di Armando Polito
Un invisibile raggio apre la portiera, ti accoglie un sedile anatomo-ergonomico già, a seconda della stagione, riscaldato o refrigerato al punto giusto, un semplice -Possiamo andare- e all’istante si sente il rombo del motore mentre la portiera si chiude da sola; poi non rimane che scegliere: impostare il percorso sul navigatore di ventesima generazione e lasciar fare tutto (anche l’esposizione delle corna telescopiche dopo un sorpasso non agevolato) al pilota automatico, oppure impartire vocalmente volta per volta l’ordine relativo alla manovra da effettuare (anche l’imbrattamento del pedone antipatico mediante adeguata pozzanghera naturale o creata lì per lì)…
Appena letta (non ricordo più dove e chiudo scusa al lettore se, una volta tanto, non sono in grado di citare la fonte …) la presentazione di questo modello di auto di imminente uscita, preso dall’entusiasmo e dalla mia totale incompetenza ed incoscienza finanziaria (vi sembro più un politico o un economista dei nostri tempi? …), mi sono precipitato a prenotare un esemplare e, approfittando del fatto che nella presentazione si accennava pure alla possibilità di essere accolto all’entrata da un messaggio gratificante preimpostabile, ho allegato alla prenotazione il testo: Armando mio, sei bellissimo! A sua inequivocabile conferma, poi, ho allegato (l’Italia è il paese degli allagamenti e degli allegamenti) una mia foto a mezzo busto (quella intera avrebbe rischiato di ipnotizzare per qualche ora il personale femminile, mi auguro solo quello …, che ne fosse venuto a contatto). Dopo pochi giorni la casa produttrice mi ha fatto recapitare il seguente messaggio:
Egregio signore, siamo felici di poter evadere il Suo ordine. Tuttavia si è verificato un piccolo inconveniente al momento dell’inserimento del messaggio di saluto da Lei trasmessoci. Come già sa, il modello scelto è superaccessoriato e, tra l’altro, dispone anche di una macchina della verità incorporata, dispositivo che ha rilevato una incongruenza, certamente presunta, tra il messaggio e la foto. Le simulazioni fatte ci permettono di affermare che tutto sarà facilmente risolto sostituendo il messaggio originale con : ”Armando mio, se fossi stato un cesso, forse il tuo cognome sarebbe stato Richard-Ginori”. A garanzia di quanto appena affermato La informiamo che questo messaggio è il frutto del lavoro appassionato della nostra apposita sezione della quale fanno parte ben cinque premi Nobel. In attesa della graditissima conferma del Suo ordine Le inviamo il nostro più cordiale saluto.
Superfluo dire che non ho confermato l’ordine, anzi non ho neanche risposto. E poi si meravigliano pure che uno diventa nostalgico e passatista!
Come si fa a non riconoscere che ben altri tempi erano quelli in cui gli unici cavalli conosciuti erano gli animali che ancora non avevano prestato il loro nome al vapore e nessuno poteva immaginare che HP (horse-power) sarebbe stato sostituito sulla carta di circolazione con KW e che il doping avrebbe coinvolto anche questo splendido animale e suscitato apprensioni di natura alimentare!
Al di là di altre eventuali espressioni individuali che potevano legare il proprietario alla bestia, nel territorio neretino per impartire gli ordini era sufficiente pronunziare:
1) una a prolungata (aaa!) o iterata (a! a!) preceduta, o contestuale ad esso, da un movimento delle redini fatte battere lievemente dal conducente sul dorso dell’animale; in alternativa a questo gesto poteva essere utilizzato uno schiocco di frusta.
2) una i prolungata (iii!) mentre una leggera tensione delle redini agendo sul morso induceva il cavallo a fermarsi.
3) un èrdia! accompagnato da uno strattone più forti delle redini era l’ordine per la “retromarcia”.
Quanto all’etimologia delle tre voci, èrdia! escluderebbe per aaa! e per iii! un’origine legata ad una valenza convenzionalmente distintiva del puro fonema vocalico: infatti, se così fosse stato, si sarebbe potuto benissimo sostituire èrdia! con eee!, con ooo! o con uuu! che, oltretutto, sarebbero stati in linea con l’esigenza teorica della secchezza o brevità fonetica dell’ordine.
Credo che le cose siano andate secondo un processo più razionale e sentimentalmente umano; in parole povere: dietro queste tre voci, al di là della loro applicazione particolare, si nasconderebbero parole di uso corrente nella vita quotidiana e precisamente:
1) per aaa! non è difficile supporre che il grido di incitamento in questione sia per aferesi da va!.
2) per iii!, tenendo conto che nel Leccese (Poggiardo) era in uso isci, nel Brindisino (Carovigno, Ceglie Messapica, Cisternino, Erchie e Ostuni) e nel Tarantino (Massafra e Taranto) isc, si può agevolmente ipotizzare che tutte le voci siano dal latino hisce, seconda persona singolare dell’imperativo presente di hìscere, non quello classico che significa aprir bocca ma quello medioevale (Glossario del Du Cange, tomo IV, pag. 209) sinonimo di cessare (nel nostro caso sarebbe sottinteso di avanzare).
3) èrdia! molto probabilmente è deformazione di addhrètu=indietro (dal latino ad+retro). La terminazione in -a mi fa pensare ad un incrocio con la variante arrèta usata nel Tarantino e nel Brindisino nel significato di nuovo; se è così èrdia farebbe parte di quelle voci di probabile origine brindisina (per via della loro terminazione, questa volta in -i) indicanti mestiere: trainieri, camerieri, etc. o con valore strumentale: candilièri, ‘ncensièri, etc.
Chissà se la macchina della verità non è stata nel frattempo eliminata dalla dotazione di quel bel modello! Quasi quasi telefono, ma non a nome mio …
Gradita sorpresa nel primo mattino imbattersi nell’immagine simbolo della propria infanzia, andando qui e là in Terra d’Otranto, fra gli articoli della Fondazione di Terra d’Otranto, nientemeno che nella “tenuta” o, se preferite, “riserva” degli articoli di Armando Polito!
L’emozione di rivedere i propri cari su questo sito, si stempera nel piacere di tanta ironia e torna a pulsare nel leggere la ricostruzione, fedele e puntigliosa, dei comandi di un tempo che avevo scordato e ora ritornano a risuonare nelle orecchie.
Mi par di ricordare che gli stessi comandi eran soggetti a toni di voce diversi a seconda della contingenza del viaggio, mi par di ricordare un “na na na” quale incitamento all’obbedienza dell’animale.
Immensamente grata all’Autore per questo ricordo.
verissimo, cara Wilma! con questo bellissimo articolo oggi Armando ci ha fatto rivivere momenti che nella mia mente ormai stavano per cancellarsi definitivamente. Quei comandi verbali li ho ascoltati tutti da bambino ed il riviverli porta anche me, ancora una volta, a ringraziare con i tanti nostri lettori il buon Armando
Per mimetizzare, anzitutto a me stesso, l’orgoglio che queste parole suscitano (se non lo facessi potrei montarmi la testa …), dopo aver ringraziato, egoisticamente e non egotisticamente, entrambi, ma soprattutto la signora Wilma per aver fatto affiorare anche alla mia memoria quella voce che per tre giorni invano avevo cercato di riesumare, premesso che (questa formula mi serve per frenare la lacrimuccia …) la scienza (parlo di quella in genere ed autentica, non della mia, che a Nardò definiamo pecorina …) può avere anche la funzione e il merito di allentare la stretta nostalgica del sentimento con un’apparentemente spietata e cinica razionalità, approfitto nel mio piccolo per ricordare che “na” molto probabilmente deriva dal greco νά (leggi na)=sì, certo.
Alla fine, però, la suggestiva dolcezza della memoria prende, fortunatamente, il sopravvento: così, mi pare di ricordare, sia pur molto vagamente, che la pronuncia (o, meglio, il “tono di voce”) dolcemente reiterata di na contrastava con il tono secco, brusco, sferzante degli altri ordini, quasi a sancire un momento di tenera comprensione, non voglio dire di complicità, tra l’uomo e la bestia, come si dovrebbe fare con un bambino e, in fondo, con qualsiasi altro essere umano e non, di qualsiasi età, per incoraggiarlo e dargli fiducia con un “sì!” o con un “bravo!”; solo che espressioni del genere sono ormai inflazionate e per lo più rivolte all’indirizzo di chi, per giunta “ciùcciu cruèssu” (altro che cavallo!, con tutto il rispetto per l’asino autentico …), non le meriterebbe …
Tra tutti gli antichi mestieri, quello del “trainiere”, credo sia uno dei più affascinanti. L’uso della voce, come ben sottolinea l’articolo del professor Polito, era una delle note caratteristiche di questo lavoro, tanto per i comandi impartiti al cavallo, quanto per il canto con il quale, molto spesso, i trainieri accompagnavano il proprio girovagare. Ho avuto la fortuna di avere un nonno che da giovane ha fatto questo mestiere e ancora ho memoria delle storie legate ai suoi viaggi, soprattutto di notte. Una di queste, riguardava appunto l’abitudine di cantare durante il tragitto.
Una notte, partito da Sannicola e diretto a Galatina, passò, come al solito, da Aradeo. Forse preso da altri pensieri quella notte non cantava, ma procedeva silenziosamente. All’altezza della cappella di “Santu Niculieddhru” due carabinieri gli andarono incontro e lo fermarono.
“Ce è successu cumandante?” disse mio nonno
“Siete in contravvenzione” rispose il militare
“Percè?”
“Perchè stanotte siete passato dal paese senza cantare” rispose spiritosamente il carabiniere.
A quanto pare,quindi, già tra i contemporanei, la voce dei trainieri ed il loro canto erano in grado di suscitare piacevoli emozioni.
grazie Alessio per trasmetterci queste nostalgiche note, ad ulteriore riprova di cmoe vivessero serenamente e senza grilli per la testa!