di Maurizio Nocera
L’argomento Comi Bibliofilo l’ha affrontato già Alessandro Laporta, direttore della biblioteca provinciale “N. Bernardini” di Lecce il quale, nel bel saggio su Studiae Humanitatis. Scritti in onore di Elio Dimitri (Barbieri, Manduria 2010, pp. 223-228) per la cura di Dino Levante, individua l’attributo ‘bibliofilo’ usato per il Comi come «attento e oculato nelle sue scelte, che ama le raccolte già complete, […] ma che sa anche metterle insieme da sé, volume per volume» in uno libro di Marinella Cantelmo dal titolo Girolomo Comi prosatore (Capone, Cavallino 1990).
Anche per me vale quella sua affermazione messa come incipit dell’introduzione al saggio quando scrive: «Quanto su Comi è stato scritto da Valli e dagli altri offre una tale idea di completezza che è difficile trovare qualche sentiero inesplorato, qualche itinerario nuovo da proporre all’attenzione del lettore» (p. 223). Tuttavia, con il saggio Comi bibliofilo, Laporta trova ancora qualche piccolo sentiero tutt’ancora da sondare, soprattutto nell’indicare un inedito Comi bibliofilo riferito ai libri che il poeta possedeva nella sua rifornita biblioteca lucugnanese consistente per la maggior parte di un nucleo forte di autori francesi. In particolare Laporta cita due libri antichi presenti nel fondo Comi precisando che altri volumi anch’essi di pregio e datati, dopo la ristrutturazione del palazzo, non sono stati più reperibili.
I due libri antichi da lui indicati e analizzati sono:
Imagines illustrium ex Fulvii Ursini biblioteca a Theodero Gallaeo expressae, edito ad Anversa dal Plantin nel 1606;
Le thresor des vies de Plutarque, Lyon, chez Pierre Rigaud, 1611. In particolare, di quest’ultimo volume, il Laporta fa una dettagliata descrizione bibliofilica mettendo il luce la nota di possesso del libro risalente al 1794, e cioè prima che lo stesso volume divenisse proprietà del Comi. Il volume apparteneva a «Ant. Aug. Renouard, autore entrato ufficialmente nella storia del libro per i suoi ancora oggi fondamentali lavori su Manuzio. [… Fu anche] estimatore ed imitatore di Bodoni» (p. 226).
Laporta conclude il suo saggio affermando che, per le note su riportate, sicuramente si può dare a Comi il titolo di bibliofilo e, secondo me, non ha torto, perché è sufficiente andare a vedere la biblioteca del poeta nel palazzo di Lucugnano per accorgersi dell’amore che il poeta riservava per i libri antichi o a lui coevi.
Ma non solo per il motivo indicato dal direttore della biblioteca provinciale, noi possiamo definire bibliofilo Girolamo Comi anzi, secondo me, egli è bibliofilo, e per di più grande, soprattutto per la fattura dei suoi libri e della rivista «L’Albero» che il poeta, in quanto vate dell’Accademia salentina con sede a Lucugnano, fece stampare spesso, per non dire sempre, a sue spese, divenendo, per questo, da benestante che era a un povero in canna.
Mi limiterò quindi a descrivere solo dei libri a firma del poeta che io ho sulla mia scrivania, anche se è noto che i volumi degli altri suoi amici poeti e prosatori soci dell’Accademia hanno tutti le stesse caratteristiche da lui dettate. Ad eccezione della rivista, di cui dirò poi, i libri di Comi che prendo in considerazione sono:
Cantico del Tempo e del Seme, Edizioni Al Tempo della Fortuna // Colophon: «A cura di alcune personalità,/ sotto l’insegna “Al Tempo/ della Fortuna” di questa/ opera – terminata di stampare/ il 25 maggio 1930 presso l’Of-/ ficina Cuggiani in Roma – sono stati tirati: 5 esemplari su carta/ “vélin Marais” numerati da/ 1 a 5; 495 esemplari su carta/ “vergé Fabriano” numerati/ da 6 a 500»;
Spirito d’armonia, Edizioni dell’«Albero» Lucugnano (Lecce) // Colophon: «Finito di stampare il 20 maggio 1954 per i tipi della S. E. T., Bari». Questo libro è interessante perché include in appendice una Notizia Bibliografica (a cura di Vittorio Pagano) con le citazioni di tutti i recensori e commentatori della poesia del Comi;
Canto per Eva (prima edizione, 60 pp.), Edizioni dell’«Albero», Colophon: «Edizione di 432 esemplari/ firmati dall’autore. // Finito di stampare il 20 luglio 1955 per i tipi della S. E. T. – Bari».
Inno eucaristico, Edizioni dell’«Albero», «Colophon: Edizione fuori commercio/ di 500 esemplari/ per gli amici dell’Albero. // Stampato il 30 giugno 1958 per i tipi della tipografia Pajano & C., Galatina»;
Canto per Eva [seconda edizione, 104 pp., con due punte d’argento di Alberto Gerardi (pp. 17 e 33) e una nuova pagina esplicativa dello stesso Comi], Edizioni dell’«Albero», Colophon: «Edizione di 375 esemplari/ firmati dall’autore. // Finito di stampare per i tipi dello Stabilimento Pajano & C., Galatina il 31 luglio 1958».
La descrizione (Titolo, Casa editrice, Stamperia e Colophon) dei quattro libri su indicati dà già l’idea di trovarci davanti a volumi particolari, perché appunto corredati da colophon di cui solo un attento bibliofilo conosce l’importanza; tuttavia a ciò va aggiunto ancora qualche altro elemento per avere l’idea della personalità bibliofilica del Comi. In primo luogo tutti i volumi descritti sono stampati in-16° (20,5 x 14,5 cm) su carte speciali (nel caso del Cantico del Tempo e del Seme sono indicate) del tipo uso-mano o rosa-spina; i bordi quasi sempre non sono rifilati ma intonsi; le copertine sono sempre di cartoncino avoriato spesso e bugnato. Ma la caratteristica fondamentale sono le architetture dei frontespizi e delle copertine: si tratta di calici o coppe perfette quasi sempre composte sulla base di misure auree. Per di più, nel libro Cantico del tempo e del Seme, la composizione delle indicazioni di copertina è inscritta in una doppia e bella cornice rossa. Questo libro è interessante anche per una serie di xilografie che corredano le pagine poetiche. Ma occorre dire che tutte le pagine dei libri di G. Comi hanno un’architettura austera e aurea, esigenza tipica di ogni bibliofilo.
Altro dato importante, che fa di Comi un bibliofilo, è la scelta dei caratteri di stampa usati per i suoi libri. Di solito la scelta dei tipi è dovuta allo stampatore, almeno così era un tempo, cioè quando ancora non esisteva il computer col suo font. Tuttavia non tutti i tipografi sapevano farlo. Interveniva così l’autore, sempre ammesso che egli fosse un esperto in tal senso. Nel caso di Comi, e almeno per i libri a cui io mi riferisco, non ci sono dubbi sul fatto che egli era un esperto anche di caratteri di stampa. Tanto da scegliere il Caslon per il libro Cantico del Tempo e del Seme; il Perpetua Light Titling per il libro Inno Eucaristico; il Baskerville per il libro Spirito d’armonia; ancora il Baskerville per Canto per Eva.
Per quanto riguarda la rivista «L’Albero» non c’è migliore definizione di quella data dalla sua prima e unica segretaria dell’Accademia di Lucugnano, cioè Maria Corti la quale, nella premessa all’Antologia (1949-1954) (Bompiani, 1999) curata da Gino Pisanò, scrive: «è una rivista salentina che ebbe una lunga vita dal 1949 al 1988 […] A Lucugnano, in provincia di Lecce, il barone Girolomo Comi aveva creato il 3 gennaio 1948 nel suo bel palazzo neoclassico un’Accademia Salentina, istituzione aperta e ospitale, che fu subito un richiamo per intellettuali in tutta Italia» (p. XI).
Ma qui, in questo contesto, l’aspetto che ci interessa è quello bibliofilico e, per l’occasione, prendo in esame solo alcuni numeri della rivista. Il primo numero (gennaio-marzo 1949) presenta una splendida copertina con caratteri maiuscoli Bodoniani, al centro campeggia un bellissimo disegno di Vincenzo Ciardo, disegno che, come marchio dell’Accademia salentina, rimarrà impresso sulla copertina per il seguito di tutti i numeri. Fondatore della rivista e primo direttore responsabile è lo stesso Girolamo Comi, la registrazione viene fatta presso il Tribunale di Lecce e risulta essere contrassegnata dal n. 9 del 2 maggio 1949; la stampa e della Tripografia Raeli di Tricase. Nel colophon del primo numero, Comi scrive: «È nelle nostre speranze e nei nostri desideri che ogni “Albero” sorga e cresca come per generazione spontanea e che porti – possibilmente in tutti i rami – il segno e il respiro della necessità e della ricchezza della nostra ansia di operare e di sopravvivere» (p. 79).
Ma ancora più suggestiva è la poesia che lo stesso Comi pubblica come incipit della rivista: «Armonia numerosa: la presenza/ dell’albero nell’alba che lo veste:/ (figura e dono del tempo terrestre/ se il cuore trema di riconoscenza…)// Slancio di un seme che si ricompone/ nella pienezza d’una tessitura/ d’aliti di germogli: carnagione/ di frutto antico e di linfa futura;// dalla radice all’apice, il respiro/ che ogni sua nuova primavera emette/ sazia la zolla e sfiora lo zaffiro// dell’aura delle più tenere vette:/ fremito d’una crescita che vuole/ diventare canto nei cori del sole» (p. 5).
Nulla cambia nei numeri successivi salvo la tipografia, che da Tricase passa a Bari alla Società Editrice Tipografica (fino al n. 19-22 del 1954); poi da Bari ritorna in Salento, a Galatina, prima presso la Tipografia Pajano (fino al n. 30-33 del 1957), quindi presso l’Editrice Salentina (fino al n. 34-35 del 1960); a partire dal n. 36-40 (1962) a stamparla sarà la Scuola Tipografica A. Mele Tarantini di Lecce. Girolamo Comi muore nel 1968 e i numeri successivi della rivista che saranno stampati usciranno come numeri di una nuova serie.
Note bio-bibliografiche
Girolamo Comi (poeta) nacque a Casamassella il 23 novembre 1890 e morì a Lucugnano il 3 aprile 1968. Suo padre Giuseppe era di Lucugnano mentre la madre Costanza era sorella di Antonio De Viti De Marco, il noto economista e politico salentino degli inizi del XX secolo. Per i suoi studi, Comi frequentò in un primo momento il liceo “Capece” di Maglie, poi il liceo “Palmieri” di Lecce e, dopo la prematura morte del padre (1908), proseguì gli studi superiori in Svizzera (Ouchy-Losanna) dove frequentò la cattedra del filosofo Rudolf Steiner. È di questo periodo la sua prima raccolta poetica, Il Lampadario (Losanna 1912), successivamente da lui stesso rinnegata. Fu obiettore di coscienza ante litteram, rifiutando di partecipare come milite alla prima guerra mondiale; tuttavia, dopo essere stato catturato, fu costretto ad andarci e, in un primo momento venne inviato persino in prima linea, dalla quale però lo congedarono perché divenuto, secondo le perizie mediche, “matto”. A partire dal 1920 tornò a Lucugnano, ma cominciò anche a frequentare Roma, dove risiedeva lo zio Antonio De Viti De Marco. Nella capitale conobbe altri scrittori e altri poeti, che da quel momento gli divennero amici e frequentatori anche della sua casa salentina a Lucugnano. Fra questi Arturo Onofri, Giuseppe Bonaiuti, Alfonso Gatto, Giovanni Papini, Iulus Evola. In questo momento la sua è una poesia spiritualista e intimistica e tutte le sue iniziative come intellettuale si muovono in un ambito di esaltazione nichilista e niezschiana. Non a caso collaborò alle riviste «Ur», «Krur», «La Torre», «Diorama Filosofico» e fu molto vicino alle idee fasciste sulla concezione dell’essere superiore. Ad un certo punto della sua vita però avvenne una sorta di conversione/resurrezione, una presa di coscienza potremmo dire oggi, con la quale rivide il suo pensiero iniziale e sentì rinascere in lui una nuova consapevolezza: si avvicinò al movimento simbolista e al fauvismo in pittura, ritornando alle stampe, tra cui una nuova raccolta poetica, alla quale dette il titolo di quella rinnegata, Lampadario (Lucugnano 1920). Seguiranno altre poesie, come I Rosai di qui (Roma 1921). Si tratta di cinque liriche chiaramente ispirate al pittore romano Rosai, nelle quali l’uso delle parole in versi forma sinfonie per musica e pittura con il tutto che sembra ispirato anche al movimento futurista di Tommaso Filippo Marinetti.
Ritorna alle stampe con nuove raccolte poetiche: Smeraldi (Roma 1925), Boschività sotterra (Roma 1927), Cantico dell’albero (Roma 1928), l’antologia Poesia 1918-1928 (Roma 1929), Cantico del Tempo e del Seme (Roma 1930), Nel grembo dei mattini (Roma 1931) con la quale inizia il suo ritorno ad una nuova forma di religiosismo; Cantico dell’argilla e del sangue (Roma 1933). Con Adamo-Eva (Roma 1933), liriche che indagano il peccato originale, si ha il suo pieno ritorno al cattolicesimo; una nuova antologia è Poesia 1918-38 (Roma 1939). Nel 1946, Girolamo Comi fa definitivo ritorno a Lucugnano, dove fonda (3 gennaio 1948) l’Accademia Salentina assieme a Mario Marti, Oreste Macrì, Maria Corti, Michele Pierri, Walter Binni, Luigi Corvaglia, Vincenzo Ciardo, Luciano Anceschi, molti altri intellettuali. L’Accademia ha una sua rivista che, per espresso desiderio di Comi, si chiamerà «L’Albero». Fino al 1968 sarà sotto la direzione dello stesso Comi, successivamente la responsabilità passa a Donato Valli, che di Casa Comi e della sua biblioteca è l’erede spirituale. Da Lucugnano Girolamo Comi ricomincia la pubblicazione di nuove raccolte poetiche: Spirito d’Armonia (due edizioni, una a Lucugnano 1954, con la quale vince il premio Chianciano, e l’altra, postuma, a Trento nel 1999). Altre sue raccolte poetiche sono: Piccolo idillio per piccola orchestra (Lucugnano 1954), Canto per Eva (Lucugnano 1955), Inno Eucaristico (Lucugnano 1958), Sonetti e Poesie (Milano 1960). La sua ultima raccolta è Fra lacrime e preghiere (Roma 1966).
Oltre alle raccolte poetiche, Comi scrisse anche prosa, fra cui una Lettera a Giovanni Papini (Lucugnano 1920); Vedute di economia cosmica (Roma 1920); Riposi festivi (Roma 1921); Poesia e conoscenza (Roma 1932); Commento a qualche pensiero di Pascal (Lucugnano 1933); Necessità dello stato poetico (tentativo di un diario esistenziale) (Roma 1934); Aristocrazia del Cattolicesimo (Modena 1937); Bolscevismo contro Cristianesimo (Lucugnano 1938); Dramma senza dramma (scherzo o giuoco scenico-letterario) (a cura di Donato Valli, Lecce 1971).
Moltissimi sono gli autori che si sono interessati del pensiero e della poesia di Girolamo Comi; l’elenco è molto lungo. Occorre dire che non c’è stato scrittore, poeta, pittore, scultore e tanto altro nel Salento che, nel suo lavoro da intellettuale, non abbia avuto a che fare con l’opera di Girolamo Comi, il quale, per la mole di lavoro fatto ed anche per lo strano caso della sua vita, si erge ad essere monumento letterario della salentinità poetica.
Pubblicato su Il Filo di Aracne.