Caro lettore,
se sei nato prima degli anni Cinquanta forse mi conosci. Io sono nato a Ortelle, in via Garibaldi numero 13, il 12 febbraio del 1933. In casa. Sì, in casa, perché allora era lì che si nasceva, da mia madre Nunziata assistita dalla levatrice comare Splendida. Di nome e di fatto, a detta di tutti. So che è così perché è scritto nel libro dell’anagrafe del comune, anche se esiste il ragionevole dubbio che sia nato due giorni prima, quando mio padre Donato, preso dai lavori nella vigna e non avendo altre braccia da lavoro in famiglia, sembra non avesse tempo per andare a denunciare la mia nascita. Che sia nato in quella casa è certo, me lo conferma sempre mia cugina Vincenza classe 1924 – emigrata a Sanremo e con più RAM del mio PC –, quando me lo racconta: era di pomeriggio e passava la processione del Coregesù.
Poi sono andato via, come tanti altri della mia generazione, molti dei quali si sono fatto onore altrove e sono diventati cittadini di terre anche molto lontane. Ma, come dice il proverbio, la turtula all’acqua torna, e noi presto o tardi siamo tornati. Vien anche da dire che più si va in là con gli anni più si diventa tortore e si scoprono tante cose belle di quando si è stati bambini ed i desideri erano pochi perché ci si accontentava di poco. E si parla di queste cose, soprattutto con coloro che sono rimasti e ai quali va il merito di aver conservato valori antichi che altrimenti sarebbero andati perduti; essi da un lato non hanno avuto il coraggio di rompere con le tradizione, dall’altro ne hanno avuto più di noi a restare.
Già qualche anno fa pensavo questo (era il 1987) ed osservavo che “l’uomo apprezza compiutamente un bene solo quando si accorge che sta per perderlo ed allora si affanna nel tentativo di porre riparo agli errori commessi e, a volte, riesce ad operare recuperi ritenuti impossibili.” Ciò avviene “perché l’umanità non procede compatta, essendo costituita di avanguardie e di retroguardie; mentre le prime stendono i ponti verso il futuro, le seconde li mantengono con il passato”. Questo è molto importante secondo me.
Giorgio Cretì, è nato a Ortelle (Lecce) nel 1933. E’ autore di vari racconti pubblicati su “Il Rosone”, la rivista dei pugliesi di Milano, e su altri periodici a partire dal 1980 e di due romanzi: “L’Eroe Antico”, segnalato dalla Giuria del Premio Stresa 1980, e “Poppiti” (Il Rosone, 1996). Ha pubblicato ricerche di storia locale sul Bollettino della “Società Pavese di Storia Patria” (1992, 1998, 1999). Collabora con riviste di gastronomia e cucina ed aderisce all’Associazione Stampa Agroalimentare. Ha pubblicato inoltre “Erbe e malerbe in cucina” (SIPIEL, 1987), il “Glossario dei termini gastronomici, compresi i vocaboli dialettali, stranieri e gergali”, annesso al volume “I grandi menu della tradizione gastronomica italiana” (Idea Libri, 1998), “Il Peperoncino” (Idea Libri, 1999), “La Cucina del Sud” (Capone, 2000), “A tavola con don Camillo e Peppone” (Idea Libri, 2000); “Il libro degli ortaggi e delle verdure selvatiche” (Idea Libri, 2001), in collaborazione con il fratello Antonio; “La Cucina del Salento” (Capone Editore, 2002), “Intervista a Sergio Stagnaro da Trigoso” sulla Semeiotica Biofisica e sul Terreno Oncologico (2002), “U prebuggiùn de Tregosa”, sulla gastronomia popolare in Liguria (2003).