di Antonio Bruno
Inutile nasconderselo, a parte i fichi, le mandorle e le mele cotogne, gli alberi da frutto nel Salento leccese erano presenti soprattutto nei giardini delle case di campagna o in quegli spazi che erano dietro a tutte le case definiti “ortali”.
In questi spazi di terreno coltivato in prossimità della casa si potevano trovare alcune piante di pomodori, i peperoni, melanzane, i fiori che poi venivano recisi per essere messi nei vasi della casa e le piante aromatiche che avrebbero riempito di fragranze le pietanze.
Altri spazi che erano utilizzati per queste coltivazioni erano le “corti”. Non sei del Salento leccese e quindi stai pensando a delle residenze dei Monarchi vero? Ma così non è la casa a corte del Salento leccese, nella sua forma più semplice ed antica, può definirsi come lo spazio unifamiliare, di forma regolare, caratterizzato sul lato più corto da un portale d’ingresso, da un cortile interno, da una costruzione ad ambiente unico e da un retrostante giardinetto, “ortale”, per i bisogni e le delizie della famiglia.
In questo “ortale” c’erano gli alberi da frutta, quelli di limone, arancio e mandarino, e poi i bellissimi pergolati di uva da tavola.
La frutta del Salento leccese alimentò mercati di esportazione solo nel caso dei fichi e mele cotogne. E il mandorlo?
I mandorleti del Salento leccese erano collocati soprattutto nella zona di Otranto. Negli scritti di Leggieri, De Giorgi e Costa si precisa che le caratteristiche del clima del Salento leccese le due varietà, sia quella a fiore bianco che quella a fiore rosso, anticipano la fioritura e di conseguenza dovrebbero dare una produzione precoce. La precocità è più spiccata nei mandorli a fiore bianco, e se tu che mi leggi quando nel mese di gennaiola macchina non sei con la testa già all’arrivo in ufficio, immerso nei problemi che credi di trovare, e quindi accecato non hai mai visto la mattina di questo mese freddo, questi bei alberi pieni di fiori bianchi! I mandorli in fiore del Salento leccese.
Le osservazioni registrate negli scritti dell’800 e le considerazioni di questi autori erano rivolte al pericolo che i fiori di mandorlo appena spuntati fossero danneggiati dalle gelate di febbraio. I fiori che subiscano di notte la gelata e la temperatura che si alza troppo la mattina successiva, bloccano l’infiorescenza e la temperatura che sale repentinamente uccide i fiori, che non sopportano la eccessiva variazione di volume dovuta prima al graduale aumento di volume per la formazione dei cristalli di ghiaccio e dopo alla repentina diminuzione di volume del ghiaccio che si scioglie di nuovo in acqua.
Sono questi i motivi per cui le coltivazioni di mandorlo della zona di Otranto davano una produzione di mandorle di modesta entità e di scarsa qualità se confrontata con le produzioni delle zone di Alberobello e Castel del Monte.
Nel Salento leccese a causa del passaggio rapido dal clima mite del mese di dicembre alle gelate dei successivi tre mesi risulta di difficile attuazione la coltivazione del mandorlo e quando si è tentato di effettuarla nell’800 la produzione ha avuto una destinazione locale per la qualità scadente e per l’irregolarità della produzione.
La conferma di quanto scritto viene dai dati del 2005 in cui si legge che nel Salento leccese sono coltivati a mandorlo solo 78 ettari rispetto ai 22.500 ettari della Terra di Bari , anche se tra le frutticole nelle Puglie, è la coltura più importante in termini di superficie investita, con 30.528 ettari con un processo produttivo che nel 2005 era di 2.300 € per ettaro.
C’è da osservare che è anche il processo produttivo meno esigente per impiego di fattori produttivi. Infatti, le spese di coltivazione assorbono appena l’8% del valore della produzione e l’impiego di manodopera è piuttosto contenuto. Quindi il mandorlo, tra le colture frutticole, si configura come l’attività produttiva che produce poco e “fa spendere” ancora meno.
Specificamente un ettaro di mandorleto assorbe per la lavorazione del terreno 12 ore per ettaro; per interventi vari sulla pianta 42 ore per ettaro; per fertilizzazione e difesa 15 ore per ettaro; per altre operazioni 18 ore per ettaro e per la raccolta 35 ore per ettaro, per un totale di 122 ore per ettaro di mandorleto.
Nonostante ci siano così poche mandorle, nel Salento leccese si è affermata la pasta di Mandorla o pasta reale.
Le origini di questo dolce sono molto lontane, infatti pare sia nato alla fine del 1100, nel convento palermitano della Martorana, annesso alla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, che deve il suo nome a Giorgio d’Antiochia, ammiraglio del re Ruggero II.
Tuttora è possibile acquistare i dolci di pasta di mandorle durante le festività di Natale e Pasqua, e su ordinazione durante tutto l’anno, preparati dalle suore Benedettine del convento di S. Giovanni Evangelista a Lecce e visitare lo stesso monastero.
In particolare il monastero si trova in Corte Accardo (Lecce), un tempo era situato fuori le mura, oggi è in pieno centro storico. Le origini del monastero risalgono al XII secolo, durante la dominazione normanna. Fu il conte Accardo, conte di Lecce, nel 1133 a sancirne la fondazione.
Insomma nel Salento leccese, per le caratteristiche del clima, non siamo riusciti a coltivare le mandorle in gran quantità, in compenso ogni anno a Natale e Pasqua ricaviamo mari interi di pasta di mandorla che consumiamo e facciamo gustare a chi ci viene a trovare.
Bibliografia
Inea, Risultati economici delle principali attività produttive Frutticole Mandorlo, ciliegio e pesco, Collana “Puglia Rurale” – Regione Puglia.
Mario de Lucia, Problemi generali dello sviluppo agricolo. Le coltivazioni agricole
Buon giorno, che incredibile… mio padre era di Lecce, Nociglia Marittima….
Angelika Greco, saluti dal Venezuela