di Rocco Boccadamo
Attraverso il compimento di un piccolo gesto d’altri tempi cui sono tuttora affezionato, far scorrere sotto i polpastrelli i foglietti sottili del calendario a blocchetto, si sono affacciate allo sguardo le cinque lettere del mese che sta per sopraggiungere: marzo. Un arrivo che, a livello del personale sentire profondo, ho sempre avvertito come segnale di preavviso della stagione dolce, con ciò sottolineando che tale rimane, secondo me, l’aggettivo proprio della primavera, giustappunto dolce, sebbene oggi si parli, continuamente, d’impazzimento del clima e d’irriconoscibilità dei tradizionali periodi dell’anno. Ad ogni modo, a me, l’impatto con la parola marzo ha sistematicamente conferito una ventata d’energia, l’esortazione a scaricarmi, d’addosso, le incrostazioni d’acquiescenza, d’apatia mentale e d’immobilismo sonnacchioso, caratteristiche del fenomeno che, riferito a taluni animali, si definisce letargo: fare, scattare, dire, prendere iniziative.
Purtroppo, anche se rimangono immutati certi impulsi interiori, adesso lo scenario che ci circonda non è più quello di prima, si presenta, anzi, con contorni e confini radicalmente stravolti. Il mondo non appare più, neppure in prossimità della primavera, sormontato da nubi leggere in vivace corsa alla stregua di pensieri semplici e corretti, bensì schiacciato, contro natura, da nuvoloni gravidi di scontri, lotte, guerre, accuse incrociate, morti per mancanza d’acqua o di cibo o a causa di malattie inguaribili ed endemiche, viepiù degradato da molteplici, quotidiani episodi d’oltraggio all’esistenza, finanche ai teneri steli dei bambini.
Il processo d’imbarbarimento, in sostanza, non concerne solamente le stagioni e gli elementi naturali – il loro deterioramento è, in ogni caso, da ricollegare ai comportamenti umani – ma si è avviluppato anche e soprattutto ai nostri cervelli. Sembra, quasi, che sia stato del tutto abbattuto e sotterrato il primario presupposto del rispetto della stessa vita.
Affiora alla memoria un componimento un pò “antico” con cui provo a confortar tanto sconforto…posso assicurare che funziona ancora la freschezza dei versi di Angiol Silvio Novaro, nonostante la vecchiezza dell’oggi
Che dice la pioggerellina
Di marzo, che picchia argentina
Sui tegoli vecchi
Del tetto, sui bruscoli secchi
Dell’orto, sul fico e sul moro
Ornati di gèmmule d’oro?
Passata è l’uggiosa invernata,
Passata, passata!
Di fuor dalla nuvola nera,
Di fuor dalla nuvola bigia
Che in cielo si pigia,
Domani uscira’ Primavera
Guernita di gemme e di gale,
Di lucido sole,
Di fresche viole,
Di primule rosse, di battiti d’ale,
Di nidi,
Di gridi,
Di rondini ed anche
Di stelle di mandorlo, bianche……
Che dice la pioggerellina
di marzo, che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell’orto, sul fico e sul moro
Ornati di gèmmule d’oro?
Ciò canta, ciò dice:
E il cuor che l’ascolta è felice.
Che dice la pioggerellina
Di marzo, che picchia argentina
Sui tegoli vecchi
Del tetto, sui bruscoli secchi
Dell’ orto.