di Elio Ria
I mandorli del Salento anticipano primavera. Gli alberi già in fiore stendono rami per viaggi d’ubbidienza alla terra rocciosa, ma delicata, della campagna. Quel sole forte di marzo ancora non c’è e le nubi grigie flettono i fiori, quasi a stordirli, rannicchiandoli in boccioli ancora teneri.
Il tempo si persuade che è giunta l’ora di cambiarsi d’abito. S’appresta a salutare il signore inverno. Rassegnato sa di dover andare, ma qualche capriccio ancora sente di doverlo alle genti.
Il vento ora si gonfia, ora si acquieta. Sibila e provoca.
Un uomo percorre il suo quotidiano cammino. Un bambino sorride e prova a prender un aquilone sfuggito dalle mani, ma inciampa in una lacrima di delusione.
Fuori pioviggina: i passeri non sembrano farci caso e nei loro voli di geometrie mappano l’infinito.
Nei mille pensieri di primavera il poeta incontra il mondo di ieri e nel raggiro d’ispirazione seduce se stesso e quel mandorlo dorato, che gli appare come un impulso a disperdere canti gelidi per un adeguato corredo di speranza.