Le Tavole di San Giuseppe: una tradizione ancora viva a Minervino di Lecce
di Mino Presicce e Loredana Cocola De Matteis
Nella tradizione religiosa San Giuseppe sposo di Maria, è il santo tutelare della casa e della famiglia.
Un’antica tradizione salentina vuole che il 19 marzo le famiglie benestanti facessero il “banchetto di San Giuseppe” (la taula ti San Giseppu) al quale venivano invitate le famiglie bisognose.
Con questa usanza il popolo suscitava e manteneva nel cuore degli uomini il dovere della carità e del rispetto per gli umili.
Nel corso degli anni in alcuni paesi, forse perché è cambiato il legame sociale e il rapporto con gli altri, questa tradizione è andata un po’ scomparendo; in altri piccoli centri, invece, questa usanza è ancora viva e le famiglie devote a san Giuseppe la preparano tutti gli anni in segno di ringraziamento delle grazie ricevute.
La signora Tetta, una dolcissima nonnina di Minervino di Lecce, la prepara da oltre 55 anni per ringraziare il santo della guarigione del figlio.
Il giorno della vigilia nella sua casa si preparano tutte le pietanze che imbandiscono il banchetto e che rimangono esposte fino al giorno della festa. I commensali devono essere in numero minimo di tre (San Giuseppe, Maria e Gesù) fino ad un massimo di tredici persone e comunque sempre in numero dispari, così come lo sono anche le pietanze servite.
Dopo una particolare cerimonia, le persone chiamate ad interpretare i “santi” cui è dedicata la tavolata, iniziano a mangiare. E’ San Giuseppe che apre il banchetto e che decide fino a quando mangiano i “santi”: battendo con il suo bastone scandisce i tempi, quando si inizia a mangiare un piatto e quando si finisce. Dopodiché tutto quello che resta viene distribuito alle persone che sono presenti.
Tradizione vuole che la padrona di casa non possa mettere niente da parte, deve dare tutto ciò che ha preparato, altrimenti il santo lo rende immangiabile, si rompono i piatti e il cibo va a male.
La signora Tetta ogni anno per la sua tavolata prepara: il pane (1), l’ope (2), la massa cioè tagliolini finissimi fatti in casa con cavolo verde e spolverati con pangrattato fritto (3), i dolci (4), le pettule con il cavolfiore (5), lo stoccafisso (6), i bucatini col miele (7), i ceci (8), li purciddruzzi (9) e, per concludere il pranzo, le arance (simbolo di buon auspicio) e il finocchio.
Tutto il rituale è pieno di significati: per esempio, le decorazioni sui pezzi di pane non hanno solo una funzione estetica. Ogni decoro è associato ad un santo; il pane con il bastone è per San Giuseppe, quello con tre sfere è per Gesù.
La ricorrenza di San Giuseppe apriva le feste di primavera, stagione di nuovi amori e serenate al chiar di luna. Al santo, infatti, ci si rivolgeva per la protezione delle fanciulle da marito. Un proverbio recitava: “San Giuseppe iùta li zzite, ca li maritate si iùtanu sole”. (San Giuseppe aiuta le ragazze da marito; le maritate si aiutano da sole).
dalla Svizzera da un Minervinese sono molto devoto a alle nostre tradizioni, molto belle.
saluti a Minervino
Antonio
Sono contenta, di vedere la tavola di San Giuseppe di mia nonna e l’articolo dedicato a tale tradizione……..è veramente la tavola che rispetta fino in fondo tale tradizione perchè è “tutta cotta”. Tra le pietanze elencate mancano anche i lampascioni (detti pampasciuni) e le rape. Sono 9 pietanze, il pane non è considerato pietanza, e il dolce con i porciddruzzi vanno insieme………
GRAZIE ,è una emozione ricordare ciò che mia nonna ha fatto fino a quando è riuscita, ora purtroppo è allettata e ci mancano quei momenti vissuti insieme. Tutta la famiglia, nipoti e cugini lavoravano per la realizzazione della Tavola di San Giuseppe………………..questa FOTO è la giusta immagine…..Baci NONNA TETTA, da tua nipote Simona e da tutti gli altri