura

NOMI DI PIANTE ISPIRATI DAL MONDO ANIMALE (1/6)

Lu brufìcu

 

di Armando Polito

Nome italiano: caprifico

nome scientifico: Ficus carica var. caprificus

nome della famiglia: Moraceae

 

Etimologie:  tralasciando per un attimo il nome dialettale dirò che caprifico è dal latino caprifìcu(m), composto da caper=capro1 e ficus=fico; passando al nome scientifico il primo componente (ficus) è di origine preindoeuropea (cfr. il greco sukon che, oltre al significato di fico, ha anche quello di vulva), per carica vedi sul sito il mio post Ficus si capisce, ma carica? del 16 gennaio u. s. http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2011/01/16/i-fichi-secchi-dei-botanici-greci-e-latini/; per caprificus vale quanto detto per la voce italiana; Moraceae è forma aggettivale dal latino morus=gelso.

Per quanto riguarda la voce dialettale Il Rohlfs si limita a registrare le varianti bbrufìcu (Alessano) e mbrufìcu (Vernole) con in coda il significato di caprifico. L’illustre studioso fa sempre così quando per lui la voce dialettale è una semplice deformazione di quella italiana, con la quale, dunque, avrebbe in comune l’etimologia. Se fosse vero bisognerebbe immaginare questa trafila: caprifico>prifìco (sincope di ca– di problematica spiegazione)>prufìco>profìco>brofìco> brufìcu. Credo che le cose stiano diversamente e per me la spia ne è proprio la variante mbrufìcu: se, infatti, le cose stessero come nella trafila prima supposta, non si capisce perché dopo la sincope di ca– la voce di Vernole avrebbe dovuto aggiungere in testa m– che, di regola, è ciò che rimane di un’originaria preposizione in, preposizione che semanticamente mal si legherebbe con fico del capro che è la diluizione concettuale di caprifico.

Una conferma sembra venire dal napoletano mprofecare registrato nel Vocabolario napoletano-toscano degli Accademici Filopatridi3 da cui è tratta la sottostante riproduzione:

Se è vero che mprofecare deriva dall’altra voce napoletana profico, probabilmente di origine napoletana sarà pure la voce di Veglie, ma con processo di formazione inverso: mentre mprofecàre è da profìco (origine denominale) mbrufìcu è da mprofecàre (origine deverbale). Ma, e ritorniamo al punto di partenza, siamo sicuri che il capostipite profìco derivi da caprifico per aferesi di ca-? Mi pongo la domanda non perché mi sarei aspettato prifìco; anche profìco, infatti, sarebbe plausibile partendo da caprofìco ampiamente attestato4. Me la pongo perché, secondo me, proficazione e profico potrebbero derivare dal latino medioevale, rispettivamente da proficatiòne(m) e proficIu(m)/proficuu(m) accusativi di proficatio e di proficIum/proficuum i cui lemmi riproduco così come compaiono  trattati nel Glossario del Du Cange5 (traduco solo le parti di interesse testuale):

(PROFICATIO, incremento, accrescimento, in francese melioration…..1067: Per quanto riguarda tutte queste residenze di campagna che sopra sono state indicate con tutti i loro incrementi derivanti tanto da acquisti quanto da miei contributi  dono tutta la mia parte. Vedi Proficuum)

(PROFICIUM, come in basso Proficum [in realtà proficuum]… Conformemente alle prove testimoniali esibite alla presenza dei vescovi Rotardo e Norberto o di Leone in persona testimoniarono che non c’era stato nessun profitto….Dove il re possa trattenere liberamente quegli (ostaggi) a suo vantaggio…)

(PROFICUUM, lucro, ricompensa….Sono in tutto duemila soldi che diedi a beneficio della Chiesa….Ad onore e profitto della Chiesa Regina….Grande profitto per le anime…Nessun profitto inoltre, nessun consiglio o aiuto essi forniranno…Pagherà la predetta somma con gli interessi…Percepisse ed avesse…ogni ricompensa e profitto che provenivano o potessero provenire dalla curia e dal commercio e dal mercato settimanale di detta città).

Conclusione: proficazione e profico potrebbero, a costo di darmi con la zappa sui piedi e vanificare la ragion d’essere, al meno per questa essenza, del titolo del gruppo, non avere nulla a che fare con il capro, vista che l’etimologia delle voci latine medioevali appena esaminate è dal verbo profìcere=giovare, composto da pro=a vantaggio di+fàcere=agire.

In alto in centro: Ramo di fico con siconi in fioritura (acerbi); in centro a sinistra femmina di Blastophaga, a destra il maschio; in basso da sinistra: sezione di fiore a stilo corto (caprifico), e sezione di fiore a stilo lungo (fico vero), cortina di fiori a stilo lungo del fico vero, che impediscono l’accesso ai sottostanti ovari; siconio acerbo sezionato con, in alto, l’ostiolo, la parete della cavità centrale è piena di piccoli fiori; con la successiva maturazione si formeranno i semi, ed il frutto, commestibile, si riempirà di succo gelatinoso e dolce (da Wikipedia)

Anche se la proposta etimologica appena avanzata è perfettamente coerente sul piano semantico e fonetico, è meglio a questo punto chiudere definitivamente con qualcosa di certo, cioè con la testimonianza della pratica antica della caprificazione lasciataci dal greco Teofrasto (IV°-III° secolo a. C.):

Teofrasto

“Perdono il frutto prima che maturi il mandorlo, il melo , il melograno, il pero e tra tutti soprattutto il fico e la palma, contro il quale fenomeno si cercano rimedi, tra cui anche la caprificazione6. Infatti i moscerini usciti dai frutti sospesi del caprifico rosicchiano e perforano l’estremità dei fichi. La diversa natura del luogo fa sì che in un posto ne cadano di più in un altro meno; per esempio, dicono che in Italia non ne cadano, perciò lì non praticano la caprificazione e neppure nei luoghi settentrionali e dal terreno magro come presso il Falico in agro di Megara, né in certe zone dell’agro di Corinto. È importante anche la situazione dei venti: quando prevale un vento da nord ne cadono più di quando prevale un vento da sud e ancor più se spirano piuttosto freddi e di frequente. E poi la stessa natura degli alberi: quelli precoci infatti tendono a cadere, i tardivi di meno come anche il fico della Laconia ed altri, per cui neppure qui è praticata la caprificazione. Dunque queste differenze risiedono nel tipo di luogo e di clima.  I moscerini poi escono dal frutto del caprifico, come s’è detto, e nascono dai granelli; dicono che ne è un segno il fatto che dopo che escono non ci sono granelli. Parecchi nell’uscire lasciano dentro un piede o un’ala…Sono lodati tra i caprifichi soprattutto i neri nati in luoghi sassosi perché hanno molti granelli. I fichi sottoposti a caprificazione si riconoscono per il fatto che diventano rossi, appaiono purpurei e vigorosi, gli altri bianchi e deboli. Si applica il caprifico a quelli che ne hanno bisogno dopo che è caduta la pioggia: infatti quando c’è molta polvere lì nascono abbondantantissimi e vigorosissimi i frutti del caprifico7”.

A Teofrasto fa eco tre secoli dopo Plinio (I° secolo d. C.), per quanto la sua veridicità scientifica, solo in alcuni dettagli però, oggi potrebbe indurre facilmente al sorriso: “Ammirevole è la premura di questo frutto, che solo tra tutti si affretta naturalmente alla maturazione. Caprifico si chiama il fico selvatico che non matura mai ma che offre agli altri ciò che esso non ha, poiché è naturale il trasferirsi delle cause e senza interruzione dalle cose putrefatte si genera qualcosa di altro. Dunque esso genera delle zanzare8: esse non avendo nutrimento nella madre per la putredine che c’è in lei volano verso il fico parente: pungendo ripetutamente i fichi, cioé aprendone la bocca a causa del loro pasto ingordo e così penetrando portano dentro con sé prima di tutto il sole e attraverso i fori praticati fanno entrar dentro l’aria che li fa maturare. Consumano subito l’umore latteo, cioè l’infanzia del frutto, il che avviene anche spontaneamente. Perciò nei ficheti si pianta il caprifico dove per lo più il vento spira a favore, affinché esso spinga le [zanzare] volanti verso i fichi. Perciò si è escogitato di prelevarle pure da un altro luogo e legate tra loro di applicarle ai fichi. Non c’é bisogno di fare questo in un suolo magro ed esposto a tramontana, poiché seccano da soli per la qualità del luogo e per le fessure che procurano lo stesso effetto delle zanzare (nonché dove c’è molta polvere, il che succede soprattutto  in prossimità di una via frequentata; infatti anche la polvere ha il potere di seccare e di assorbire il succo del latte): così la polvere e la caprificazione fanno in modo che i fichi non cadano una volta che si sia consumato l’umore che li rende più pesanti e fragili9”.

 

seconda parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/02/02/nomi-di-piante-ispirati-dal-mondo-animale/

terza parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/02/04/ancora-nomi-di-piante-ispirate-dal-mondo-animale/

quarta parte https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/08/07/la-pianta-dai-fiori-scariosi/

quinta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/02/08/tra-piante-salentine-topi-e-toponimi/

sesta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/02/10/la-fauna-al-servizio-della-flora-salentina/

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1 Questo spiega il titolo della serie in cui la trattazione di questa specie funge da apripista.

2  Un esempio per tutti:  Filippo Cavolini, Memoria per servire alla storia compiuta del fico e della proficazione relativamente al regno di Napoli in Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti, v. V°, Marelli, Milano, 1782, pagg. 219-249.

3 In Collezione di tuti i poemi in lingua napoletana, tomo XXVI, Porcelli, Napoli, 1789, pagg. 242-243.

4 Un esempio per tutti: Francesco Milizia, Principi di architettura civile, Remondini, Venezia,1785, tomo III, pag. 151: “Conviene più volte bagnare la muratura fatta, finché sia lavata di quella polvere, in cui facilmente si genererebbero dannosi caprofichi”. Questa voce volgare è confermata pure dal latino tardo (con le ambiguità delle varianti che saranno riportate) e da quello medioevale: nel trattato di veterinaria Mulomedicina di Vegezio (V° secolo d. C.) nell’edizione di Eugenio Oder uscita a Lipsia per i tipi di Teubner nel 1801 compaiono le locuzioni caprifici folia (158, pag. 49), caprofici folia (414, pag. 127), folia caprofici (486, pag. 135), caprofici folia (626, pag. 200), caprefici folia (657, pag. 208), ex caprofici radice (920, pag. 276), caprofici de radice (921, pag. 276), lactem caprofici (998, pag. 297); come toponimo, poi, compare nel Chronicon Casauriense di Giovanni Berardo, (dalle origini fino al 1182 anno, com’è detto nel titolo, in cui fiorì il suo autore, ) in L. A. Muratori, Rerum italicarum scriptores, tomo II, parte II, Milano, Società palatina, 1726, pag. 862) (anno 1056): In loco qui dicitur Caprofica.

5 Glossarium mediae et infimae Latinitatis, L. Favre, Niort, 1883, pag. 525.

6 In greco erinasmòs, dal verbo erinàzo, a sua volta da erinàs=fico selvatico, e questo, con lo stesso significato, da erineòs, il quale è dall’aggettivo erìneos=di lana, e questo da èrion=lana. Escluso il riferimento a qualche dettaglio della pianta io propenderei a collegare il concetto della lana con quello delle capre e quest’ultimo sarebbe l’elemento che congiunge l’erinàs greco col caprifìcus latino.

7 Historia plantarum, II, 8, 8.

8 A parte il dettaglio della vita animale generata da una vegetale (o animale) in putrefazione (son dovuti trascorrere esattamente 1589 anni prima che Francesco Redi col suo Esperienze intorno alla generazione degl’insetti uscito nel 1668 ci facesse sapere come veramente stanno le cose), le “zanzare” di cui parla Plinio dal 1758 hanno un nome: Blastophaga psenes L. (formazione latina moderna dal greco: blastòs=germoglio; faghèo=mangiare; psenes=moscerini).  Va  detto pure che la caprificazione descritta da Plinio venne considerata una favoletta pure essa fino al XVII° secolo, quando il botanico francese Tournefourt scoprì che nelle isole greche la caprificazione veniva praticata esattamente come duemila anni prima e che alcune varietà (per esempio il fico di Smirne) diventavano commestibili solo grazie all’intervento della Blastophaga psenes. Ho definito il nome scientifico dell’insetto formazione latina moderna, a tal punto moderna che non posso fare a meno di far notare l’imperfetta concordanza tra le due componenti che sono la prima singolare, la seconda plurale, per cui la forma corretta sarebbe stata, tutt’al più, Blastophaga psen. Quest’ultima voce compare al plurale (psenes) nella commedia Gli uccelli (v. 590) di Aristofane (VI° secolo a. C.): “Poi le zanzare e i moscerini non divoreranno sempre i fichi”.

9 Naturalis historia, XV, 21: Admirabilis est pomi huiusce festinatio, unius in cunctis, ad maturitatem properantis naturae. Caprificus vocatur e silvestri genere ficus numquam maturescens, sed quod ipsa non habet, aliis tribuens; quoniam est naturalis causarum transitus, atque e putrescentibus identidem generatur aliquid. Erco culices parit: hi fraudati alimento in matre, putri eius tabe, ad cognatam volant morsusque ficorum crebro, hoc est avidiore pastu aperientes ora earum atque ita penetrantes, intus solem primo secum inducunt, cerealesque auras immittunt foribus adapertis. Mox lacteum humorem, hoc est infantiam pomi, absumunt, quod fit et sponte. Ideoque ficetis caprificus praemittitur ad rationem venti, ut flatus evolantes in ficos ferat. Inde repertum ut illatae quoque aliunde et inter se colligatae inlicerentur fico: quod in macro solo et Aquilonio non desideratur: quoniam sponte arescunt loci situ rimisque eadem, quae culicum opera, causa perficit (necnon ubi multus pulvis, quod evenit maxima frequenti via adposita: namque et pulveri vis siccandi succumque lactis absorbendi): quae ratio, pulvere et caprificatione hoc quoque prestat, ne decidant absumpto humore tenero et cum quadam fragilitate ponderoso.

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8 Commenti a Fin da Teofrasto e Plinio è nota la caprificazione, vero prodigio della natura

  1. Caro Armando, credo che anche il più distratto dei lettori abbia compreso che soffri di una certa allergia ai complimenti. Pertanto, non te ne farò nemmeno uno! Tuttavia, sperando che non ti venga un leggero ma sopportabile prurito allergico, concedimi almeno di esprimere un grazie per le tante conoscenze e scoperte che, con i tuoi rigorosi e pazienti studi, con costanza ci regali!

  2. Caro Pier Paolo, da poco più di mezzora sono preda, comunque, di un irrefrenabile prurito. Potresti chiedere ad Antonio Bruno se mi può dare sollievo una bella frizione col nostro olio di oliva? Ma, attenzione!, chiediglielo con nonchalance, senza alcun riferimento alla sua preparazione specifica; non vorrei che pure lui si trovasse d’improvviso nella mia situazione. Non ti chiedo, poi, se da un punto di vista filosofico il mio ragionamento fila: cominceresti a grattarti pure tu e , poi, a proseguire, non vorrei che oggi su Spigolature salentine si sviluppasse un forsennato gratta gratta (e non vinci…).

    • Armando continua così! l’antistaminico lo procuro io! Come non posso condividere il plauso di Pierpaolo, a costo di aumentarti il prurito, su questo superbo contributo che ci hai offerto oggi?

  3. grazie armà, davvero grazie per le tue ricerche sempre imprevedibili ed interessanti. a proposito “ti lu mbruficu” avrei altra supposizione che riguarda il termine dialettale… comunque ne parleremo quando avremo occasione di vederci.

  4. Azzarderei una variante alla conclusione del professor Polito in merito al termine dialettale: profico. Pro, giustamente, a vantaggio e fico potrebbe significare proprio l’albero. Ovvero a vantaggio del fico.

    • Azzardare non guasta. Tuttavia, se fosse come ipotizza lei, essendo nel nostro dialetto “fica” tanto l’albero che il frutto, avremmo dovuto avere “bbrufica”. Proprio il maschile “bbruficu” tradisce l’abbreviazione da “caprifico”. Oltretutto, il “pro” messo in campo da lei ha dato, sempre nel nostro dialetto, “pru” (“pruista”, “prumittire”, etc. etc.).

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