di Armando Polito
NOMENCLATURA
nome italiano: Astràgalo
nome scientifico: Astragalus Boeticus L.
nome dialettale: Cafè americanu
famiglia: Fabaceae
ETIMOLOGIE:
Astràgalo è dal latino astràgalu(m), a sua volta dal greco ἀστράγαλον (leggi astràgalon)=vertebra, modanatura di colonna, aliosso, orecchino di legno; la voce italiana ha conservato i primi tre significati del greco1, mentre più probabilmente dal primo, per somiglianza di forma del seme, deriva il nome della pianta.
Astràgalus è il nominativo del precedentemente citato accusativo astràgalum, Boeticus è un aggettivo e significa della Betica (antica provincia romana della Spagna meridionale, dal fiume Baetis, oggi Guadalquivir), con riferimento ad una delle zone di diffusione.
Fabaceae è forma aggettivale da faba=fava.
L’astràgalus è trattato così da Plinio2 (I secolo d. C.) : “L’astragalo ha foglie lunghe con molte incisure, ritorte attorno alla radice, tre o quattro steli, pieni di foglie, il fiore del giacinto, le radici pelose, avvolte intorno, rosse, molto dure. Nasce in luoghi pietrosi, soleggiati e anche nevosi, come il Feneo di Arcadia. Ha il potere di addensare i corpi. La radice bevuta nel vino blocca la diarrea, per cui succede che stimola l’urina facendo seguire un’altra via al liquido, come fanno moltissime sostanze che bloccano la diarrea. Pestata nel vino rosso guarisce pure i dissenterici. Difficilmente si pesta. Essa è utilissima con la sua capacità di riscaldare contro la suppurazione delle gengive. Si raccoglie alla fine dell’autunno, quando ha perso le foglie; si secca all’ombra”.
La descrizione pliniana non è sufficientemente dettagliata da consentire di identificare con certezza il suo astràgalus con il nostro, tant’è che per alcuni esso potrebbe corrispondere piuttosto all’Orobus vernus L., per altri al Lathyrus tuberosus L., per altri ancora alla Phaca baetica L. (nell’ordine nelle immagini sottostanti).
Nulla di più è possibile trarre (anzi le perplessità aumentano) dal suo contemporaneo Dioscoride3: “L’astragalo [parecchi lo chiamano camesice, altri onica, altri galate, i Romani pino venerato nei trivi, pure fico di terra, altri piccola ghianda, altri tio o nonaria] è un piccolo arbusto, nato sulla terra, simile al cece nelle foglie e negli steli, dai fiori purpurei, piccoli. La radice è rotonda, a mo’ di ravanello molto grande che presenta piccole appendici compatte, nere, molto dure, come corna, aggroviGliate tra loro, aspre al gusto. Nasce in luoghi ventosi, ombreggiati e nevosi; ve n’è una grande abbondanza intorno al Feneo di Arcadia. La radice bevuta nel vino blocca la diarrea e stimola la diuresi; secca viene applicata efficacemente anche sulle vecchie ferite e blocca le emorragie; difficilmente si pesta a causa della sua solidità”.
Dopo queste premesse “tecniche” passo alla parte divulgativa nella speranza di riuscire a renderla al lettore più accattivante della precedente.
Tra le bevande più diffuse nella nostra epoca il caffè occupa senza dubbio un posto di assoluto rilievo, per cui non suscita meraviglia il fatto che ad esso la pubblicità dedichi molti suoi spazi. Alcune aziende, inoltre, possono vantare una storia così lunga che non mi meraviglierei se col passare del tempo il loro nome sostituisse, per antonomasia, quello comune del loro prodotto che, pure, nel tempo aveva nutrito l’immaginario collettivo di parecchie generazioni: è il caso di Paulista e della bella Carmencita, protagonisti di tanti spot del mitico Carosello e poi, via via, mentre la tradizionale caffettiera veniva sostituita da macchine ben più sofisticate e costose che, oltre al caffè macinato utilizzavano anche le cialde, l’indimenticabile e in parte allusivo (e che allusione, per quei tempi!) manfrediano più lo mandi giù, più ti tira su accompagnato da il caffè è un piacere; se non è buono, che piacere è?, per arrivare agli spot più recenti in cui ad un comico dall’accento inconfondibile si alterna, nella concorrenza, un sex-symbol tanto inflazionato e stereotipo (se fosse stato italiano si sarebbe chiamato Giorgio Clonato; – A cosa non spinge l’invidia! – dirà, risentita, qualche lettrice che non conosce la mia avvenenza …) da essere diventato, credo per buona parte del gentil sesso, meno eccitante di un pesce lesso o di una camomilla.
Così, tra rutilanti macchine che dalle loro poppe di acciaio offrono succhi resi ancora più cremosi da un sapiente ralenti, anche uno della mia età finisce per dimenticare (non completamente, altrimenti avrei scelto qualche altro argomento) i tempi difficili in cui per tirarsi su scarseggiava, perché costava troppo, proprio la materia prima: il caffè.
Nel migliore dei casi lo si sostituiva o lo si miscelava con i numerosi succedanei in commercio, tra i quali spiccava la Miscela Leone4.
La guerra impose privazioni ben più gravi di questa ed essa, a parte il fatto che rimane sempre la più brutta bestia nelle cui grinfie, comunque, è bene non cadere, ha però il merito, nel bisogno, di aguzzare l’ingegno. Fu così che, in mancanza del caffè si pensò di abbrustolire i ceci, l’orzo, i semi del carrubo e la radice di cicoria. Ma il succedaneo più utilizzato, data la sua facile reperibilità e il fatto che pure i ceci e l’orzo, in quanto di per sé commestibili, non andavano sprecati per preparare l’imitazione del caffè, fu quello che in dialetto fu chiamato cafè americanu. Oggi la locuzione caffè americano o all’americana indica una bevanda a base di caffè che per noi europei e, soprattutto, italiani non è altro che acqua calda aromatizzata al caffè. Ma l’espressione dialettale tradisce da un lato la consapevolezza, pure allora ben viva, del pregio del nostro caffè (mi riferisco, naturalmente, soprattutto alla preparazione, prima ancora che alla torrefazione, ma, comunque, per motivi ben noti, non alla materia prima appena raccolta) e contemporaneamente la nostalgia per qualcosa alla quale si è costretti a rinunciare. E pensare che di lì a qualche anno americano, usato come semplice aggettivo, sarebbe riassurto, dopo la prima ondata migratoria, ai fasti dell’anticamera del sogno, termine di confronto che, ahimè!, pur tra mille ridimensionamenti, continua ancora!
Tuttavia bisogna sapere che la seconda guerra mondiale non costrinse a scoprire qualcosa di nuovo ma a riesumare una conoscenza vecchia di almeno un secolo.
In Pietro Configliachi e Gaspare Brugnatelli, Giornale di fisica, chimica, storia naturale medicina ed arti, decade II, tomo VIII, Fusi, Pavia, 1824, pagg. 474-475 si legge:
Molte prove che furon fatte particolarmente in Isvezia hanno aggiudicato ai grani delli astragalus boeticus un distinto merito come succedanei del caffè. Giova però usar le due sostanze insiem riunite, mescendole per esempio a misure eguali, e badando di sottoporle a torrefazione separatamente l’una dall’altra, perché l’astragalus arriva più presto assai del caffè ad essere torrefatto. Il signor Vogel che ha pubblicato un esame comparativo delle due sostanze di cui si ragiona, dice di averle in uso già da alcuni mesi (a misure eguuali) per preparare il caffè da prendersi col latte, e di esserne contento. Dimodoché egli conclude, io credo che si possa esser soddisfattissimi di possedere un vegetabile, il cui uso potrebbe ridurre alla metà il consumo del caffè indiano. (Journ. De Pharm. Oct. 1824).
Tre anni dopo l’articolo citato del Vogel veniva integralmente tradotto e pubblicato in Annali universali di tecnologia, di economia rurale e domestica, di arti e di mestieri, Milano, alle pagg. 282-286 e in coda i redattori osservavano: Le circostanze commerciali nelle quali ci troviamo, tali non sono che ci portino a cercare con grande sollecitudine surrogati al caffè ed alle altre derrate coloniali. Pure da qualche tempo i giornali stranieri e le opere periodiche, massime della Germania, ridondano della proposta che si fa dell’astragalo betico, come succedaneo al caffè. Egli è per questo che noi abbiamo inserita la traduzione dello scritto del Vogel che trovasi nel Giornale Tecnologico di Potzdam, giacché forse potrebbe alcuno avvisarsi di proporre quel surrogato anche in Italia. A questo proposito osserveremo che ai surrogati menzionati dal Vogel dee aggiugnersi altro che fu proposto verso il 1789 alla società Patriotica d’Agricoltura e D’Arti di Milano . Era questo il seme della ginestra comune, del quale però non si fece alcun conto, lasciandosi che ne facesse uso il proponente che se ne diceva lo scopritore.
Fin qui le testimonianze scientifiche, in base alle quali l’astragalo comincerebbe ad essere utilizzato come succedaneo del caffè non prima del 1820. E lo confermerebbe il fatto che la locuzione caffè americano è riferita inequivocabilmente alla pianta esotica in Michelangelo Manicone, La fisica appula, tomo I, Sangiacomo, Napoli, 1806, pagg. 142-143 comprendenti due capitoli che ho ritenuto opportuno riportare di seguito:
Caffè rusco.5
Ai popoli del Gargano ho dato il zucchero, ora vò lor dare il caffè. Noi beviamo caffè Americano. Guai a noi, se fosse vero quanto contro di esso è stato scritto. Parecchi moderni e savj Medici, seguaci dell’insigne Redi, insegnano, che le malattie convulsionarie ed epilettiche, che regnan tra noi, derivino dall’abuso del caffè. L’Autore poi delle Osservazioni sulla malva ne dice, che il caffè Americano sia nemico assoluto del cerebro umano: che attaccando la parte inventiva dell’ingegno renda stupide e sterili le Nazioni, che ne abusano, come i Turchi, e gli Africani: e che i Greci da che sono divenuti cafettieri non figurino più in Europa. Felicemente per noi questi uomini celebri parlano dello smoderato uso del caffè. Si beva dunque con moderazione, ed il caffè gioverà assai e per lo stomaco, e pel ventre. Oh la grata e salubre bevanda ch’è una ben fatta tazza di caffè! ti rallegra il cuore. Solo spiacemi, che oggidì, per la difficoltà de’ tempi, si paga a carissimo prezzo: ed io sono un povero e sventurato Serafico. Ma già nelle nostre paradisiache Regioni sonosi scoperte delle piante, i nocciuoli delle quali atti sono a somministrarne una bevanda simile al caffè, che nasce nell’altro emisfero. Il famoso Chimico Signor La Pira Siciliano ne dice, che colle bacche del rusco torrefatte e manipolate come il caffè Americano, si abbia un esquisito caffè. Dirassi cosa è il rusco? Colle frasche di questa pianta si fanno le scope da mondar stalle, e cammini. È chiamata nel Gragano spina-punge, perché è una pianta spinosa e pungente. In Sicilia chiamasi spina-surci, ed in Toscana pungi-topo; perché attaccandosi essa agli uncini, ove si sospende il lardo, ed ogni carne salata, i topi non vi scendono, pungendosi nelle acutissime sue frondi. Il rusco è dunque una pianta nota, e comune in tutto il Gargano. In Napoli, in Palermo, ed altrove il caffè del rusco è riuscito squisitissimo nelle culte brigate. Par dunque che potrebbe con vantaggio della salute e della borsa sostituirsi al caffè Americano.
Caffè di Calaprice.6
Il Padre Onorati, ornamento cospicuo del mio Ordine, al caffè Americano sostituisce le bacche di calabrice. Avendo egli spogliati i nocciuoli della lor polpa, prima gli abbrostolì, indi pestogli nel mortajo di bronzo, e finalmente fe’ bollir la polvere come caffè. La bevve, la dette a bere agli amici, e tutti convennero, che potea ben sostituirsi al caffè Americano. Or il calabrice vegeta dappertutto nel Gragano. Il calabrice è un albero simile al pero selvaggio, ma minore, e molto spinoso. Produce il frutto pieno, rosso e tenero con il nocciuolo di dentro. Il frutto è uguale a quel del mirto, e il nocciuolo è simile a quello dell’oliva. Il caffè rusco è diuretico, ed aperitivo, ed il caffè del calabrice, ossia della spina selvaggia è, come il caffè Americano, ristagnativo, incisivo, attenuante. Tali sono le bacche indigene da potersi con profitto sostituire al costoso caffè esotico. Dunque se ne ripetano le pruove nel Gragano, e ritrovandosi, che il colore, l’odore, e ‘l sapore delle nostre polveri corrispondono a quelli del vero caffè, se ne stabilisca la pratica. Ma il pregiudizio, sordo ai ragionamenti, reputa buono, bello e maraviglioso solo quello, che viene da lontani paesi. Possa questo errore, che distrugge le famiglie, e la salute, essere una volta distrutto! possano le piante, e l’erbe, che nascono sotto i nostri occhi, e sotto i piedi nostri, trionfare una volta sulle piante, e l’erbe, che nascono nell’estremità della Terra!
Giunto a questo punto, mi chiedo e chiedo pure a chi mi ha pazientemente seguito: le conoscenze del Vogel furono una scoperta originale dello scienziato o, come spesso è successo soprattutto in botanica, la sistemazione e il riconoscimento ufficiale di una conoscenza e di un uso popolare di origini, magari, molto antiche? Intuirlo, però, è una cosa, provarlo un’altra.
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1 Per quello di aliosso: https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/06/23/quando-il-rohlfs-inciampo-in-un-sassolino-del-salento/
2 Naturalis historia, XXVI, 29: Astragalus folia habet longa incisuris multis, obliqua circa radices, caules tres aut quatuor foliorum plenos, florem hyacinthi, radices villosas, implicatas , rubras, praeduras. Nascitur in petrosis, apricis, et iisdem nivalibus, sicut Pheneos Arcadiae. Vis ei ad spissanda corpora. Alvum sistit radix in vino pota: quo fit ut moveat urinam repercusso liquore, sicut pleraque quae alvum sistunt. Sanat et dysentericos in vino rubro tusa. Difficile autem tunditur. Eadem gingivarum suppurationi utilissima est fotu. Colligitur exitu autumni, quum folia amisit: siccatur in umbra.
3 De materia medica, IV, 62: Ἀστράγαλος [οἱ δὲ χαμαισύκη, οἱ δὲ ὄνυξ, οἱ δὲ γατάλης, ͑Ρωμαῖοι πίνουμ τρίβιουμ, ὁμοίως φίκουμ τέῥῤαι, οἱ δὲ γλάνδουλαμ, οἱ δὲ τιοὺμ, οἱ δὲ νωνάριαν] θάμνος ἐστι μικρὸς, ἐπὶ γῆς φυόμενος, φύλλοις καὶ κλωνίοις ὅμοιος ἐρεβίνθῳ· ἂνθη πορφυρᾶ, μικρά· ῥίζα δὲ ὕπεστι στρογγύλη, ὥσπερ ῥάφανος εὺμεγέθης, παραφυάδας ἔχουσα στερεάς, μελαίνας, σκληροτέρας ὡς κέρατα ἀντεμπεπλεγμένας ἀλλήλαις, γευσαμένῳ στυπτικάς. Φύεται δὲ ἐν εὐανέμοις καὶ συσκίοις καὶ χιονιζομένοις τόποις· πολλὴ δὲ ἐν Φενεῷ τῆς Ἀρκαδίας. Ἵστησι δὲ κοιλίαν ῥευματιζομένην ἐν οἴνῳ ποθεῖσα ἡ ῥίζα· κινεῖ τε καὶ οὖρα· ποιεῖ καὶ πρὸς παλαιὰ ἕλκη ξηρὰ ἐπιπασσομένη· καὶ αἶμα ἴσχει· κόπτεται δὲ δυσχερῶϛ διὰ τὸ στερεὸν αὐτῆϛ.
4 Ancora oggi è commercializzata dalla Nestlè. Il nome del prodotto, nonché il tipo, fanno balenare la suggestiva ipotesi che padre pure di questa miscela potrebbe essere stato il neretino Salvatore Napoli Leone, anche se non posso addurre a supporto nessun elemento del ricco apparato documentario presente nel saggio di Gianni Ferraris, Salvatore Napoli Leone (1905-1980) Genio in Terra d’Otranto, Lupo-Fondazione Terra d’Otranto, Copertino, 2012.
5 Sul rusco: https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/02/08/tra-piante-salentine-topi-e-toponimi/
6 Sul calabrice (in dialetto neretino calaprìcu): https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/05/22/addio-al-calapricu-e-compagni/