di Cristina Manzo
Monasterium sine libris est sicut civitas sine opibus, castrum sine numeris, coquina sine suppellectili, mensa sine cibis, hortus sine herbis, pratum sine floribus, arbor sine foliis…
(Un monastero privo di libri è come una città senza lavoro, un accampamento senza esercito, una cucina senza suppellettili, una mensa senza cibi, un giardino senza erbe, un prato senza fiori, un albero senza foglie…)
L’Abate Abbone1
“In omnibus requiem quaesivi, et nusquam inveni nisi in angulo cum libro.”
Cercai riposo ovunque, e in nessun luogo lo trovai se non in un angolo con un libro.
Tommaso da Kempis2
Il Salento, conosciuto in passato come Terra d’Otranto, ha rappresentato per millenni un’ambita meta di conquista da parte di numerose civiltà. Tutta la penisola salentina, anticamente chiamata Messapia, ovvero terra tra due mari, fu abitata prima di tutto dai Messapi. La dodecapoli messapica, (le città da loro fondate) era costituita da: Lecce, Otranto, Brindisi, Gallipoli, Alezio, Ugento, Ceglie Messapica, Oria, Vereto, Cavallino, Muro Leccese, Vaste, Soleto, Manduria, Egnazia, Roca Vecchia e Nardò. Nel terzo secolo a. C. si passò al dominio dei Romani, poi fu la volta della lunga contesa tra Longobardi e Bizantini che con la loro religione, i loro costumi e la loro lingua avvicinarono molto il Salento a questa nuova cultura greco-orientale. In questo periodo l’impero d’Oriente diede il via a una forte immigrazione dei greci nei territori salentini, anche per assicurarsi un valido appoggio nella guerra ai Longobardi. Furono moltissimi i religiosi che in conseguenza della lotta all’iconoclastia voluta da Leone III Isaurico decisero di trasferirsi nella penisola meridionale, bagnata dal mare Adriatico, così vi sorsero tantissime abbazie. La Terra d’Otranto si ritrovò a partire dal VI secolo profondamente legata all’oriente e a Bisanzio. In questo periodo, giunsero nel Salento, i monaci basiliani, che furono molto importanti sia dal punto di vista religioso, sia dal punto di vista economico-sociale.
Il monachesimo (dal greco monachos, persona solitaria) fu forse la più importante fase costruttiva di una nuova società, che si possa riconoscere, tra le tante fasi distruttive, delle invasioni subite. C’erano tanti tipi di monaci, gli eremiti e gli anacoreti, che vivevano completamente isolati nelle zone montuose o nei deserti, e c’erano i cenobi, che vivevano nei monasteri sotto la guida di un abate. Il monachesimo della nascita si fonda sulla libertà individuale del monaco, che sceglie di sua volontà una vita monastica fatta di ritiro, una vita isolata, con le ore della giornata divise tra preghiera e lavoro ( la famosa regola benedettina ora et labora).
S. Antonio Abate, nato nel 251 circa, nel deserto della Tebaide, è considerato il padre del monachesimo e il primo ad averlo fatto conoscere in Italia, durante un suo viaggio a Roma, nel IV secolo. Il monastero diventa un nuovo tipo di società basata sul concetto cristiano della solidarietà. I monaci costruivano il loro monastero al centro di una radura che poi coltivavano per la produzione di cibo ed erbe medicinali, e tutto quanto era utile al loro fabbisogno. Essi si industriavano per la loro esistenza, divenendo agricoltori, fabbri, artigiani e grandi oratori. Ma soprattutto, abili e preparati insegnanti. Fu S. Basilio, che nella città di Otranto fu anche un valente innografo (compositore di inni poetici e musicali religiosi) a introdurre la novità delle scuole, costruite accanto ai monasteri, dove i monaci potevano insegnare. In un contesto societario di grande ignoranza, infatti, loro sempre dediti alle letture di testi antichi, diverranno gli unici grandi mediatori di cultura. Avevano delle biblioteche con manoscritti e testi preziosi, e si dedicavano alla trascrizione e spesso alle illustrazioni di importanti opere antiche, dei padri filosofi.
Nel canale di Otranto si mescolano le acque del mar Adriatico e del mar Jonio, per poi essere immesse nel Mediterraneo. Nella terra hydruntina si ha la convergenza delle culture, la pluralità delle lingue, la convivenza di antichi popoli. Essa è il punto d’incontro nella mediazione tra Oriente e Occidente. Nella prima metà del IV secolo l’imperatore Costantino fece realizzare la via Roma-Otranto-Costantinopoli facendo di Otranto una vera città cosmopolita. Il Marciano, a proposito del monachesimo in Otranto, scrive: “Quivi, poco infra terra, si vede sopra la schiena del monte Idro l’antico monastero di S. Nicola di Casole, edificato nei tempi di Teodoro imperatore.”3. In Oriente l’ordine basiliano ebbe subito grande sviluppo; in Occidente fu dapprima trapiantato in Sicilia e Puglia, poi in Calabria e poi nel resto d’Europa. Molto rilevanti nella regola basiliana, sono il lavoro manuale, che rafforza il corpo, la preghiera, che rinfranca lo spirito, e lo studio della Sacra Scrittura, che illumina la mente. L’intenzione di S. Basilio era quella di conferire una dimensione familiare alle strutture monacali, e questo fu uno dei motivi che determinò la scelta di non isolarsi, come gli anacoreti, ma di scegliere luoghi silenziosi e solitari, che fossero però vicini ai centri abitati. In base alla regola dettata da San Basilio, la giornata dei suoi seguaci, indipendentemente dallo specifico ordine di appartenenza, dovrebbe essere scandita dalla preghiera in comune recitata sette volte al giorno: da mezzanotte all’alba, poi alle ore 9.00, alle 12.00 e alle 15.00, quindi alla “Terza”, “Sesta” e “Nona”; al tramonto del giorno “l’azione di grazia dei lucernari”, caratterizzata dall’inno “Gioiosa luce”, tipico nella Chiesa bizantina. Poi all’ora di andare a letto Compieta, con il Salmo 90. Non è fissato un tempo di meditazione. L’altra occupazione rilevante del monaco basiliano è, come già accennato, il lavoro manuale artigianale spesso consistente in: tessitura; calzoleria; muratura; falegnameria; agricoltura. Quello dei basiliani è uno stile frugale con una sostanziale semplicità nell’abbigliamento, costituito spesso da una semplice tunica. Tuttavia, quando i monaci basiliani cominciarono ad affluire sulle coste salentine in gran numero durante la persecuzione di Leone Isaurico III, furono costretti a nascondersi in luoghi solitari come grotte, foreste e sulle pendici delle colline, che divennero luogo d’alloggio e di preghiera. A volte, quando non potevano adattare grotte naturali, scavavano nella roccia più friabile, dove creavano dei rifugi simili a pozzi. Questi rifugi naturali, adattati a dimore, furono chiamati “laure”. Qui i monaci continuarono a praticare il loro culto. All’ingresso delle laure c’era sempre un’immagine della Madonna detta “Vergine Portinaia” destinata, secondo i monaci, a custodire il rifugio. Le celle erano piccole grotte scavate nella roccia più friabile, nelle quali si entrava dall’alto attraverso una cavità; all’interno c’era il “giacitoio”, dove riposavano i monaci, e la cripta con parete affrescata destinata alla celebrazione della messa. I paesi intorno a Leuca, facenti parte dell’impero bizantino, furono i primi ad ospitare i monaci basiliani perché erano i primi ad essere avvistati dalle navi che li portavano verso la penisola; della loro presenza sono rimasti i segni, anche se sono passati dieci secoli. Terminate la persecuzione iconoclasta nell’843, i monaci abbandonarono a mano a mano i loro rifugi e innalzarono, nei paesi più importanti, chiese e monasteri, che divennero ben presto importanti centri culturali e sociali: si occupavano dell’istruzione dei fanciulli e degli adulti, insegnavano le tecniche della pesca e dell’agricoltura, dissodavano la terra, rendevano fertili le paludi e le affidavano alla gente del posto per coltivarle. Importarono varie piantagioni nel Salento: la quercia Vallonea, dalle grosse ghiande dalle quali ricavava la farina per il pane, il gelso, il carrubo, il pino d’Aleppo e incrementarono la coltura dell’olivo. Grazie all’opera costante dei monaci l’agricoltura risorse.
Giuseppe Gabrieli, studioso del periodo bizantino, nel 1936 classificava così le costruzioni basiliane in Terra d’Otranto: Cripte- celle eremitiche; Cripte- cappelle; Cripte- Chiesa; Cripte- basiliche; Cripte-pozzi; Cripte con laura o monacali, costituite da alcune celle e da una chiesa.4 Laura in siriaco vuol dire strada costellata di grotte.
Ad Otranto sembra che le grotte di S Nicola, S. Angelo e S. Giovanni facciano parte di altrettante laure e che esse siano le grotte-chiese dei monaci, dove il sabato sera e la domenica si riunivano per i servigi liturgici o il pranzo in comune. Inserite in un ambiente ricco di piccole grotte scavate nella roccia tufacea, poste quasi al centro di villaggi rupestri, si affacciano su strada e servivano certamente per il culto, mentre le piccole grotte venivano usate dai monaci come luogo di preghera e di riposo durante la settimana. Queste infatti sono prive di ogni conforto umano; molto indicate per esercitare la virtù della penitenza e praticare l’ascesi. Sembra (a chi conosce la zona) di essere come sul monte Athos o come in Nitria: esse sono la Tebaide di Otranto.
Per quanto riguarda il monastero di S. Nicola di Casole, di cui sopra, citato dal Marciano, posto pochi chilometri a sud di Otranto, rappresenta uno dei luoghi più importanti del Salento, a livello storico, artistico e culturale, di esso si parla più volte anche nel film Il nome della rosa, tratto dal romanzo omonimo di Umberto Eco. L’abbazia rappresenta il momento più alto della diffusione nel Salento del monachesimo basiliano. Alcuni studiosi ritengono che il monastero dedicato a San Nicola sia stato il più ricco dell’Europa di allora (il suo massimo splendore lo raggiunse tra l’XI ed il XIII secolo) così come la sua biblioteca la più grande e fornita di testi del Mondo dell’epoca. Tradizione vuole che il monastero fosse fondato nel 1098 da Boemondo I d’Antiochia. Sul luogo esistevano altari, cripte e casupole dove i monaci andavano a pregare (casole, in dialetto salentino, da qui il nome S. Nicola di Casole). Successivamente Boemondo lo donò ad un gruppo di basiliani guidati da Giuseppe, che fu primo abate del futuro monastero. Esso ospitò un circolo di poeti in lingua greca, guidato dall’abate Nettario, a cui appartennero, oltre allo stesso Nettario, Giorgio di Gallipoli, Giovanni Grasso e Nicola di Otranto.
Il monastero di Casole è stato dal secolo XI centro propulsore di cultura e di civiltà, anticipando e poi affiancando la famosa scuola siciliana di Federico II da cui ha avuto inizio, nel ‘200, quel processo linguistico da cui sarebbe derivata la lingua italiana. Infatti, qui, tra gli scogli più ad est d’Italia, nascono alcuni tra i primi componimenti in poesia della letteratura nazionale. Nella Terra d’Otranto, nell’Età oscura, la lingua greca, quella parlata oltremare, nelle terre di Bisanzio, è la lingua con la quale si esprime la maggior parte della popolazione e con la quale si esprime pure la comunità italo-greca dei monaci basiliani che ha dato vita all’abbazia di Casole. Il Circolo Poetico di Casole, che si poneva sotto l’ala protettrice di Federico II, e che aveva come guida l’abate Nettario, si proponeva di trattare sia temi religiosi sia temi profani. Esso promosse un vero e proprio umanesimo italo-bizantino in Terra d’Otranto che determinò la sopravvivenza della lingua greca come lingua letteraria del Salento in un’età in cui invece a Palermo, alla corte del grande Federico II, l’italiano volgare prevaleva sulle lingue classiche. Nella penisola salentina, dunque, che stava con Bisanzio, vi era arte e cultura mentre il centro-nord d’Italia era attraversato dalle invasioni barbariche e segnato dalle lotte intestine tra guelfi e ghibellini e dalle conseguenze di un marcato analfabetismo6. “Fu proprio l’abate Nettario, che in modo preminente, cercò di fare della sua abazia un ponte, tra la Roma dei pontefici e la Roma di Basileus”7. Il connubio oriente e occidente, è completo: in Otranto e nella sua terra, codici, liturgia e arte hanno un volto ben definito. Indica che tra il Salento e la Grecia non ci fu rottura ma complementarietà, unione, convergenza, e creò l’umanesimo salentino8.
1 Umberto Eco, Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 2004
2 idem
3 Gianfreda G. Il monachesimo italo greco in Otranto, Edizioni Del Grifo, Lecce, 1994, p.31, cfr in Marciano G. Descrizione origine e successi della provincia di Otranto, I ediz., Napoli, 1855, p.375
4 it.wikipedia.org
5 Gianfreda G. Il monachesimo italo greco in Otranto, Edizioni Del Grifo, Lecce, 1994, p. 75
6www.otrantopoint.com/monastero-di-san-nicola-di-casole
7 Gianfreda G. Il monachesimo italo greco in Otranto, Edizioni Del Grifo, Lecce, 1994, p. 159
8 cfr Gianfreda G. Otranto e il primato dell’umanesimo occidentale, II ediz., Del Grifo, Lecce,1994
Articolo molto bello.